L’estrazione di risorse spaziali e la questione della compatibilità con il quadro giuridico internazionale
- 15 Novembre 2024

L’estrazione di risorse spaziali e la questione della compatibilità con il quadro giuridico internazionale

Scritto da Valentina Chabert

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Sin dal lancio del primo satellite artificiale Sputnik I da parte dell’Unione Sovietica, lo spazio extra-atmosferico è tradizionalmente considerato un ambito a esclusivo appannaggio degli Stati. Tuttavia, negli ultimi decenni a far vacillare tale convincimento ha contribuito l’ingresso delle entità private (o, nelle parole di Marcello Spagnulo[1], dei “gigacapitalisti stellari”) nel settore spaziale, a riflettere un più ampio mutamento geopolitico che ha provocato una ridefinizione degli equilibri di potere nell’ambito dell’esplorazione spaziale. Un cambio di paradigma favorito anzitutto dai progressi in campo tecnologico e dall’evoluzione delle applicazioni dell’intelligenza artificiale[2], che ha permesso lo sviluppo di nuove attività economiche spesso svincolate da investimenti iniziali in infrastrutture, così come dalle fondamentali capacità progettuali di velivoli di lancio delle imprese private, in grado di abbattere notevolmente le tempistiche e i costi di produzione[3]. Ciononostante, benché la privatizzazione dello spazio non si traduca immediatamente nella scomparsa della competizione statale, la velocità e l’efficienza delle nuove società commerciali guidate dalla classe capitalista della Silicon Valley stanno esercitando una forza trasformativa non indifferente sulle attività spaziali, con un’importante infiltrazione di capitali e know-how a cui gli Stati difficilmente potranno rinunciare[4].

 

Attori privati e risorse spaziali: lo space mining 

L’ingresso delle entità private nel settore spaziale nasconde un fine strategico ben definito. È infatti proprio la possibilità che l’esplorazione spaziale e lo sfruttamento commerciale delle risorse della Luna e dei corpi celesti possano offrire ingenti possibilità di profitto a spingere i privati a guardare allo spazio, che potrebbe divenire il nuovo terreno su cui si consumerà l’espansione della logica capitalista guidata dalle imprese private. Ne sono un indizio i primi studi sulla fattibilità economica di un’eventuale commercializzazione delle risorse naturali e minerarie spaziali, che al contempo costituiscono la prova dell’intensificarsi delle attività connesse alla nuova economia spaziale o new space economy, i cui ricavi per il solo anno 2019 hanno sfiorato la soglia dei 424 miliardi di dollari[5]. In particolare, vi è la concreta possibilità che la superficie e il sottosuolo della Luna siano ricchi di minerali, i quali potrebbero eventualmente essere utilizzati sia in loco per sostenere la vita in basi lunari permanenti, sia sulla Terra. Tra questi, acqua, azoto e ossigeno potrebbero supportare i bisogni vitali degli astronauti nello spazio; alluminio, cobalto, ferro, nichel e titanio, da utilizzare in edilizia; sostanze chimiche rare come platino, argento, palladio, renio, rutenio e tungsteno, sarebbero impiegate nell’industria degli smartphone e per lo sviluppo di convertitori catalitici[6]. Un ulteriore utilizzo dei minerali spaziali potrebbe in alternativa riguardare la fornitura del cosiddetto sistema satellitare a energia solare (SPS), che consente la raccolta dell’energia solare nello spazio e la sua conseguente trasmissione alla Terra tramite emissioni di microonde[7]. Accanto all’acqua e ai metalli rari, tuttavia, la risorsa lunare più rilevante potrebbe essere l’elio-3, uno degli isotopi più scarsi sulla Terra, il cui impiego come combustibile nei reattori a fusione nucleare in combinazione con altri materiali – in primis il deuterio – consentirebbe la generazione di energia pulita senza il successivo rilascio di rifiuti tossici[8].

 

Risorse e competizione: il ruolo degli Stati

Se è vero che le dinamiche geopolitiche in vigore sulla Terra si ripresentano allo stesso modo anche fuori dall’atmosfera, è possibile rintracciare anche nell’ambito dell’estrazione di minerali strategici dalla Luna e dai corpi celesti una forte competizione tra le principali potenze spaziali mondiali, così come una rapida crescita dei Paesi leader del mondo multipolare anche al di là delle orbite terrestri. È dunque in quest’ottica che devono essere letti i numerosi tentativi di Cina, India e Russia di esplorare la Luna alla ricerca di acqua e di minerali possibilmente da impiegare sulla Terra. Ed è proprio la Cina ad aver aperto a una nuova corsa spaziale nel 2019, quando si è annoverata al primo posto tra le potenze spaziali per il raggiungimento della faccia nascosta della Luna, seguita lo scorso agosto dall’India, la cui missione Chandrayaan-3 ha effettuato un allunaggio consentendo al Paese di divenire la quarta potenza a conseguire questo risultato dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina, nonché la prima a raggiungere il polo sud lunare potenzialmente ricco di ghiaccio. Tra l’altro, l’India è stato l’ultimo Paese a firmare, nell’estate 2023, gli Accordi di Artemis[9], l’iniziativa a guida statunitense che mira a riportare l’uomo – e la prima donna – sulla Luna entro il 2025. Secondo numerosi studiosi di diritto internazionale, gli Accordi di Artemis hanno contribuito alla creazione di un ambiente in cui non è necessario che gli Stati si adoperino per approvare nuove leggi in favore dello sfruttamento delle risorse spaziali, poiché l’ampia adesione a tale strumento contribuirà a un maggiore consenso internazionale nei confronti di tale possibilità. A sostegno di tale tesi vi è anche il fatto che Russia e Cina non hanno firmato gli Accordi. Se la prima ha criticato l’esplicita natura statunitense dell’iniziativa, alla seconda è però impedito di collaborare con la NASA per via dell’emendamento Wolf sancito dalla legislazione interna statunitense[10]. Ciò, a sua volta, ha il potenziale di intensificare ancora di più la competizione spaziale e la rivalità tra gli Stati Uniti e i loro alleati da un lato, e Cina e Russia dall’altro. Nonostante gli ostacoli sopra menzionati non sembrino avere effetti particolarmente negativi per il programma spaziale cinese (e in parte anche per quello russo), l’esclusione delle due potenze spaziali influenza, tuttavia, lo spettro dei soggetti che contribuiscono alla creazione di norme nello spazio, dove le potenze spaziali dominanti impiegano il proprio soft power a favore di interpretazioni della legge a beneficio dei propri interessi.

 

Il quadro vigente di diritto internazionale dello spazio 

Nonostante gli ipotetici studi di sfruttamento ed estrazione di risorse attualmente al vaglio di entità private, ​l’intenso dibattito su quella che è stata definita la “nuova corsa all’oro” ha sollevato molteplici interrogativi sulla questione della compatibilità dello space mining con l’attuale quadro di diritto internazionale dello spazio. Nello specifico, è centrale la questione della possibilità che la commercializzazione dello spazio e l’estrazione di risorse minerarie dalla Luna e dai corpi celesti da parte di imprese private sia da ritenersi compatibile con le attuali disposizioni dei principali trattati vigenti in materia, e precisamente con il divieto di appropriazione e di rivendicazione di sovranità sancito dall’articolo II del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 (meglio noto come Outer Space Treaty). L’articolo II proibisce espressamente l’appropriazione nazionale «mediante rivendicazioni di sovranità, uso o occupazione, o con qualsiasi altro mezzo»[11]. Lette in combinazione con l’articolo I del medesimo trattato, che disciplina il libero uso e accesso allo spazio, le norme codificate nell’articolo II sottolineano il carattere di res communis omnium dello spazio, che gli Stati fin dall’inizio hanno deciso di considerare insuscettibile di rivendicazioni di appropriazione e sovranità per assicurare lo svolgimento sicuro e pacifico delle attività spaziali. Pertanto, il principio di non appropriazione dal punto di vista giuridico costituisce il fondamento del principio di libera esplorazione, poiché la possibilità di esercitare diritti sovrani esclusivi a favore di alcuni Stati ridurrebbe o ostacolerebbe del tutto il godimento della stessa libertà a discapito di altre nazioni[12]. Tuttavia, a causa della mancanza di un divieto esplicito, non è chiaro se le stesse disposizioni siano da considerarsi valide anche per le società private. Nessun riferimento all’uso commerciale né allo sfruttamento delle risorse spaziali sembra essere presente nel testo del Trattato, che tuttavia contiene solo un riferimento indiretto alle entità private includendole tra gli «attori non statali» menzionati all’articolo VI. Nello specifico, gli Stati parte sono tenuti ad assumersi la responsabilità internazionale per le attività svolte nello spazio da agenzie nazionali governative e non governative. Inoltre, è esplicitamente richiesta l’autorizzazione dello Stato e la supervisione continua delle attività degli attori non governativi, al fine di garantire che tali attività siano svolte in conformità con il diritto internazionale dello spazio. Allo stesso tempo, va considerato che, all’epoca dei negoziati, lo stesso scopo del Trattato sullo spazio extra-atmosferico era limitato alla creazione di una base normativa a partire dalla quale sarebbe stato poi possibile elaborare regole più specifiche, quando la materia gradualmente avrebbe iniziato a evolversi. In questo contesto, al momento della stesura del Trattato non si fece dunque menzione dello sfruttamento commerciale delle risorse spaziali. Tale approccio è probabilmente attribuibile anche alla posizione inflessibile dell’Unione Sovietica, che, in linea con l’ideologia comunista, si è a più riprese espressa contro il coinvolgimento di attori commerciali privati nello spazio[13]. Accanto all’Outer Space Treaty, l’Accordo che disciplina le attività degli Stati sulla Luna e altri corpi celesti (Moon Treaty) del 1979 all’articolo 11 afferma, in continuità con il precedente trattato, che «la Luna non è soggetta ad appropriazione nazionale da qualsiasi rivendicazione di sovranità, mediante uso o occupazione, o con qualsiasi altro mezzo», ribadendo nel paragrafo successivo che «né la superficie né il sottosuolo della Luna, né alcuna parte di essa o le risorse naturali esistenti, diventeranno proprietà di qualsiasi Stato, organizzazione internazionale intergovernativa o non governativa, organizzazione nazionale o entità non governativa o di qualsiasi persona fisica»[14]. Tuttavia, la formulazione «risorse naturali in loco» solleva la questione della possibilità che la proprietà delle stesse risorse possa essere consentita dal momento in cui queste saranno estratte previa opportuna autorizzazione e vigilanza da parte di uno Stato parte. Una risposta adeguata a questa domanda richiederebbe tuttavia la considerazione che, a differenza degli altri Trattati che regolano le attività umane nello spazio, l’Accordo sulla Luna non è riuscito a raccogliere il sostegno degli Stati membri delle Nazioni Unite. Infatti, al mese di dicembre 2023 solo diciotto Paesi hanno ratificato l’Accordo, a esclusione di Stati Uniti, Russia e Cina. Alla base dell’esitazione manifestata dalla maggior parte degli Stati vi è la qualificazione giuridica della Luna e degli altri corpi celesti come patrimonio comune dell’umanità, che differisce profondamente dal regime giuridico del res communis omnium codificato nell’Outer Space Treaty. Più precisamente, l’art. 11(1) del Moon Agreement caratterizza l’utilizzo delle risorse lunari a beneficio dell’intera umanità e attraverso la creazione di un’apposita organizzazione internazionale incaricata di amministrare le risorse per conto dell’intera comunità internazionale, la cui piena istituzione è stata tuttavia rinviata a un momento futuro in cui lo sfruttamento in questione sarebbe divenuto fattibile.

 

Le interpretazioni dottrinarie del principio di non appropriazione

Le interpretazioni dottrinarie contrastanti delle disposizioni dell’Outer Space Treaty rispetto al principio di non appropriazione e la pressione esercitata dalle società private in favore della possibilità di sfruttare ed estrarre risorse minerarie dalla Luna e da altri corpi celesti pongono in luce la difficoltà del diritto internazionale dello spazio nell’adattamento all’evoluzione delle attività private di space mining, aprendo così al rischio di frammentazione per l’assenza di un’interpretazione ufficiale e comunemente condivisa dell’estensione delle libertà e dei divieti contenuti nel Trattato sullo spazio extra-atmosferico anche alle società private. A questo proposito, per fronteggiare il diffondersi di interpretazioni unilaterali attraverso l’emanazione di singole legislazioni nazionali che regolano lo sfruttamento privato delle risorse minerarie spaziali, nel dicembre 2014 è stato costituito all’Aia lo Space Resources Governance Working Group[15], con il compito di affrontare le attuali incertezze giuridiche in materia di sfruttamento delle risorse spaziali. Composto da singoli esperti, rappresentanti di aziende private, istituzioni e governi nazionali in qualità di osservatori, il gruppo si riunisce al fine di valutare se sia attualmente necessario un quadro normativo per le attività relative alle risorse spaziali e, in caso di risposta positiva, di individuare gli elementi fondamentali di un quadro giuridico internazionale comune. In questa prospettiva, dall’inizio delle consultazioni il gruppo di lavoro ha presentato una bozza di documento contenente una serie di principi per lo sviluppo delle risorse nello spazio, accettata per la pubblicazione nel 2019 con l’etichetta di Building Blocks for the Development of an International Framework for the Governance of Space Resource Activities[16]. Al contempo, nel 2016 il sottocomitato legale COPUOS ha incluso lo sfruttamento delle risorse spaziali come argomento di discussione all’interno della propria agenda, e nel quinquennio successivo è stato istituito un gruppo di lavoro dedicato all’investigazione degli aspetti legali delle attività di sfruttamento delle risorse spaziali, contribuendo così a progressi significativi verso una comprensione comune e ampiamente condivisa del tema.  

  

La prassi statale: le legislazioni spaziali nazionali 

L’assenza di norme internazionali esplicitamente indirizzate alle entità private nello spazio ha contribuito alla presa di posizione degli Stati in merito alla possibilità di estrarre risorse nello spazio extra-atmosferico attraverso l’elaborazione di specifiche legislazioni nazionali. Anche in questo campo si è affermato il ruolo pionieristico degli Stati Uniti, dove già nel 2010 sotto la Presidenza Obama è stata definita una politica spaziale nazionale in ottica commerciale, poi confermata cinque anni dopo con l’entrata in vigore dello U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act[17]. Fu proprio questo atto normativo ad aprire il dibattito sulla legittimità dello sfruttamento delle risorse minerarie spaziali, poiché per la prima volta è stato affermato il diritto dei cittadini e delle imprese statunitensi a detenere, possedere, trasportare, utilizzare e vendere i materiali estratti dallo spazio «in accordo con le norme applicabili e gli obblighi internazionali degli Stati Uniti». Sulla stessa linea, il Lussemburgo è il primo Stato membro dell’Unione Europea a legiferare in materia, affermando la possibilità per le società lussemburghesi o europee con sede legale nel Paese di appropriarsi delle risorse naturali e minerarie estratte nello spazio previa autorizzazione dello Stato[18]. Allo stesso modo, gli Emirati Arabi Uniti si collocano tra le nuove potenze regionali che mirano a sviluppare le proprie capacità spaziali in vista dei benefici economici che potrebbero eventualmente derivare da un possibile sfruttamento commerciale delle risorse minerarie spaziali. A questo proposito, nel 2017 gli Emirati Arabi Uniti hanno presentato la propria politica spaziale nazionale in occasione di una riunione dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico (UNOOSA), indicando i principali interessi e obiettivi del Paese nello spazio extra-atmosferico. In questo contesto, già nel 2016 è stata annunciata la stesura di una legislazione spaziale nazionale, che è stata successivamente adottata nel 2019 con l’obiettivo di definire il contesto normativo per raggiungere gli obiettivi della politica spaziale nazionale degli Emirati Arabi Uniti[19]. Le attività di esplorazione o estrazione delle risorse spaziali rientrano tra le attività disciplinate dalla legge, che all’articolo 18 regola le condizioni relative alla concessione dei permessi per lo sfruttamento delle risorse spaziali, ivi compresa la loro acquisizione, acquisto, vendita, commercio, trasporto e stoccaggio. Non da ultimo, nel giugno 2021 la Dieta nazionale giapponese ha approvato la legge sulla promozione delle attività commerciali per l’esplorazione e lo sviluppo delle risorse spaziali (legge n. 83 del 2021). La legge è entrata in vigore il 23 dicembre dello stesso anno, facendo del Giappone il quarto Paese a possedere una legislazione per l’esplorazione delle risorse spaziali. Lo Space Resources Act prevede un sistema di autorizzazione nazionale nonché norme per l’acquisizione della proprietà delle risorse spaziali, con il più ampio obiettivo di promuovere le attività degli operatori economici nel campo dell’esplorazione e dello sviluppo delle risorse minerarie nello spazio[20]. Seppur si tratti di un fenomeno legislativo piuttosto circoscritto, l’adozione di quadri giuridici nazionali per la regolazione delle attività di estrazione mineraria a opera di società commerciali private apre all’importante considerazione dell’adeguatezza del diritto internazionale dello spazio, che – pur presentando caratteri di innovazione – dovrà inevitabilmente adattarsi tanto all’ingresso di nuovi attori nel dominio spaziale, quanto alla presenza di nuove fattispecie che necessitano di una regolazione giuridica nel breve termine.


[1] M. Spagnulo, Capitalismo stellare. Come la nuova corsa allo spazio cambia la Terra, Rubbettino, Soveria Mannelli 2022.

[2] ISPI, The Evolution of Space Economy. The Role of the Private Sector and the Challenges for Europe, 2020.

[3] A. Aresu e R. Mauro, I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio, 1950-2050, Luiss University Press, Roma 2022, p. 53.

[4] B. Dobos, Tortoise the Titan. Private Entities as Geoeconomic Tools in Outer Space, «Space Policy» 60 (2022).

[5] V. Chabert, Il capitalismo nello spazio. Le entità private come nuova potenza spaziale, «Diplomacy. Strategic Approach To Global Affairs», 1 (2022).

[6] G. Sanna, New Space Economy, ambiente, sviluppo sostenibile. Premesse al diritto aerospaziale dell’economia, Giappichelli, Torino 2021, p. 83.

[7] NASA, Bibliography for the Satellite Power System (SPS) Concept Development and Evaluation Program, 1981.

[8] F. Tronchetti, The exploitation of Natural Resources of the Moon and other celestial bodies: a proposal for a legal regime, «Studies In Space Law» (2009).

[9] NASA, NASA Welcomes India as 27th Artemis Accords Signatory, 2023.

[10] Department Of Defense and Full-Year Continuing Appropriations Act, Public Law 112-10, 2011.

[11] Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies (Outer Space Treaty), 1967, art. II.

[12] F.G. Von der Dunk, Private Property Rights and the Public Interest in Exploration of Outer Space, Space, Cyber and Telecommunications Law Program Faculty Publications, «Biological Theory», 13 (2018).

[13] P.G. Dembling e D.M. Arons, The evolution of the Outer Space Treaty, «Journal Of Air Law And Commerce», 1967, pp. 419-456.

[14] Agreement Governing the Activities of States on the Moon and Other Celestial Bodies, 1979, art. 11 para 1.

[15] International Institute of Air and Space Law, The Hague International Space Resources Governance Working Group, 2014.

[16] The Hague Space Resources Governance Working Group, Building Blocks for the Development of an International Framework for the Governance of Space Resource Activities, 2019.

[17] U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act, Public Law 114-90, 2015.

[18] Journal officiel du Grand-Duché de Luxembourg, Loi du 20 juillet 2017 sur l’exploration et l’utilisation des resources de l’espace, 2017.

[19] Federal Law No. 12 of 2019 on the Regulation of the Space Sector, (2019) 669, «UAE Official Gazette» 111.

[20] Act on the Promotion of Business Activities for the Exploration and Development of Space Resources (Act No. 83 of 2021), 2021.

Scritto da
Valentina Chabert

Dottoranda in diritto internazionale presso l’Università di Roma “La Sapienza”. È membro del Board of Advisors del The Hague Research Institute for Eastern Europe, the South Caucasus and Central Asia. È cultrice della materia in Sicurezza e Studi Strategici presso l’Università LUMSA e in Relazioni Internazionali e Global Governance presso l’Università UNINT di Roma. Ha studiato diritto internazionale presso la The Hague Academy of International Law.

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