Il futuro non aspetta: un estratto dal libro di Stefano Caselli
- 21 Ottobre 2025

Il futuro non aspetta: un estratto dal libro di Stefano Caselli

Scritto da Stefano Caselli

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In Il futuro non aspetta. Cambiare per (far) crescere (edito Egea nel 2025), Stefano Caselli – Professore ordinario di Finanza presso l’Università Bocconi e Dean di SDA Bocconi School of Management – tratta delle sfide che il nostro Paese dovrà affrontare in un mondo che pare diventare sempre più caotico e polarizzato, ma il cui futuro non è ancora scritto.

Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore Egea, un estratto tratto dal capitolo La (ri)costruzione del capitale umano che affronta uno dei temi centrali del libro: quello delle nuove generazioni chiamate a determinare il destino di un Paese.


L’Europa si costruisce con le nuove generazioni

L’Unione Europea ha 81 milioni di ragazzi e ragazze con meno di 18 anni di età. Una parte di essi – circa 14 milioni – si presenterà alle urne per la prima volta nel 2029 per scegliere i propri rappresentanti e contribuire a dare un nuovo volto alle nostre istituzioni. Come si stanno formando? Quali sono i loro valori o che cosa stanno costruendo? Quale idea hanno del proprio Paese e dell’Europa? Ma soprattutto, che cosa di meglio possiamo fare per tutti e tutte loro? Queste domande non sono marginali e devono essere alla base di qualsiasi ragionamento che guardi al futuro. Nel discorso appassionato che Mario Draghi ha fatto al Meeting di Rimini del 2025 intorno all’idea dell’Unione che evapora, un passaggio altrettanto importante ha avuto molta meno attenzione. Ed è quello dedicato ai giovani.

Una parte della popolazione ha conosciuto l’idea di un’Europa che nasce per rispondere alla follia della guerra e della distruzione: chi direttamente, chi attraverso la propria famiglia ma sempre con un senso di emozione, di urgenza, di necessità. Il tempo è passato, le generazioni cambiano e quel senso di slancio si perde perché non c’è più una presa diretta personale con i fattori che hanno spinto i nostri Paesi a mettersi insieme. Va ricostruita una narrativa, occorre agire sia su un piano razionale che su uno emozionale. Con una strada che sicuramente è in salita perché il rischio chiaro è che l’Europa sia vista come una scelta del passato oppure un’esperienza distante. L’errore politico da evitare è additare chi non è appassionato di Europa come nemico ma piuttosto occorre cercare una nuova strada di consenso.

Il piano razionale c’è tutto, forse più che mai, ed è evidente come la competizione tra Paesi oggi in atto richieda solo grande dimensione – politica, aziendale, finanziaria, tecnologica – per non soccombere. L’Europa come mercato e come regista di soluzioni è l’unico strumento disponibile per consentire alle nostre imprese di aumentare la propria scala e competere. La razionalità ci dice che visione nazionale – i miei cittadini, le mie aziende – trova nell’Europa un moltiplicatore unico. Questa razionalità deve diventare una narrativa politica che possa essere raccontata a elettori più anziani e più giovani. Intorno al concetto di maggiore benessere e maggiore sviluppo. Su questo la scelta è in mano soprattutto ai partiti che in Europa hanno responsabilità di governo, ma le stesse istituzioni europee dovrebbero trovare modalità più forti di comunicazione e divulgazione di che cosa significhi essere europei. Riducendo in modo drastico la distanza rispetto a tutti i cittadini. Trovando anche alleanze fuori dalla stessa Europa, non solo per rendere più forte l’Unione ma anche per dimostrare che il modello ha valore, funziona, crea benefici tangibili. A inizio anno Economist ha pubblicato un editoriale provocatorio in cui si proponeva l’ingresso del Canada nell’Unione. Sulle pagine del Corriere della Sera di fine agosto 2025, Mario Monti invita l’Unione a cercare alleanze anche «disruptive» fuori dai confini europei per rafforzare ma anche per rendere più al passo con i tempi il senso dell’Europa. Dal Canada, alla Gran Bretagna per muoversi sia nel Mediterraneo che nell’Asia-Pacifico.

Il piano emozionale si collega quindi a quello razionale. Come è inevitabile se si vuole che le cose accadano sul serio e portino a dividendi elettorali. Ed è su questo punto che l’Europa deve giocare la carta per gli 81 milioni di giovani che saranno i prossimi europei. La strada del ventottesimo Stato sta per fortuna circolando con maggiore forza. L’idea di creare un insieme di regole e norme legate a un ventottesimo Stato virtuale è il modo per superare la strada tortuosa di una disomogeneità di regole che contraddistinguono i ventisette Stati membri. Questo può essere molto utile per le PMI, che si scontrano contro la disomogeneità di regole, così come per i dispositivi fiscali innovativi. Ma potremmo seguire questa strada con determinazione per rispondere alle nuove generazioni. Per proporre cosa?

Un primo aspetto è collegato alla formazione e al percorso educativo. Una filiera che sappia combinare il meglio della tradizione di tanti Paesi europei – a partire dal nostro – con il taglio più pragmatico delle scuole anglosassoni. Una filiera che diventa un format che i singoli Paesi – o addirittura le singole scuole? – potranno decidere di prendere. Accanto a una carta di strumenti e diritti che diano apertura e mobilità ai ragazzi e alle ragazze. Un secondo aspetto è quello della fiscalità. Nonostante emergano iniziative coraggiose di sostegno alle giovani generazioni il quadro è frammentato: si va dalla detassazione under 30 francese, alle norme di attrazione dei giovani in Portogallo, ai recentissimi 10 euro al mese della Germania per il piano pensionistico dopo i 6 anni di età. Anche qui una struttura di scelte che fissi la disciplina su costo del lavoro, livello di tassazione e costruzione del piano pensionistico darebbe una spinta senza precedenti non solo alla mobilità, ma soprattutto alla crescita personale, sociale ed economica. Un terzo aspetto è quello della nascita delle imprese. L’Europa ha già alcuni hub che si distinguono come centri per startup – da Parigi, a Berlino e Stoccolma, in parte Milano – ma la disponibilità di un quadro unico di regole e incentivi non solo creerebbe connessione tra gli hub esistenti per dare più massa critica ma darebbe più forza di sviluppo in generale. Con ricadute occupazionali a favore di tutti i singoli Paesi. È possibile pensare a un Commissario europeo che abbia questo compito? Che superi la ritualità delle nomine e si inserisca con coraggio già in questa legislatura? Sarebbe una scelta al passo dei tempi di oggi che richiedono velocità e sorpresa, ma con uno spessore ben diverso rispetto ad altre leadership.

La scelta sui giovani è la partita decisiva per dare un futuro all’Europa. Non solo per il loro voto, ma per la credibilità, il benessere, la voglia di dimostrare che un progetto che ha origini alte e profonde continua con un’onda lunga potente. La scelta sui giovani è quella di far crescere dei veri cittadini europei. Se ci pensiamo, l’Europa nasce soprattutto come mercato unico e questo mercato unico ha bisogno, peraltro, di essere ancora completato. Nel mercato ci sono i consumatori e tanto tempo e fatica sono stati dedicati a questo tema. Ma l’Europa da costruire oggi non può essere fatta solo di consumatori. Che a un certo punto comprano quello che desiderano dal mondo intero. Il salto è quello di guardare ai cittadini di ogni Paese, per avere cittadini europei. Che altrimenti cercheranno strade diverse per rispondere ai propri bisogni e per realizzare i propri progetti.

Scritto da
Stefano Caselli

Professore ordinario di Finanza all’Università Bocconi di Milano, dove è Algebris Chair in Long-Term Investment and Absolute Return, e Dean di SDA Bocconi School of Management. È editorialista per «L’Economia» del «Corriere della Sera». Tra le sue pubblicazioni: “Il futuro non aspetta. Cambiare per (far) crescere” (Egea 2025).

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