La normalizzazione dei sovranismi. Intervista ad Angela Mauro
- 23 Giugno 2024

La normalizzazione dei sovranismi. Intervista ad Angela Mauro

Scritto da Nicola Dimitri

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Le ricorsive e croniche crisi economiche, le emergenze sanitarie e climatiche e gli atroci conflitti in corso contribuiscono a rendere certamente complesso l’attuale momento storico. Se si guardano da vicino alcune dinamiche economico-politiche che interessano l’Unione Europea, si vedrà che, verso l’esterno, i profondi processi di riscrittura della globalizzazione sembrano, sempre di più, subordinare un’Unione priva di autentica autonomia politica all’egemonia di altre potenze; verso l’interno, invece, gli equilibri politici tra i Paesi europei, anche per via delle più recenti criticità, sembrano riproporre un’irriducibile contrapposizione tra lo sforzo di promuovere nuovi progetti di solidarietà sovranazionale e l’interesse a tutelare le sovranità nazionali. In questo difficile scenario, le numerose forze centrifughe che attraversano l’Unione Europea – mettendone in discussione l’idem sentire e la coesione – sembrano aver dotato di nuova forza proprio la “questione” della sovranità. Non è un caso se ormai da tempo in Europa si assiste a una pervicace proliferazione di movimenti politici nazionalisti, di ossessioni identitarie e di derive euroscettiche, di rivendicazioni autonomistiche e di tentativi di alcune Corti nazionali di far prevalere la legge interna su quella europea. 

In questa intervista discutiamo con Angela Mauro dei pericoli che corre oggi l’Europa, ancora priva di un’autentica narrazione democratica e sempre più esposta al crescente peso dei movimenti politici sovranisti e nazionalisti. Angela Mauro, giornalista di lungo corso, inviata speciale di Huffpost in Europa, negli ultimi anni ha prestato molta attenzione alla diffusione nell’Unione e tra i suoi Stati membri dell’ombra dei sovranismi e nazionalismi, mettendo in evidenza la contiguità che esiste tra questi fenomeni e la più ampia crisi di legittimità dell’Unione. A tal riguardo, ha recentemente pubblicato per Feltrinelli Europa sovrana. La normalizzazione dei nazionalismi (2024).


Che volto ha oggi il nazionalismo in Europa?

Angela Mauro: Oggi in Europa il nazionalismo ha il volto di Geert Wilders, il leader dell’ultradestra olandese fondatore del Partito per la Libertà (PVV) e alleato di Matteo Salvini nel gruppo europarlamentare Identità e Democrazia. Vincitore delle elezioni in Olanda il 22 novembre 2023, ma senza una maggioranza per governare, Wilders è riuscito a raggiungere un accordo di governo con i liberali di destra olandesi (VVD), con il partito degli agricoltori (BBB) e un partito centrista. Oltre che dall’Italia, dove al governo c’è una coalizione di centrodestra a trazione di destra con al comando Giorgia Meloni, premier con radici politiche neofasciste, lo sdoganamento delle destre in Europa passa per l’Olanda, dove i liberali hanno permesso a Wilders, islamofobo e anti-immigrati, uno tra i più estremi della galassia nazionalista, di arrivare al potere seppure non da primo ministro. Ha prevalso la convinzione che, con nuove elezioni, Wilders avrebbe conquistato una maggioranza per governare da solo, timore anche fondato. Il punto è che ci si accorge delle destre quando è troppo tardi. In Europa Sovrana. La normalizzazione dei sovranismi anticipo la nascita di questo nuovo governo a L’Aja: me ne hanno parlato delle ottime fonti parlamentari già a febbraio, quando stavo terminando la stesura del libro. E me ne hanno parlato come di un governo che sarebbe nato a maggio, alla scadenza del tempo utile per evitare il voto anticipato. Insomma il disegno era già preparato, anche se le trattative sono andate avanti per mesi. Wilders è uno che poco prima che nascesse il nuovo esecutivo ha continuato a chiedere di chiudere tutte le moschee. L’esecutivo con i liberali si pregia di voler seguire la “legislazione più rigida” sull’immigrazione, restringendo il più possibile le politiche sull’accoglienza, con rimpatri anche forzati dei “clandestini” e maggiori controlli alle frontiere. Negli ultimi cinque anni di legislatura, soprattutto con l’incertezza economica scatenata dalla guerra in Ucraina che ha indebolito la fiducia nelle istituzioni europee alimentata dal Next Generation EU nell’opinione pubblica degli Stati membri, i leader populisti-sovranisti sono riusciti a influenzare l’agenda dei partiti più grandi e tradizionalmente moderati. Emblematico è il caso del PPE e del suo rapporto con Giorgia Meloni. La più grossa “famiglia politica europea” ormai guarda a destra per le alleanze negli Stati membri e sui dossier europei, per esempio il Green Deal. L’Europa è attraversata da un’ondata di ultradestra che minaccia il percorso di integrazione tra gli Stati.

 

Quali sono i principali fattori e le contraddizioni più rilevanti che indeboliscono l’Unione agli occhi dei cittadini? C’è un legame diretto tra tali fattori di debolezza e l’affermazione di forze nazionaliste?

Angela Mauro: Le urgenze che caratterizzano le più recenti congiunture internazionali hanno indotto le istituzioni europee a prendere delle decisioni anche impopolari. Se il Next Generation EU aveva permesso, tra le varie cose, di tenere a bada i movimenti nazionalisti e indirizzare le politiche degli Stati membri verso obiettivi comuni, avvicinando anche l’elettorato alle istituzioni, la guerra in Ucraina ha messo in crisi la scommessa iniziale. Il Next Generation EU scommetteva sulla ripresa e invece è arrivata una nuova congiuntura a complicare il quadro. L’elevato livello di allarme, percepito in ambito politico e pubblico, mette in luce le debolezze sistemiche dell’Unione e ciò fa sicuramente gioco ai movimenti sovranisti, i quali strumentalizzano la paura, i sentimenti negativi e ne fanno slogan politico. Non è per caso che i partiti dell’ultradestra e i movimenti sovranisti, in questo momento, sono al primo o al secondo posto in classifica negli Stati nazionali. La Brexit nel 2016 è il risultato di una prima ondata di euroscetticismo in Europa e ha ispirato altre forze nazionaliste che hanno tentato un primo assedio al Parlamento europeo con le elezioni del 2019. Ora siamo di fronte a un salto di qualità, un tornante “inedito” della storia. Ora L’establishment liberale e di centrodestra non disdegna le alleanze a destra e sdogana sempre più queste forze politiche, come insegna il caso olandese e, prima ancora, quello italiano.

 

Nel suo Europa sovrana. La normalizzazione dei nazionalismi, lei ha messo in evidenza, con riferimento al conflitto in Ucraina, che lo scenario bellico che circonda l’Europa potrebbe segnarne la definitiva emarginazione sulla scena mondiale. In che termini? Quali ulteriori elementi introduce in questo scenario il conflitto israelo-palestinese?

Angela Mauro: Il conflitto in Ucraina ha rafforzato la NATO e indebolito l’Unione Europea. Le priorità dell’Alleanza, in questo momento, non solo pesano di più di quelle dell’Unione, ma di fatto le indirizzano. Molte decisioni, ad oggi, vengono prese o in ambito NATO o a livello nazionale. L’Europa è un attore politico di fatto emarginato, privo di un vero potere decisionale se non sulle sanzioni contro la Russia, spesso da indicazioni del G7. Per certi aspetti questa circostanza non stupisce. L’Europa non ha politica estera comune, ma una somma di politiche estere degli Stati membri. Un deficit che salta agli occhi in momenti problematici come quello attuale, determinando la subalternità dell’Unione rispetto alle altre potenze mondiali. In questi anni di guerra la NATO è anche diventata, più di quanto non fosse in precedenza, “luogo” di legittimazione politica. È grazie ai rapporti con la NATO che, negli ultimi tempi, i vari leader nazionalisti si sono accreditati e hanno cercato e trovato le chiavi per governare. Si prenda per esempio il caso Meloni. Una leader che in passato è stata vicina a Putin, una leader che ha esultato quando Putin dieci anni fa parlava di referendum in Crimea, ha capito che le logiche sono cambiate. Ha capito che per governare doveva staccarsi dalla Russia, spostarsi verso l’atlantismo, verso gli Stati Uniti, fino a diventare, come apparso in un articolo di Fox News, la “cocca” di Biden. Meloni ha infatti prontamente garantito l’impegno dell’Italia al fianco di Kiev contro Mosca. Un percorso simile è stato avviato, anche se in forma ancora embrionale, da Marine Le Pen. Persino Le Pen, che anni fa ha ammesso di essere stata finanziata dalla Russia, di recente ha condannato l’invasione di Putin in Ucraina. Possiamo dire che oggi la NATO è il dante causa di molti leader, è la good company, la casa dove i politici in cerca di legittimità internazionale possono trovare la loro patente per governare. La NATO perdona anche i nazionalisti più testardi, l’importante è che si schierino dalla parte giusta della storia. L’Europa continua a esercitare attrazione, basti vedere la fila dei Paesi che vogliono entrare, a cominciare dalla stessa Ucraina. Ma essendo priva di competenza in materia di politica estera, è automaticamente emarginata dai veri circoli decisionali che risiedono altrove, in primis negli Stati Uniti, se dobbiamo considerare l’ambito degli alleati dell’Unione Europea. La crisi in tutto il Medio Oriente e la guerra israelo-palestinese esaltano questa mancanza di influenza da parte europea. Ne sono in un certo senso l’emblema. E pure nell’impossibilità di esercitare una vera influenza, l’Unione si è divisa tra posizioni più vicine ai palestinesi, tentativi di ricerca di un equilibrio e approcci fortemente sbilanciati verso Israele, come quello di Ursula von der Leyen.

 

Nel suo ultimo libro Europa sovrana. La normalizzazione dei sovranismi, lei sottolinea che in Europa sarebbe in atto un vero e proprio fenomeno di radicamento del sovranismo. Quali sono le strategie attraverso cui alcune forze politiche sarebbero riuscite a “normalizzare” il sovranismo e quali sono le responsabilità (se ci sono) delle forze sostenitrici dell’integrazione europea?

Angela Mauro: Ho deciso di scrivere Europa sovrana per raccontare da vicino le dinamiche e i retroscena che hanno consentito ai movimenti dell’ultradestra di affermarsi nel tessuto politico degli Stati membri, di stringere alleanze con i partiti europei moderati, di acquisire sempre maggiori margini di azione politica nell’orientare l’agenda europea. Mi sono chiesta come sia stato possibile che, anche dopo il miracolo Next Generation EU, l’Unione non sia riuscita a liberarsi del suo cancro sovranista. Nella prima edizione del libro, mi soffermo sulla cedevolezza dei leader cosiddetti europeisti, spesso pavidi nel controbattere alla propaganda nazionalista che li ha messi in crisi mietendo consensi. Nella seconda edizione, mi soffermo sull’esito di questa deriva: lo sdoganamento vero e proprio dei partiti nazionalisti che, man mano che scalano le classifiche del potere in Europa, man mano che conquistano il governo, non vengono più definiti “estrema destra”, ma solo “destra” e di fatto diventano un fenomeno ritenuto “normale” nella dinamica politica. Come se si potesse normalizzare la propaganda nazionalista nell’Unione Europea che è nata per mettere fine ai nazionalismi che ci hanno portato a due guerre mondiali. Prendiamo, ad esempio, il potere di veto spesso usato da Viktor Orbán e dai suoi alleati dell’Est. Spesso il loro gioco riesce perché anche altri Stati hanno interesse a rimandare, bloccare, certe scelte. In Europa si annida molto nazionalismo non dichiarato. In materia di immigrazione, per esempio, i trattati prevedono decisioni a maggioranza e non all’unanimità. Eppure in questi anni è stata sempre cercata l’unanimità: un alibi per non decidere. Non a caso è fallito il Piano Juncker per la distribuzione dei migranti quasi dieci anni fa. Quando nel 2023 si è deciso che era tempo di chiudere l’intesa sul nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo prima della fine della legislatura, si è capito che bisognava lasciare indietro chi non era d’accordo e decidere quindi a maggioranza. Ungheria e Polonia hanno votato no: anche quando a Varsavia è cambiato il governo a ottobre 2023, il nuovo premier moderato, il popolare Donald Tusk, ha deciso di confermare la posizione contraria del suo predecessore, il sovranista e alleato di Meloni Mateusz Morawiecki. Meloni invece si è accordata con Francia e Germania, sostenendo il Patto. Un Patto che nel frattempo non risolve i problemi dell’accoglienza e si concentra sulla parte securitaria, sui controlli alle frontiere anche per i minori, è frutto di anni di trattative con i governi di destra in aumento nell’Unione. Proprio sull’immigrazione, l’approccio nazionalista fa comodo a tutti. Nel libro scrivo che la politica dei “porti chiusi” di Salvini, quando era ministro degli Interni del governo “giallo-verde”, ha fatto un favore anche ai francesi. Racconto che nel 2019, nel corso di un vertice tra i Ministri degli Interni dei Paesi G7 a Parigi, sotto la presidenza francese, Christophe Castaner, fedelissimo di Macron allora Ministro dell’Interno in Francia, si trovò d’accordo con molti punti di Salvini in materia di immigrazione e concordò anche nell’accusa alle ONG impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo. Ciò che intendo dire è che il sovranismo e il nazionalismo in Europa avanza anche grazie ai politici cosiddetti europeisti che adottano le loro stesse ricette sperando così di mantenere il consenso elettorale e non disdegnano di stringere intese con gli estremisti, sperando di dominarli. Una ricetta che si è già rivelata sbagliata nella storia: anche Giolitti provò a “controllare” Mussolini e si sa come è andata a finire. Lo schema si sta ripetendo oggi. Se il sovranismo, l’euroscetticismo si stanno radicando così facilmente nell’Unione, se le loro parole d’ordine sono percepite come “normali” in larghe fette della società, lo si deve ai “vuoti politici” creati dalla leadership filoeuropeista. I movimenti sovranisti hanno riempito questi “vuoti”, riuscendo a imporsi e a dettare l’agenda, perché è sempre facile fare propaganda facendo leva sulle paure e sulle incertezze che dominano questa fase storica. È propaganda del tutto irrazionale, senza soluzioni, ma incredibilmente esercita una considerevole presa sull’elettorato perché si poggia su ciò che non è stato fatto per prevenirla. Faccio due esempi che chiamano in causa anche i media, noi che facciamo informazione. Il caso dei profughi ucraini è stato raccontato da tutti in termini di solidarietà e umanità. Chi scappa dalla guerra deve essere accolto, giustamente. Parole d’ordine che abbiamo sentito in qualunque servizio televisivo, appena è scoppiata la guerra. E di conseguenza, la gente ha risposto bene, ha aperto le porte, ha accolto i profughi anche in casa propria. Una narrazione simile non è stata fatta sull’immigrazione dal Mediterraneo. Eppure anche in questo caso si tratta di gente che scappa dai conflitti o dalla disperazione, non certo di gente che vuole andare in vacanza rischiando la vita in mare. La narrazione basata sulla paura ha lasciato campo libero alle destre, che hanno costruito bene la loro propaganda, per lo più indisturbate da chi, media mainstream o politici, dovrebbe difendere i fondamenti del diritto e della nostra democrazia illiberale. Un altro campo nel quale i nazionalisti sono riusciti a introdursi facilmente è il Green Deal: fatto con così pochi soldi per sostenere i sacrifici della transizione, che l’ultradestra ha avuto gioco facile a cavalcare le proteste dei trattori, inducendo von der Leyen e tutto il Partito Popolare Europeo alla marcia indietro sugli obiettivi per la sostenibilità ambientale.

 

Una tendenza propria di molti movimenti politici di tipo nazionalista o populista è quella di identificare l’elettorato – in particolare il proprio – con il “popolo”, equiparando la volontà degli elettori all’interesse generale. Che forma assume questa tendenza in casi come quello ungherese o polacco? Si tratta di dinamiche riscontrabili anche in Italia?

Angela Mauro: Il nostro Paese è stato tra i primi a sperimentare forme di populismo vincente, movimenti populisti che sono riusciti ad arrivare al potere. Pensiamo a Matteo Renzi, al Movimento 5 Stelle, allo stesso Salvini e ora a Meloni. Tra Renzi e Meloni ci sono numerose differenze, chiaramente, ma il senso di fondo che aveva spinto il primo a proporre la riforma costituzionale non è tanto lontano dalla proposta della leader di Fratelli d’Italia che ora punta al “premierato”. Tuttavia, oltre ai vari progetti di riforma costituzionale, a destare ancora più preoccupazione è l’ormai cronica marginalità del Parlamento. Le proposte di legge di iniziativa parlamentare non si vedono praticamente più. Quando facevo la cronista parlamentare, mi ricordo che c’erano iniziative di legge parlamentari. Ora, invece, tutto arriva da Palazzo Chigi. Il Parlamento è ridotto a luogo dove si approva la linea del governo con qualche minimo e sporadico emendamento. Siamo dunque di fronte a un’ampia crisi della democrazia rappresentativa, e in questa crisi le forze sovraniste-populiste riescono a radicarsi con facilità, tanto in ambito nazionale quanto in Europa. Ungheria, Polonia, Italia, Francia: questi Stati, in modo profondamente diverso, stanno sperimentando l’avanzata o l’affermazione del binomio nazionalismo-populismo. Si tratta di una formula che certamente si declina in molti modi, anche assai differenti tra loro, ma che mostra numerosi tratti comuni. Uno su tutti, appunto: fare ricorso in modo strumentale al concetto di popolo, favorire dinamiche di accentramento di potere, delegittimare, in maniera assolutamente contraddittoria l’Europa. Si pensi alla campagna elettorale della Lega per il Parlamento europeo: “Più Italia, meno Europa”. L’idea non è di uscire dall’Unione: la Brexit ha dimostrato che si può ma anche che non conviene e i fondi comuni fanno comodo a tutti. L’obiettivo è piuttosto svuotare l’Unione, assegnando più potere agli Stati. Poi però non si capisce come faranno gli stessi Stati a sopravvivere se l’Unione Europea non si dota di strumenti comuni per affrontare le sfide di investimenti nella difesa, nel green, nel digitale. Se ci riduciamo di nuovo a un continente di staterelli come nell’Ottocento non reggiamo la concorrenza della Cina, della Russia, ma anche quella degli alleati statunitensi.

 

Per molto tempo l’influenza della Germania in Europa è stata determinante, nel bene e nel male. Per un verso, la Germania ha influenzato in modo molto significativo le politiche europee – non a caso Ulrich Beck ha parlato di “Europa tedesca” –, per un altro verso, la Germania, e in specie Angela Merkel, ha fatto molto per affermare l’Europa sul piano internazionale. Le cose stanno ancora così? Che ruolo ha oggi la Germania in Europa?

Angela Mauro: Ritengo che gran parte dell’odierna crisi dell’Unione Europea si possa ascrivere al fatto che è in crisi la Germania. L’uscita di scena di Merkel ha coinciso con la crescita dei nazionalismi. Europa sovrana inizia proprio da un discorso di Merkel che, già nel 2018, esprimeva i suoi timori per la crescita di questi movimenti, che in qualche modo però la cancelliera è riuscita a tenere a bada. E comunque sarà la storia a stabilire quale sia stato il ruolo di Merkel nella tenuta di un certo equilibrio in Europa fino alla fine del suo lungo ciclo politico nell’autunno del 2021: una questione ancora poco dibattuta, ma di grande rilevanza secondo me. La guerra in Ucraina, scoppiata dopo il cambio di governo in Germania, ha cambiato tutto: ha cambiato i connotati all’Europa. Volente o nolente, l’Unione Europea non sarà più quella che abbiamo conosciuto. Il conflitto in corso sul fronte ucraino ha costretto la Germania a rivoluzionare il proprio approvvigionamento energetico dalla Russia, generando paura e ansia sociale nella popolazione tedesca, anzi una vera e propria psicosi da alta inflazione e depressione economica. Se prima la Germania poteva vantare una posizione dominante in Europa, ora le cose sono cambiate. La Germania, che dal punto di vista economico era la locomotiva d’Europa, e che – non senza contraddizioni – è stata un riferimento dell’europeismo, adesso ha il segno meno sulle prospettive di crescita economica e dal punto di vista politico sembra fortemente indebolita. Incapace, come invece è riuscita a fare fino a poco tempo fa, di moderare l’avanzata dei sovranismi proveniente dai Paesi dell’Est dell’Unione e di controllare l’aumento dei consensi della destra nazionalista entro i suoi stessi confini. Alternative für Deutschland, partito tra i più estremi della destra europea, è cresciuta sull’onda del dibattito nazionale sull’eliminazione delle caldaie a gas, oltre che sulla propaganda anti-migranti. Ed è primo partito nella Germania dell’Est, dove ben tre Länder vanno al voto a settembre. Si tratta di una tendenza che ha già influenzato l’attività del governo della cosiddetta coalizione semaforo, composta da socialisti, liberali e verdi in eterno conflitto tra loro. Per via della crescita dell’estrema destra nazionalista, contraria a qualunque percorso di rafforzamento dell’integrazione tra gli Stati dell’Unione e anche di solidarietà nei confronti dei Paesi ad alto debito come l’Italia, il governo tedesco ha irrigidito le proprie posizioni nella trattativa sul Patto di stabilità e crescita. Il ministro liberale Christian Lindner ha chiesto e ottenuto paletti rigidi di austerity, con criteri fissi di riduzione del debito e del deficit che non erano contenuti nella proposta iniziale del commissario Paolo Gentiloni e che dettano condizioni molto severe non solo per l’Italia, ma anche per molti altri Stati membri alle prese con tempi difficili.

 

La nuova legislatura europea sta per iniziare. Come lei mette in evidenza, in questo periodo di forti instabilità e insicurezze l’ultradestra ha potuto allargare la sua sfera di influenza. Ebbene in che modo, oggi, le elezioni negli Stati Uniti possono influenzare il destino dell’Europa?

Angela Mauro: Le presidenziali degli Stati Uniti d’America sono cruciali anche per il futuro dell’Unione Europea. La prima vittoria di Donald Trump nel 2016 è figlia dello stesso vento che in Europa ha portato la Brexit nel 2016. Ormai le tendenze politiche del nostro mondo globale sono legate tra loro anche se c’è l’oceano di mezzo. Se pensiamo al Medio Oriente, la cruenta offensiva di Benjamin Netanyahu a Gaza, cos’altro è, tra le tante cose, se non una scommessa del premier israeliano sul fatto che a novembre il suo amico Trump vincerà le presidenziali? Tuttavia, la storia deve essere ancora scritta e con Trump è difficile fare previsioni. Nel suo primo mandato ha ritirato i militari statunitensi da vari scenari bellici, seguendo gli slogan America First e Make America Great Again! Nel frattempo, molte cose sono cambiate. La Cina ha rafforzato la sua capacità competitiva sul fronte delle nuove tecnologie, i rapporti tra Pechino e Mosca sono mutati, le esigenze della NATO anche. Lo stesso Trump ora fa discorsi contraddittori: da un lato, dice di voler permettere alla Russia di attaccare i Paesi che non contribuiscono alla NATO; dall’altro, si dice pronto a bombardare Mosca o Pechino. Vedremo. Il rischio più concreto è che in futuro gli Stati Uniti continueranno a introdurre distorsioni della concorrenza nei rapporti commerciali con l’Unione Europea, anche se formalmente siamo alleati. Del resto, Biden non ha cancellato i dazi su alluminio e acciaio introdotti da Trump, li ha solo “sospesi”. E non ha fatto mancare tanti sgambetti all’Unione, dando la priorità agli interessi degli Stati Uniti e non degli alleati atlantici. Qui si può fare una lunga lista di esempi: dal ritiro disordinato dall’Afghanistan che ha lasciato di stucco gli alleati europei, all’alleanza AUKUS sull’indopacifico con Australia e Gran Bretagna che ha fatto saltare la commessa sui sottomarini militari tra la Francia e l’Australia. Fino all’IRA, il piano anti-inflazionistico che attira negli Stati Uniti gli investimenti nell’economia verde anche da parte di aziende europee, un piano rispetto al quale l’Unione non ha saputo controbattere con uno strumento comune di pari potenza. Di fatto il nazionalismo prevale anche oltreoceano e incrina i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, proprio mentre è in corso un’offensiva anti-occidentale che richiederebbe compattezza e unità.

 

Si è a più riprese discusso, negli ultimi anni, di sovranità europea. Quale significato ha questa espressione? Mantiene una sua attualità nel contesto presente?

Angela Mauro: A voler cercare un lato positivo, la crescita dei movimenti euroscettici qualcosa di buono l’ha portata: ora si discute molto di più di Europa e anche di quanto sia importante approfondire l’integrazione europea, proprio grazie a chi si oppone a questa tesi. Il ritorno così marcato dei nazionalismi può, incredibilmente, dare una scossa forte al progetto europeo. Di fronte alla crisi economica, che investe ormai anche la Germania, non è impossibile che si arrivi alla determinazione di sviluppare strumenti comuni per evitare il baratro. Certo, è vero che la propaganda nazionalista è irrazionale e dunque non c’è alcuna certezza che attraverso la crisi si arrivi a un rilancio. Siamo a un bivio. Non a caso Europa sovrana, il titolo del libro, ha due significati. Da un lato, individua un’ambizione: la prospettiva che l’Europa possa veramente costruire una propria “sovranità”, che possa diventare potenza autonoma, in grado di reggere la competizione con le altre superpotenze globali. Un sogno. Dall’altro, il titolo del libro gioca con il concetto di sovranità introdotto dai nazionalisti, indicando una prospettiva fallita proprio per la loro rivincita, la loro normalizzazione. Il report sulla competitività dell’Unione Europea preparato da Mario Draghi invoca l’esigenza di dotare l’Unione di maggiore autonomia politica e industriale, quale modalità urgente per evitare la fine. Sarà possibile con così tanti nazionalisti in giro? È questa la domanda vera cui la nuova legislatura fornirà una risposta, e da questa dipenderà il nostro futuro come europei, se l’Unione Europea avrà futuro.

Scritto da
Nicola Dimitri

Assegnista di ricerca in Filosofia del diritto presso l’Università degli Studi di Messina. Dottore di ricerca in Filosofia del diritto e Storia della cultura giuridica presso l’Università di Genova, si è formato all’Università degli Studi di Roma Tre, all’Università di Verona e all’Istituto di Studi Filosofici di Napoli. È autore di: “La crisi della solidarietà. Condizioni del legame sociale e paradossi europei” (Castelvecchi 2024).

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