Volontari e associazioni: un ponte tra coesione e innovazione sociale. Intervista a Cinzia Migani
- 13 Giugno 2025

Volontari e associazioni: un ponte tra coesione e innovazione sociale. Intervista a Cinzia Migani

Scritto da Giacomo Bottos

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Cinzia Migani è Direttrice Centro Servizi per il Volontariato Città Metropolitana di Bologna (VOLABO).


Cos’è il Centro Servizi per il Volontariato? Quali realtà aggrega e come funziona?

Cinzia Migani: Il Centro Servizi per il Volontariato della Città Metropolitana di Bologna è uno dei quattro centri oggi attivi in Emilia-Romagna. Questo assetto è il risultato della riforma del Terzo settore, che ha modificato quanto previsto in origine dalla Legge 266/1991 e, nel nostro caso specifico, anche dalla legge regionale promossa all’epoca dall’assessore Borghi. Quest’ultima prevedeva un centro servizi per ogni provincia, privilegiando le aree interne e periferiche, a prescindere dal numero di abitanti o di organizzazioni di volontariato presenti nel territorio di pertinenza. Si trattava di un’impostazione coerente con l’idea originaria della legge sul volontariato, che immaginava i volontari come protagonisti nella costruzione dei centri servizi, puntando su prossimità e vicinanza territoriale. Le trasformazioni normative introdotte dalla riforma del Terzo settore le abbiamo affrontate ancor prima che le direttive fossero pienamente recepite dagli organismi di controllo dei CSV – all’epoca era ancora operativo il Comitato di Gestione (Co.Ge), poi sostituito dall’Organismo Territoriale di Controllo (OTC). Abbiamo scelto sin da subito di estendere i nostri servizi a tutti i volontari, indipendentemente dall’appartenenza a organizzazioni di volontariato (ODV) o associazioni di promozione sociale (APS). Questa apertura anticipava i tempi e rifletteva una precisa scelta politica, orientata alla vicinanza alle realtà più piccole, consapevoli che sul nostro territorio esistevano già delle aggregazioni che, con la riforma, si sono trasformate in reti strutturate. Pur non avendo ricevuto un aumento di risorse, ci siamo trovati così a dover ampliare notevolmente la base degli utenti. Oggi siamo chiamati a supportare nella Città metropolitana 550 ODV, 1.610 APS e 182 altri Enti del Terzo Settore (ETS).

 

Qual è, in sintesi, la missione del Centro Servizi per il Volontariato?

Cinzia Migani: La nostra missione è sostanzialmente quella di promuovere e rafforzare la presenza del volontariato. È definita nel Codice di riforma Terzo Settore e si riflette nella nostra Carta dei Servizi. Il compito di promuovere il volontariato e di diffondere la cultura della solidarietà viene perseguito attraverso la formazione, intesa come supporto allo sviluppo delle competenze delle persone che operano nelle organizzazioni, l’erogazione di consulenze, che spaziano in vari ambiti, il sostegno dato alle associazioni per iscriversi al RUNTS e per caricare correttamente i bilanci e quanto attiene al Registro Unico. In particolare, per quanto riguarda le consulenze organizzative, adottiamo un approccio che privilegia le piccole realtà, proprio perché riteniamo importante sostenere chi ha meno strumenti. Un altro ambito fondamentale è l’animazione territoriale, che ha un ruolo crescente anche nello sviluppo dell’economia sociale. Siamo chiamati a sostenere e animare le reti, stimolando il dialogo tra le organizzazioni. Inoltre, ci occupiamo di ricerca, ma con un vincolo preciso: le ricerche a valenza nazionale devono essere sviluppate in raccordo con il sistema nazionale. Formazione, consulenza, ricerca, sostegno alle reti e animazione territoriale sono i nostri strumenti principali per dare concretezza alla nostra missione. Attraverso questi, cerchiamo di rendere il volontariato un’esperienza significativa per le persone e utile alla comunità.

 

Come adattate questi strumenti alle esigenze specifiche della vostra platea?

Cinzia Migani: L’animazione del territorio da un lato risponde alle richieste delle organizzazioni, dall’altro intercetta bisogni latenti emersi dall’analisi del contesto. In alcuni casi, sono le stesse associazioni a chiederci di facilitare incontri tematici o il confronto su specifiche sfide, come quelle legate al coinvolgimento dei giovani. In altri casi, invece, siamo noi a individuare temi cruciali, anche in assenza di una domanda esplicita, e li sottoponiamo alla base sociale. Se condivisi, diventano parte integrante della nostra programmazione. Un esempio significativo riguarda il contrasto alla povertà. Già dal 2010, durante la crisi economica, avevamo rilevato la necessità di far dialogare mondi diversi, come la Caritas, le ODV, le APS e gruppi informali. Abbiamo quindi promosso percorsi per unire tali realtà e rafforzare le reti sociali. Alcuni temi, come la povertà giovanile o la giustizia riparativa, sono emersi con forza e li abbiamo affrontati anche attraverso percorsi condivisi con il sistema nazionale dei CSV. Il nostro metodo è sempre lo stesso: ascolto, analisi, proposta, condivisione. Attualmente contiamo 105 associazioni nella base sociale, ma se includiamo le reti e i soci indiretti, il numero è molto più ampio. Quando identifichiamo un tema rilevante, lo portiamo alla loro attenzione, e se viene riconosciuto come prioritario, costruiamo insieme progetti, percorsi e servizi.

Un altro esempio emblematico riguarda il tema del riconoscimento delle competenze acquisite nel volontariato. Durante la crisi del 2010, con tassi di disoccupazione intorno all’8-8,5%, ci siamo interrogati sul senso, nel curriculum, di considerare “vuoto” il tempo dedicato al volontariato, quando in realtà proprio da quell’esperienza possono emergere competenze significative, utili anche in ambito lavorativo. Abbiamo sviluppato un’intera area di attività su questo, denominata “riconoscimento e valorizzazione delle competenze del volontariato”, focalizzata sulle life skills, e l’aver ottenuto di recente un premio europeo in questo ambito ci conforta. Da semplice atto gratuito, infatti, il volontariato viene oggi sempre più visto come un’esperienza formativa, capace di incidere sulle scelte di vita, soprattutto per le nuove generazioni. In questo senso, il ruolo dei Centri Servizi è anche culturale. Dobbiamo aiutare le organizzazioni a diventare soggetti capaci non solo di realizzare attività, ma anche di produrre pensiero, perché il sapere che nasce nelle aree informali non ha meno valore di quello accademico. Come ricordava recentemente Ivo Quaranta, oggi è noto che la conoscenza utile per affrontare i problemi sociali non arriva solo dai circuiti del sapere tradizionali. Per questo, diventa cruciale mettere in circolazione le esperienze del mondo del Terzo settore, del volontariato e della cittadinanza attiva, farne oggetto di riflessione e contribuire a generare nuove domande. Solo così possiamo davvero produrre innovazione sociale.

 

In questo contesto, perché è importante un documento come il Piano Metropolitano per l’Economia Sociale?

Cinzia Migani: Il Piano è importante, prima di tutto, per il cammino che ha compiuto ascoltando tanti soggetti, mettendo in dialogo mondi diversi – l’economia sociale, il pubblico, le imprese – e creando un confronto non scontato. Si tratta di un lavoro di convergenza, pur nelle differenze, che è riuscito a costruire uno spazio dove questi attori si sono potuti incontrare, riconoscere, ascoltare. Racconta come gli strumenti di co-programmazione e co-progettazione possono essere realmente utilizzati. Noi, come Centro Servizi, facciamo parte della cabina di regia, e dentro di me mi chiedo: quanto riusciremo a sperimentare ciò che è il cuore di questo percorso? Cioè non solo applicare delle procedure, ma provare davvero sia ad immaginare sia a far funzionare il gruppo di governo in modo nuovo. Quella è la vera scommessa. Spesso le normative nascono da pratiche che già esistono e che vengono codificate. La Legge 285/1997, la Legge 328/2000 rappresentano già il bisogno di una pianificazione sociale partecipata. Ma noi non possiamo limitarci ad applicare una norma come se fosse neutra, come se non avesse una storia dietro e una prospettiva di lavoro. Dobbiamo, invece, interrogarci su come la interpretiamo e la facciamo vivere nei contesti. Non basta che ci sia scritto che possiamo lavorare insieme, ma serve capire come lavoriamo insieme per abbattere i muri che non consentono il dialogo fra i diversi saperi.

La necessità di far circolare i saperi, di permettere la contaminazione tra esperienze, l’abbiamo già vissuta con il movimento che ha portato alla Legge 328. Mi chiedo quanto resterà forte, in questo Piano, la tensione a non prendere le parti solo per come sono descritte sulla carta, ma ad accettare e valorizzare la fluttuazione dei saperi. Perché il vero valore nasce nello scambio reale, nel confronto che prende forma, nella coralità che produce qualcosa che va oltre i singoli. Questa è la parte che dirà davvero se il Piano funziona. Poi dipenderà anche da come evolverà il contesto nazionale ed europeo. Inoltre, nella dimensione metropolitana ci sono soggetti più forti di altri, quelli con una maggiore forza economica o con una maggiore capacità di influenzare l’agenda politica, e la vera scommessa sarà far sì che anche il cittadino, o il rappresentante di una piccola associazione, chiamato a quel tavolo, si senta portatore di un sapere legittimo, ascoltato e valorizzato.

 

Andando nello specifico del percorso del Piano Metropolitano per l’Economia Sociale, voi come siete stati coinvolti, che tipo di prospettiva avete avuto su questo processo e quali possono essere, a vostro avviso, le prospettive future?

Cinzia Migani: Il nostro coinvolgimento è iniziato fin dalle prime fasi del percorso, quando ogni soggetto ha avuto la libertà di decidere se partecipare agli incontri promossi dai promotori del Piano. In quella fase iniziale molte associazioni del territorio hanno scelto autonomamente di esserci o meno. Successivamente, quando il Piano ha cominciato a delinearsi in forme più strutturate, siamo stati coinvolti ufficialmente come CSV. Il nostro contributo si è espresso in particolare attraverso la presenza della nostra tesoriera, giovane e molto preparata, con una doppia laurea in economia e psicologia. Insieme a lei hanno partecipato anche la vicepresidente, con una solida esperienza nell’ambito pubblico e sindacale, e il nostro presidente, con una formazione ingegneristica e un impegno attivo nel mondo del volontariato di piccole associazioni. Io stessa ho preso parte agli incontri e abbiamo condiviso alcune osservazioni critiche, evidenziando, ad esempio, situazioni in cui ci sembrava che alcuni attori sociali fossero stati coinvolti in modo non del tutto coerente con quanto già esisteva sul territorio. Naturalmente, sono stati ascoltati molti altri mondi. La sintesi finale del Piano riflette proprio questa pluralità di contributi, integrata e rielaborata da chi ha avuto il compito di redigere il documento. A livello personale, sono stata anche parte del Comitato di Impulso e Monitoraggio (CIM) del Comune di Bologna, coinvolto proprio nell’elaborazione del Piano.

Uno degli aspetti che abbiamo portato all’attenzione come Centro Servizi riguarda la differenza tra il livello comunale e quello metropolitano. I territori non sono omogenei, hanno bisogni e strutture organizzative molto diverse, e parlare di co-progettazione e co-programmazione a Bologna è una cosa, parlarne in Appennino è un’altra. Le implicazioni pratiche cambiano, così come cambiano gli interlocutori e le condizioni di contesto. È necessario quindi prestare attenzione al ruolo specifico dei territori, un aspetto formalmente già previsto dal Piano. Altro elemento cruciale è la necessità di diffondere in modo capillare conoscenze e strumenti operativi, soprattutto in previsione dell’attivazione di convenzioni o atti amministrativi. Ricordo che, molti anni fa, da studentessa, studiai la teoria della giustizia di John Rawls. Mi colpì profondamente la riflessione sul nascere senza sapere da quale parte del mondo si arriverà, se dalla parte privilegiata o da quella più fragile: credo che un Piano per l’economia sociale sia efficace solo se è in grado di riconoscere le diverse posizioni e regolamentare le forze in gioco tenendo conto delle disuguaglianze.

Come Centro Servizi, riteniamo che il punto di partenza debba essere il valore della comunità, delle differenze e della solidarietà. Se parliamo di contrasto alla povertà, ad esempio, è fondamentale contestualizzare le soluzioni, perché anche una soluzione “giusta” in teoria può avere effetti negativi se non è adattata al contesto. Questo significa che non basta replicare strumenti già esistenti, ma occorre ripensare, in ogni caso, come costruire convenzioni coerenti con la normativa – penso agli articoli 55-57 della riforma del Terzo settore. Alcuni saperi devono diventare patrimonio comune e condiviso e la scelta di come agire in ambito di economia sociale deve nascere dalla storia e dalla realtà del contesto, altrimenti si rischia una forma di colonizzazione, e mi prendo la responsabilità di usare questo termine. Un Piano ha senso se crea condizioni di equità e consente a ciascuno di scegliere gli strumenti più adatti alla propria storia e al proprio territorio.

 

Come Centro Servizi per il Volontariato cosa potete fare in questo senso?

Cinzia Migani: Il nostro ruolo è sostenere le associazioni, che costituiscono i soggetti dell’economia sociale. Il mutualismo rappresenta la modalità attraverso cui agiamo per garantire che i diversi attori sociali possano assumere un ruolo attivo da protagonisti, permettendo finalmente di arrivare a una definizione completa della persona che vive in un territorio. Qualcuno parla di abitante, altri di cittadino, altri ancora utilizzano definizioni diverse, ma l’importante è che vengano declinate le varie sfaccettature attraverso cui viene identificata la persona, non solo come fruitore di un servizio. Su questo aspetto, ci ha molto aiutato il lavoro nell’ambito del teatro della salute mentale, dove troviamo la radice della riforma dei servizi. Abbiamo quella parte della riforma che si collegò al movimento basagliano, il cui slogan “se si può, si deve” aveva come obiettivo il riconoscimento dei cittadini indipendentemente dalle difficoltà che vivono, oltre al riconoscimento di quei diritti fondamentali che oggi risulta tanto difficile sostenere.

Su questo passaggio, sapendo che non tutto potrà essere finanziato per mancanza di risorse, forse bisogna iniziare a immaginare come mettere in pratica il mutualismo, unendo il maggiore protagonismo alla capacità di rivestire più ruoli. È una questione che non rientra pienamente nei compiti del CSV tradizionale, ma appartiene a quella parte che lavora per animare le comunità e creare reti, immaginando di superare l’assistenzialismo che da tempo si desidera oltrepassare. Iniziamo a porci la questione di come il fruitore dei nostri servizi possa diventare un soggetto cui viene riconosciuta una competenza; come possa diventare un pari fra gli altri; come realizzare attività in partnership oltre il nostro brand. La ricchezza dei servizi sta nella costruzione delle risorse insieme agli altri. Questa potrebbe essere la modalità attraverso cui incrociamo il Piano per l’economia sociale: sostenere le associazioni che operano nei territori, ma agire anche attraverso le attività per colmare i gap esistenti fra come si sta muovendo la comunità e i temi che avrebbero bisogno di essere attenzionati.

 

Quella di economia sociale, in generale, è una categoria che trovate utile? Quali sono i punti di forza e di criticità di questa categoria?

Cinzia Migani: La troviamo certamente utile, anche perché siamo noi stessi parte di quella categoria in quanto soggetto del Terzo settore che ha il compito di servire altri soggetti appartenenti alla stessa categoria. Nel nostro mondo, se andiamo a vedere il piano della nostra economia, troviamo la cittadinanza attiva, i patti di collaborazione e altre forme. Siamo parte di quei progetti che portiamo avanti insieme agli altri per animare la comunità. Prendiamo l’abitare come problema centrale: fanno parte della base sociale del CSV alcune organizzazioni che già se ne occupano, come Auser con l’abitare solidale, o le forme di abitazione legate al Dopo di noi. Siamo un soggetto che eroga servizi a queste associazioni che già fanno parte del sistema dell’economia sociale, attivandoci per capire come sostenerle. Se le organizzazioni, le persone o i cittadini ci portano, ad esempio, il tema del disagio giovanile, analizziamo quali sono i problemi e se le risposte sono adeguate, con attenzione alle pratiche di innovazione sociale. Attraverso l’animazione territoriale uniamo le persone per formulare questioni che poi vengono espresse in termini di progettualità sociale. Con le scuole, ad esempio, ci muoviamo nell’ambito della promozione del volontariato, che credo sia uno dei passaggi fondamentali non solo del CSV, ma anche del Piano metropolitano.

 

Abbiamo parlato dell’abitare, che è la prima delle quattro missioni tematiche. Le altre riguardano: qualità e senso del lavoro, welfare di prossimità ed educazione, turismo sostenibile e sviluppo del territorio. Le vostre organizzazioni come sono coinvolte in tutti questi ambiti e in quali lo siete maggiormente?

Cinzia Migani: Nel welfare di prossimità siamo pienamente coinvolti, mentre sul turismo sostenibile dipende da quello di cui stiamo parlando. Le faccio un esempio: in passato, quando ero responsabile della formazione al CSV di Modena, uno dei primi corsi che organizzai riguardava il turismo sostenibile, insieme al referente argentino dell’associazione italiana che rappresentava il settore. Ci chiedevamo: turismo sostenibile per chi, per quali fasce? Altro esempio sono stati i progetti, sostenuti con modalità diverse dai CSV, di alcune realtà associative, spesso riconducibili a tematiche quali l’ambiente o la disabilità, che iniziarono a mappare dove si poteva fare turismo sostenibile e quali fossero le barriere architettoniche da superare. In alcuni casi abbiamo svolto anche un ruolo di advocacy per le associazioni. Ad esempio, alcune organizzazioni ci hanno segnalato che è difficile prenotare un taxi a Bologna che possa trasportare una persona con disabilità motoria. In quel caso abbiamo iniziato a raccogliere informazioni per verificare se questa esigenza fosse sentita anche da altre organizzazioni, successivamente le abbiamo messe in contatto perché potessero rappresentare insieme il loro bisogno, come portatori di interesse, all’amministrazione locale.

Le diverse funzioni che possiamo svolgere a sostegno del volontariato e del Terzo settore partono da un punto fondamentale, che curiamo soprattutto nell’ambito della consulenza giuridico-fiscale: far sì che queste associazioni siano e rimangano iscritte al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. Quello è il luogo che consente loro di avere una funzione formale, già definita per legge, di “terzo pilastro”. Non è facile riconoscersi uno spazio di parola come soggetto portatore di sapere. Lo dimostra il fatto che ogni volta che parliamo di esperienze da raccontare in modo “scientifico” abbiamo bisogno dell’intermediazione universitaria, che ovviamente è utile. Mi chiedo però perché un’esperienza vissuta quotidianamente da chi sperimenta direttamente il problema debba avere bisogno di intermediazione per essere riconosciuta scientificamente, quando la ricerca sociale ci offre più strumenti e più ruoli per produrre conoscenza. Se un professore universitario può parlare di indagine qualitativa, perché non può farlo un’associazione che è quotidianamente vicina a chi vive in condizione di vulnerabilità e fragilità e che lotta quotidianamente per il riconoscimento dei suoi diritti?

 

Quali sono le sfide future per i Centri Servizi per il Volontariato nell’ambito dell’economia sociale?

Cinzia Migani: Vorrei premettere che il contributo che porto è un contributo di parte, che forse la dimensione politica della governance del CSV avrebbe potuto arricchire con altri elementi. In questo caso poteva emergere anche la componente della militanza, che è ciò che si rischia di perdere: il sapere di chi sceglie di investire le proprie ore libere per agire concretamente. Una delle sfide più delicate riguarda sicuramente il tema del lavoro. Spesso, quando si parla di lavoro nel Terzo settore, si pensa che solo le APS o le cooperative possano affrontare questo tema, non le ODV. In realtà tutti hanno, o possono avere, al proprio interno dei lavoratori: il CSV è un caso tipico perché è composto sia da persone che lavorano sia da volontari. Non è lo status che fa la differenza, e lo dico come persona che è stata sia presidente di associazione sia lavoratrice in ODV. Uno dei primi punti da affrontare, parlando di economia sociale, è uscire da quegli stereotipi che creano distanze tra chi lavora e chi fa volontariato. Se discutiamo di economia sociale dobbiamo superare questi steccati quando parliamo di saperi che abitano i confini e innovano. Questo sarà un punto di grande delicatezza nella relazione tra i soggetti del Terzo settore. Nella relazione con le imprese, invece, ci sarà il tema di capire la dialettica del tempo, degli investimenti e del sapere sistemico. Dovremmo prendere spunto da alcune aziende straniere più evolute che hanno compreso di dover investire anche sul contesto territoriale, non come quelle che arrivano, sfruttano e se ne vanno.

Dovremmo, inoltre, sviluppare la consapevolezza che il contesto comunitario è parte della vita in cui agiamo, quindi immaginare un dialogo diverso con alcuni attori sociali, fra questi le fondazioni bancarie e le scuole. Proprio ora abbiamo chiesto ad una scuola di lavorare con noi per identificare il logo di un progetto incentrato sul favorire trasformazioni e sul rafforzare la relazione fra il mondo profit e non profit per sostenere l’associazionismo del circondario imolese, in collaborazione con una fondazione bancaria. Il tema importante è capire come il Centro Servizi possa supportare le organizzazioni che producono economia sociale e come queste possano dialogare con gli altri. Vogliamo riformulare questo approccio, anche attraverso lo sguardo dei giovani che ci aiuteranno a capire come vedono questo esperimento e le possibili direzioni.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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