D-Orbit: la logistica spaziale italiana che rivoluziona la space economy. Intervista a Stefano Antonetti
- 15 Novembre 2024

D-Orbit: la logistica spaziale italiana che rivoluziona la space economy. Intervista a Stefano Antonetti

Scritto da Giacomo Bottos

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D-Orbit è una pionieristica impresa italiana attiva nel settore della logistica spaziale, fondata nel 2011, che si distingue per lo sviluppo di soluzioni dedicate a posizionamento, trasporto e gestione di piccoli satelliti, ed è oggi considerata un punto di riferimento internazionale per la logistica e la sostenibilità spaziale. In questa intervista, Stefano Antonetti, VP Business Development di D-Orbit, racconta l’evoluzione dell’azienda e la visione che guida lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia, come i servizi di in-orbit servicing e il cloud computing in orbita.


Qual è stata l’intuizione fondamentale alla base della nascita di D-Orbit?

Stefano Antonetti: L’intuizione dietro la creazione di D-Orbit è stata la necessità di fornire una soluzione logistica per l’imminente rivoluzione dei piccoli satelliti, in particolare i CubeSat. Luca Rossettini e Renato Panesi, rispettivamente CEO e CCO e fondatori di D-Orbit, avevano capito che il futuro dell’industria spaziale sarebbe stato caratterizzato da costellazioni di piccoli satelliti, utilizzati per fornire servizi globali a un costo significativamente inferiore rispetto ai tradizionali satelliti di grandi dimensioni. A partire dal 2010, l’integrazione di componenti derivati da elettronica di consumo ha permesso di migliorare la prestazione di piccoli satelliti in termini di sensori, attuatori e capacità di calcolo e storage interna. Tuttavia, il principale limite di questi piccoli satelliti era la mancanza di propulsione, che avrebbe complicato il loro dispiegamento e la loro gestione. L’idea vincente di D-Orbit è stata quella di creare una soluzione logistica per affrontare questo problema usando veicoli di trasporto orbitale proprietari capaci di spostare i satelliti tra un’orbita e l’altra e rilasciarli con precisione nella posizione operativa, ottimizzando così tempi e costi per gli operatori di piccoli satelliti. L’intuizione dei due fondatori di offrire servizi essenziali per un’industria in espansione era paragonabile a “vendere pale e picconi durante la corsa all’oro”. Il primo veicolo di D-Orbit, ION Satellite Carrier, ha concretizzato questa visione, diventando una piattaforma multifunzione per il dispiegamento di satelliti, il collaudo in orbita di payload di terze parti, e il calcolo e lo storage di dati direttamente nello spazio.

 

Al momento della nascita di D-Orbit la New Space Economy era nelle sue fasi iniziali. Come appariva il contesto all’epoca? Quali elementi potevano far pensare che il settore avrebbe conosciuto una crescita tale da rendere possibile e far crescere un’attività come quella di D-Orbit?

Stefano Antonetti: Nel 2011, quando D-Orbit è stata fondata, la New Space Economy stava appena iniziando a emergere. A quell’epoca, l’industria spaziale era ancora dominata da grandi operatori istituzionali come NASA ed ESA, e da operatori commerciali di servizi di telecomunicazioni. I satelliti usati all’epoca avevano una massa da una a cinque tonnellate, e un volume paragonabile a quello di un autobus. Il loro costo, tra progetto, costruzione, collaudo, lancio e operazioni, si aggirava tra i cinquecento milioni e il miliardo di dollari. Tuttavia, stavano già emergendo alcuni segnali di cambiamento. Il progetto PhoneSat della NASA, a cui Luca Rossettini aveva partecipato, aveva dimostrato che i CubeSat potevano diventare piattaforme satellitari competitive utilizzando hardware commerciali a basso costo. Questo passaggio segnò un cambio di paradigma: l’industria spaziale non sarebbe più stata riservata a governi e a grandi corporation, ma sarebbe stata aperta anche a nuovi attori finanziati da venture capital. Successivamente, alcune startup cominciarono a sfruttare i piccoli satelliti per costruire costellazioni commerciali su larga scala. Planet Labs, ad esempio, venne fondata da un gruppo di lavoro inizialmente finanziato dalla NASA per fornire servizi di osservazione della Terra utilizzando piccoli satelliti. Questi approcci innovativi indicavano chiaramente che l’industria dei satelliti piccoli stava per crescere esponenzialmente, riducendo i costi e ampliando l’accesso allo spazio per aziende commerciali. In questo contesto, la visione di Rossettini e Panesi fu di costruire un’infrastruttura logistica che permettesse di ridurre il costo di operazioni per imprese New Space offrendo servizi di schieramento, riparazione ed eliminazione di asset spaziali.

 

Come viene prodotto e come funziona il vostro vettore ION?

Stefano Antonetti: ION Satellite Carrier è un veicolo di trasferimento orbitale sviluppato da D-Orbit per offrire soluzioni avanzate di logistica spaziale. La sua funzione principale è trasportare piccoli satelliti da un’orbita all’altra e rilasciarli nella posizione ottimale, consentendo ai clienti di risparmiare tempo rispetto ai metodi di lancio tradizionali e di avviare le missioni con mesi di anticipo. Oltre al trasporto, ION funge da piattaforma multifunzione, permettendo a terze parti il test in orbita di payload senza la necessità di progettare e lanciare un satellite autonomo. Il veicolo supporta anche l’esecuzione di algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning a bordo, offrendo la possibilità di elaborare in tempo reale i dati raccolti. D-Orbit ha utilizzato con successo ION in numerose missioni, trasportando più di 100 satelliti in 13 missioni e gestendo circa 50 payload, consolidando la sua affidabilità e versatilità nel mercato. Inoltre, ION è un veicolo interamente progettato in casa, tutti i maggiori sottosistemi sono proprietari. La fabbricazione delle prime unità è avvenuta in collaborazione con centri di manifattura esterni per la fabbricazione delle parti, mentre l’integrazione e il testing è stato fatto interamente nella nostra facility di Fino Mornasco, in provincia di Como.

 

Qual è il significato del concetto di in-orbit-servicing e che ruolo ha nel vostro modello di business?

Stefano Antonetti: Il concetto di in-orbit servicing si riferisce alla capacità di fornire servizi ai satelliti già in orbita, come riparazioni, aggiornamenti, rifornimenti di carburante, spostamenti verso altre orbite e rimozione a fine vita. Questo approccio permette di estendere la vita operativa dei satelliti e di gestire l’infrastruttura spaziale in modo più efficiente, riducendo la necessità di lanciare continuamente nuovi satelliti. L’in-orbit servicing è un elemento chiave del nostro modello di business, e rappresenta il passo successivo nella nostra visione di una infrastruttura di logistica spaziale. Dopo aver introdotto ION, che già consente il dispiegamento e il posizionamento preciso di piccoli satelliti, stiamo sviluppando una famiglia di veicoli spaziali di prossima generazione con capacità avanzate di in-orbit servicing. Questi veicoli saranno in grado non solo di trasportare satelliti, ma anche di intervenire su quelli esistenti, fornendo servizi di riparazione, aggiornamento tecnologico e decommissioning. La nostra visione è che, con l’aumento del numero di satelliti in orbita e il conseguente aumento del rischio di collisioni e detriti spaziali, l’in-orbit servicing diventerà fondamentale per la sostenibilità a lungo termine dell’ecosistema spaziale. Nel nostro modello di business, non solo offre un nuovo flusso di entrate basato su servizi ad alto valore aggiunto, ma rafforza anche il ruolo di D-Orbit come leader nella logistica spaziale. Fornendo soluzioni di gestione post-lancio possiamo prolungare la vita dei satelliti, ridurre i costi per gli operatori e contribuire a mantenere le orbite operative libere da detriti e congestionamento.

 

Un tema ricorrente nelle riflessioni sulle problematiche che la gestione dello spazio solleva è quello già citato dei detriti aerospaziali. In che modo l’in-orbit servicing contribuisce alla soluzione di tale questione?

Stefano Antonetti: Il problema dei detriti spaziali è una delle maggiori sfide nella gestione dello spazio, soprattutto, come accennavo, a causa dell’aumento del numero di satelliti e missioni in orbita. La nostra prossima generazione di veicoli per l’in-orbit servicing avrà la capacità di agganciare satelliti non più operativi o danneggiati, rimuoverli dalle orbite operative e, in alcuni casi, causarne il rientro atmosferico sicuro e controllato grazie a un apposito dispositivo di decommissioning. Questi veicoli potranno anche essere impiegati per riparare o rifornire satelliti, estendendone la vita utile e riducendo così la necessità di lanciare nuovi veicoli spaziali, un altro fattore chiave nella riduzione dei detriti. La nostra visione a lungo termine è di creare un’infrastruttura spaziale affidabile, che non solo favorisca la crescita del settore, ma lo faccia in modo sostenibile, limitando l’accumulo di detriti e prevenendo il rischio di collisioni che potrebbero rendere inaccessibili intere fasce orbitali. In definitiva, puntiamo a facilitare una crescita ordinata del settore spaziale commerciale.

 

In che modo i concetti di economia circolare e sostenibilità possono dunque applicarsi al contesto spaziale?

Stefano Antonetti: I concetti di economia circolare e sostenibilità sono sempre più rilevanti anche nel contesto spaziale, dove la gestione delle risorse e la riduzione degli sprechi sono essenziali per garantire la continuazione delle attività commerciali e scientifiche nello spazio. Nell’economia circolare, l’obiettivo è ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre al minimo i rifiuti e prolungare il ciclo di vita dei prodotti. Nel contesto spaziale, questo approccio implica la progettazione di satelliti e veicoli spaziali che possano essere riparati, aggiornati o riutilizzati piuttosto che abbandonati e rimpiazzati al termine della loro vita operativa. Il concetto di in-orbit servicing, che abbiamo già introdotto nelle precedenti risposte, rappresenta un pilastro essenziale per un modello sostenibile che riduca il bisogno di lanciare nuovi satelliti e sfrutti al massimo quelli già in orbita. Inoltre, la sostenibilità nello spazio include la gestione proattiva dei detriti spaziali, che riduce il rischio di creare nuove fonti di detriti e contribuisce a preservare l’ambiente spaziale per le future generazioni.

 

Nei vostri piani è presente la fornitura di servizi di cloud computing in orbita. Qual è la finalità di questo servizio?

Stefano Antonetti: La fornitura di servizi di cloud computing in orbita è un’area innovativa che abbiamo validato con successo in orbita su casi d’uso reali. La finalità di questo servizio è offrire capacità di elaborazione dei dati direttamente nello spazio attraverso un network di veicoli dotati di computer di bordo ad alte prestazioni. Facciamo l’esempio di un satellite di osservazione remota che sorvola un’area forestale per individuare la presenza di una certa malattia nella vegetazione. Attualmente, gli operatori devono scaricare a terra tutte le immagini, e successivamente filtrarle con un algoritmo di machine learning. La capacità di downlink è limitata non solo dalla larghezza di banda del segnale, ma anche dal fatto che un satellite è in grado di comunicare con il controllo di missione unicamente durante le brevi finestre di visibilità al di sopra delle stazioni di terra (in molti casi una manciata di minuti una volta all’ora). Una infrastruttura che permetta di elaborare dati con algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning permette di ridurre significativamente il volume di dati da inviare a terra, superando questo collo di bottiglia e rendendo possibile una risposta più rapida per applicazioni che richiedono un’elaborazione immediata come il monitoraggio ambientale. Inoltre, il cloud computing in orbita può ottimizzare l’uso delle risorse e la gestione dei dati, permettendo una maggiore capacità di archiviazione e un’elaborazione dei dati più sofisticata. Questo approccio rende possibili nuove applicazioni e servizi commerciali, aprendo ulteriori possibilità per la raccolta e l’analisi dei dati spaziali.

 

Come startup di origine italiana divenuta un caso di successo e che è diventata il punto di riferimento per un determinato segmento di servizi nel settore spaziale mondiale, quale significato, quali vincoli e quali opportunità ha avuto il provenire dal contesto italiano, pur essendo inseriti in un network globale?

Stefano Antonetti: La nostra origine italiana porta con sé sia significati particolari che sfide e opportunità uniche. Il contesto italiano ci ha messi di fronte a una serie di sfide iniziali, soprattutto nella ricerca di investitori che riuscissero a capire il potenziale di un’impresa dal profilo inusuale che operava in un settore così rischioso. Piu in generale, abbiamo dovuto costruire una rete di contatti e risorse in un settore altamente specializzato e competitivo dominato da enti governativi e colossi aerospaziali tradizionali. Al tempo stesso, questo contesto ha anche conferito a D-Orbit un’identità distintiva, dimostrando che è possibile creare un’impresa spaziale privata anche in un contesto differente dalla Silicon Valley. In termini di vincoli, direi che il problema maggiore che abbiamo incontrato è stato competere con aziende situate in Paesi con infrastrutture spaziali più avanzate e con un accesso più diretto a finanziamenti e risorse. Ma il contesto italiano ci ha offerto anche opportunità significative. Sul piano dell’educazione, le università tecniche italiane non hanno niente da invidiare a quelle americane, nonostante il divario in termini di risorse educative. Per questa ragione, oltre alla preparazione accademica, i nostri studenti imparano a mettere in gioco la creatività che caratterizza il nostro Paese per superare questi limiti. In molteplici occasioni, i nostri ragazzi hanno creato infrastrutture interne (incluse una clean room e una sala di controllo di missione) a una frazione del costo di identiche soluzioni commerciali. La presenza in Italia ci ha anche permesso di attrarre investimenti europei e accedere a programmi di finanziamento come Horizon 2020, che offrono supporto per innovazioni tecnologiche e progetti spaziali. In sintesi, provenire dall’Italia ha conferito a D-Orbit un’identità distintiva e ha creato l’opportunità di dimostrare che l’innovazione e il successo globale non sono limitati ai tradizionali hub spaziali. Con la giusta strategia e visione, è possibile emergere come leader in un settore altamente competitivo e contribuire significativamente alla crescita e all’evoluzione di un mercato globale ad alta tecnologia come quello spaziale.

 

Dal vostro punto di osservazione, quale fase sta attraversando attualmente la space economy? Quali sono le sfide principali all’orizzonte? 

Stefano Antonetti: Attualmente, la space economy sta attraversando una fase di rapida espansione e trasformazione, caratterizzata da diversi sviluppi significativi e sfide emergenti. Stiamo assistendo a un aumento significativo delle attività commerciali nello spazio che apre nuove opportunità nei settori delle comunicazioni satellitari, dell’osservazione della Terra, dell’esplorazione spaziale e dei servizi di trasporto e logistica spaziale. L’ingresso di nuovi operatori di lancio privati come SpaceX, Blue Origin e Rocket Lab sta trasformando il panorama, rendendo lo spazio più accessibile e creando un mercato globale in espansione. La continua innovazione nelle tecnologie spaziali, come i satelliti a basso costo, le costellazioni di satelliti e le soluzioni di in-orbit servicing, stanno rendendo possibili nuove applicazioni e servizi, inclusi il cloud computing in orbita e la gestione avanzata dei dati, per le quali, come già sottolineato, siamo tra i first mover. Gli investimenti nella space economy negli ultimi anni sono aumentati, con una crescente partecipazione di venture capital,  finanziamenti pubblici e iniziative private che stanno sostenendo lo sviluppo di nuove tecnologie e la crescita del settore. Le principali sfide attualmente includono: la gestione dei detriti spaziali, che aumenta il rischio di collisioni e mette a rischio la sicurezza delle missioni e delle infrastrutture spaziali; la regolamentazione e la governance, ovvero la necessità di sviluppare regolamenti e normative che permettano di mantenere la sicurezza e un uso equo delle risorse in presenza di una attività spaziale in crescita; e per finire un modello di sviluppo equo e inclusivo, che garantisca che i benefici dello spazio siano accessibili a una vasta gamma di attori globali e non solo ai grandi player già affermati.

 

Adottando uno sguardo di più lungo periodo, come si può immaginare il futuro del settore nei prossimi decenni?

Stefano Antonetti: Possiamo immaginare che la space economy segua uno sviluppo molto simile a quello che hanno attraversato l’industria navale e quella aeronautica. Ci sarà un consolidamento di alcune tecnologie chiave e la creazione di infrastrutture e servizi a livello istituzionale, accompagnato dal progressivo sviluppo di regolamentazioni sia a livello nazionale che internazionale. L’espansione dell’industria spaziale commerciale, un fenomeno già in atto, vedrà un numero maggiore di aziende private capaci di offrire servizi che coprano tutte le necessità della filiera, dal lancio alla rimozione a fine vita. Sul fronte tecnologico, ci aspettiamo che innovazioni come i motori spaziali avanzati, la miniaturizzazione di sensori e componenti, e l’incremento della capacità di calcolo in orbita abbiano un impatto profondo. Queste tecnologie miglioreranno l’efficienza delle operazioni spaziali e renderanno possibili missioni sempre più ambiziose. L’aumento della disponibilità di dati spaziali, sia in termini di risoluzione che di frequenza di campionamento, unito alla capacità di processarli in maniera autonoma prima del downlink, renderà possibili servizi terrestri che al momento è difficile perfino immaginare. In parallelo, ci saranno grandi progressi nelle infrastrutture spaziali, con la costruzione di stazioni spaziali commerciali. I costi di lancio continueranno a scendere, rendendo lo spazio più accessibile, un po’ come è successo con i viaggi aerei. La capacità di costruire stazioni spaziali specializzate, più accessibili a livello di costo e significativamente più efficienti rispetto alla ISS potrebbe portare a un aumento della presenza umana in orbita terrestre per missioni commerciali scientifiche, di ricerca e sviluppo e di turismo. Questo fenomeno si potrebbe estendere alla superficie lunare, una frontiera estremamente significativa per l’espansione della presenza umana nel sistema solare. Un tema centrale che ci sta molto a cuore sarà ancora quello della sostenibilità. Con l’aumento dei satelliti in orbita, sarà necessario affrontare seriamente il problema dei detriti spaziali. Si svilupperanno tecnologie per il recupero e il decommissioning dei satelliti, evitando che diventino pericolosi per altre missioni. Normative più severe a livello internazionale saranno fondamentali per regolare queste operazioni e mantenere lo spazio sicuro per tutti. L’economia circolare sarà un aspetto cruciale di questa nuova dinamica: satelliti e veicoli spaziali saranno progettati per essere riparati, aggiornati e riutilizzati, riducendo gli sprechi e rendendo le attività spaziali più sostenibili. La cooperazione internazionale sarà essenziale per gestire questo nuovo panorama. Le nazioni e le aziende dovranno collaborare per creare regolamenti globali che gestiscano l’accesso alle risorse spaziali e promuovano la sicurezza. E non dimentichiamo che tutte queste tecnologie spaziali avranno un impatto enorme anche sulla Terra: dall’osservazione del clima e delle risorse naturali, fino al miglioramento della connettività globale e della capacità di risposta alle emergenze. Lo spazio diventerà sempre più integrato nella nostra vita quotidiana e, proprio come per l’industria aeronautica o navale, abbiamo bisogno di una combinazione di progresso tecnologico, regolamentazione e collaborazione globale per far sì che tutto questo avvenga in modo sicuro e sostenibile.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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