Cooperative AI: un cambio di paradigma per cooperare con l’intelligenza artificiale. Intervista a Piero Ingrosso
- 04 Dicembre 2025

Cooperative AI: un cambio di paradigma per cooperare con l’intelligenza artificiale. Intervista a Piero Ingrosso

Scritto da Giacomo Bottos

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Il dibattito sull’intelligenza artificiale e sul suo rapporto con quella umana è ricco e plurale, anche su impulso di mondi e realtà differenti. Un concetto significativo a questo proposito è quello di Cooperative AI, una visione che tende a mettere al centro la cooperazione tra agenti umani e artificiali per generare valore condiviso.

Con Piero Ingrosso, Presidente di Fondazione Pico e Direttore Innovazione di Coopfond, analizziamo l’interesse del mondo cooperativo per questo concetto, a partire da una riflessione sull’evoluzione storica della digitalizzazione nel movimento cooperativo; il ruolo delle piattaforme; le implicazioni etiche nell’uso dei dati e la necessità di costruire sistemi digitali più inclusivi, partecipati e umano-centrici.


Cosa si intende con il termine “Cooperative AI”? Da dove nasce questo concetto?

Piero Ingrosso: Il concetto di Cooperative AI rappresenta un cambio di paradigma che, seppure ancora in forma embrionale, si sta diffondendo a livello internazionale. In questi anni vediamo una diffusione pervasiva delle tecnologie di intelligenza artificiale nei processi produttivi, nella società, nel dibattito pubblico, che appare però guidata da un paradigma incentrato sui concetti di competizione e autonomia. Le macchine si nutrono di informazioni, vengono addestrate, imparano a utilizzare nuovi linguaggi, ma sempre a partire da questa impostazione. La Cooperative AI, invece, prova a focalizzarsi sui concetti di interazione e collaborazione, e porta a una riflessione su sistemi in grado di interagire con altri agenti, umani o artificiali, per raggiungere obiettivi condivisi, anche quando si ha un disallineamento di incentivi. Un primo punto di riferimento per questa riflessione può essere individuato in un paper intitolato Cooperative AI: machines must learn to find common ground pubblicato su Nature da Allan Dafoe, ricercatore di Oxford, nel 2021, in un periodo precedente rispetto all’hype mediatico sull’intelligenza artificiale che stiamo vivendo oggi. Prima di tutto, Dafoe sottolinea come non si debba parlare solo di autonomia e competizione, ma anche di cooperazione. E si spinge oltre, teorizzando il bisogno di una Scienza dell’Intelligenza Artificiale Cooperativa che metta insieme più discipline. Quindi non soltanto quelle afferenti all’ambito tecnologico, ma anche la filosofia, l’etica, la psicologia, la neurolinguistica e gli studi sui modelli di governance. Da quella pubblicazione derivano poi una serie di studi che esplorano da diverse angolazioni il concetto di intelligenza artificiale cooperativa. Il modello è una cooperazione su tre assi: tra macchina e macchina; tra macchina e uomo; e tra uomo e uomo che utilizza la macchina. Lungo queste tre traiettorie si sviluppa un ragionamento che sottolinea come non possiamo concentrarci solo sull’efficienza tecnica dei sistemi, ma dobbiamo studiare e agevolare la capacità di questi sistemi di potersi inserire nei contesti sociali, plurali, dinamici e complessi.

Il concetto di Cooperative AI immagina dunque l’idea di cooperazione come la capacità di gestire una complessità relazionale: negoziare, comprendere le intenzioni, costruire fiducia, rispettare le norme sociali, trovare accordi. E per raggiungere questi obiettivi i sistemi di IA devono partecipare in modo affidabile all’interazione sociale e sviluppare capacità di comprensione, comunicazione, impegno, adesione a norme. Temi che ritroviamo sia negli studi di Luciano Floridi sull’etica dell’intelligenza artificiale che nell’idea di Società 5.0 che teorizza un modello umano-centrico, sostenibile e cooperativo, in cui tutto è interconnesso: persone, tecnologia, ambiente. Un modello dove l’intelligenza artificiale ha un ruolo preponderante a patto che non si perda di vista la dimensione umana, proprio perché efficienza e autonomia non sfuggano di mano e soprattutto non ci si concentri esclusivamente su questi aspetti. Come ecosistema dell’innovazione Legacoop rileviamo tanti punti di congiunzione con queste traiettorie di pensiero, per questo motivo con AlmaVicoo, il centro universitario per la cooperazione fondato e promosso da Legacoop Bologna e Università di Bologna stiamo avviando un percorso di ricerca attraverso una revisione sistematica dei contributi che stanno emergendo a livello internazionale.

 

Da dove nasce l’interesse per il concetto di Cooperative AI? In quale percorso di riflessione sul digitale, interno al movimento cooperativo, si inserisce?

Piero Ingrosso: Con Fondazione Pico, che è il Digital Innovation Hub di Legacoop stiamo lavorando da tempo su come integrare la distintività del modello cooperativo e l’intelligenza artificiale. Possiamo farlo grazie alle numerose collaborazioni che abbiamo avviato con università e centri di ricerca (al momento sono 22), come ad esempio quella che ha portato Fondazione Pico a entrare a far parte di ARTES 5.0, il polo europeo di innovazione digitale guidato da Paolo Dario, Professore emerito dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Universitaria Sant’Anna di Pisa. Inoltre, la natura multidisciplinare che caratterizza il comitato scientifico di Fondazione Pico può contare sui contributi di alcuni dei più importanti esperti in materia. Ne cito una per tutti: la professoressa Ivana Pais che in qualità di consigliera esperta del CNEL ha creato OPERA – Osservatorio Politiche e Relazioni Industriali per l’Intelligenza Artificiale Partecipativa. Infine, ci sono le collaborazioni con le articolazioni territoriali e di settore di Legacoop. Stiamo collaborando, ad esempio, con Legacoop Liguria per organizzare la tappa della Biennale dell’Economia Cooperativa dedicata all’intelligenza artificiale che si terrà a Genova il 26 e il 27 febbraio 2026.

La nostra Fondazione è uno strumento a supporto di processi di innovazione per migliaia di cooperative – di dimensioni, settori, territori diversi – la cui stessa esistenza dimostra come il percorso di digitalizzazione non nasca oggi per il mondo Legacoop, ma sia iniziato da diversi anni, ragionando su una molteplicità di temi. Pensiamo ad esempio alle piattaforme digitali cooperative. La riflessione su di esse era legata alla possibilità di immaginare, disegnare e implementare piattaforme che non estraessero solo valore, ma che fossero in grado di generare valore e redistribuirlo nella forma più equa e partecipata possibile. Dunque, ne è seguito un processo naturale che ha riguardato il tema dell’uso responsabile, consapevole ed etico dei dati. Inizialmente, abbiamo teorizzato e sperimentato modelli di piattaforme alternative a quelle “estrattive”, guidate esclusivamente dalla ricerca del profitto. Un modello, quello estrattivo, che rappresenta un formidabile strumento di mediazione digitale tra domanda e offerta, ma che continua a generare impatti negativi per lavoratori, utenti e comunità del territorio. In assenza di un impianto valoriale con etica e norme condivise, nel momento in cui le tecnologie iniziano a penetrare il tessuto sociale, guidate solo da logiche di profitto e competizione, si generano impatti negativi. Questo vale anche per l’uso dei dati e di conseguenza per l’intelligenza artificiale, che ha bisogno dei dati per elaborare risposte sia in ambito predittivo che generativo.

C’è poi un aspetto etico e di regole che devono essere valorizzate nel momento in cui si vuole costruire un dataset; e quindi occorre capire in che modo queste regole siano in grado di tutelare i legittimi proprietari dei dati e di garantire una gestione corretta dei loro dati, e di farlo anche sulla lunga distanza e in tutte le fasi di raccolta e di utilizzo.

 

Come opera Fondazione Pico e quali sono le progettualità e le riflessioni che state mettendo in campo a partire dalla suggestione della Cooperative AI?

Piero Ingrosso: Fondazione Pico, in quanto Digital Innovation Hub, lavora lungo tre traiettorie strategiche. La prima riguarda la costruzione di una cultura dell’innovazione che sia accessibile, inclusiva, sostenibile e, soprattutto, cooperativa. Il nostro obiettivo principale è portare questa cultura all’interno delle imprese cooperative, guidandola con i principi propri della cooperazione, ma al tempo stesso rendendola efficiente ed efficace: in grado cioè di rispondere, in modo puntuale, sia ai bisogni sociali e delle persone, sia alle esigenze del mercato. Le progettualità che sviluppiamo, anche quando sono prototipali, devono nascere per funzionare, non come esercizi di testimonianza. D’altronde, rappresentiamo un ecosistema di quasi 10.000 imprese cooperative e questo comporta una grande responsabilità. All’interno di questa prima traiettoria si inserisce una parte dedicata alle competenze: sia l’introduzione di quelle nuove, sia il rafforzamento di quelle già esistenti nel campo del digitale, che sono ancora più importanti quando parliamo delle competenze necessarie per utilizzare l’intelligenza artificiale all’interno delle cooperative. La seconda traiettoria riguarda la nostra capacità di interloquire con soggetti pubblici e privati per creare opportunità: partecipando a bandi, costruendo partenariati, attivando reti pubblico-private che generino valore. L’innovazione tecnologica richiede tempo, ma anche risorse economiche, e uno dei nostri compiti è proprio quello di intercettare queste risorse e trasformarle in progettualità concrete a beneficio delle cooperative e della società. Infine, la terza traiettoria è l’attività di advocacy. L’idea di innovazione digitale che promuoviamo – in questo caso specifico, di intelligenza cooperativa – è inscindibile dai nostri valori fondativi e dalla missione di Legacoop. Per questo lavoriamo costantemente nel dialogo con istituzioni, università, centri di ricerca, European Digital Innovation Hub, e anche network informali di ricercatori e pensatori.

 

E queste traiettorie come vengono sviluppate oggi, anche nell’ottica di contribuire come soggetti attivi al dibattito globale sull’intelligenza artificiale cooperativa?

Piero Ingrosso: La Cooperative AI ci interessa proprio perché vediamo come l’esperienza maturata nel tempo dal movimento cooperativo italiano – in particolare quello rappresentato da Legacoop – possa offrire un contributo originale. Accanto alle riflessioni filosofiche, normative e giuridiche (che sono fondamentali), pensiamo che anche la visione di chi pratica la cooperazione da decenni, operando in ambiti molto diversi, abbia molto da offrire. Non abbiamo la pretesa di “chiudere il cerchio”, ma vogliamo studiare e comprendere dove stanno andando queste riflessioni; e mostrarci disponibili a testare sul campo modelli teorici interessanti, calandoli nella realtà di imprese cooperative già strutturate.

Se torniamo al tema delle piattaforme digitali, negli anni sono nate molte teorie su modelli etici per l’economia di piattaforma. Spesso, però, sono rimasti sulla carta. Quando si è provato a realizzare prototipi concreti, molti di questi non hanno funzionato: per limiti economici, per limiti organizzativi o per scarsa attrattività. Le intenzioni erano ottime, i modelli teorici solidi, ma l’implementazione ha mostrato criticità che i teorici non avevano previsto. Su questo, il movimento cooperativo ha un valore da portare: abbiamo sperimentato, e continuiamo a sperimentare, la cooperazione in termini concreti – su governance, attenzione alle persone, centralità del socio, scambio mutualistico – e lo abbiamo fatto in modo dinamico, capace di adattarsi e ristrutturarsi in risposta ai mutamenti sociali ed economici. Come Fondazione Pico, insieme ad AlmaVicoo, il nostro centro universitario per la cooperazione, ci stiamo concentrando proprio su questi temi. Studiamo ciò che si muove a livello internazionale, e stiamo avviando percorsi di ricerca con un approccio da systematic review, per costruire una base solida da cui partire. Vorremmo candidarci a essere sia interlocutori che catalizzatori dei contributi del vasto mondo cooperativo globale. La recente conferenza mondiale delle cooperative organizzata l’autunno scorso a Nuova Delhi, ad esempio, ha mostrato tutta la vitalità dell’ecosistema cooperativo a livello internazionale. Solo immaginando il potenziale di oltre un miliardo di soci di cooperative nel mondo, si intuisce l’impatto che la cooperazione potrebbe avere sul corretto uso dei dati o su una visione alternativa dell’intelligenza artificiale.

 

In che modo questa idea di Cooperative AI potrebbe declinarsi concretamente?

Piero Ingrosso: L’idea di Cooperative AI, per come la stiamo intendendo noi, è quella di un ecosistema multidisciplinare. Un ambiente in cui si incontrano filosofi, neurolinguisti, giuristi, tecnici, sviluppatori, come dicevo, ma anche persone che lavorano con le persone, come accade nell’impresa cooperativa. Realtà che si confrontano con il mercato senza necessariamente appiattirsi sulle logiche del profitto. Su questo, sarebbe interessante organizzare un momento di confronto internazionale, proprio in Italia – a Bologna, ad esempio, o più in generale in Emilia-Romagna. Non a caso: penso, ad esempio, al libro di Luca De Biase e Roberto Viola (La legge dell’intelligenza artificiale), che evidenzia come i luoghi non siano elementi accessori nello sviluppo di un certo approccio all’intelligenza artificiale. La geografia e i contesti locali contano. L’Emilia-Romagna è ogni anno meta di delegazioni internazionali di cooperatori che vengono a studiare un modello territoriale dove la cooperazione – tra imprese, istituzioni, parti sociali – ha prodotto un sistema solido, capace di generare valore. Bologna, in particolare, ospita anche il supercomputer Leonardo: non è un caso. Qui ci sono già competenze importanti, e ne stanno arrivando sempre di più, in grado di lavorare sugli aspetti più tecnici e tecnologici dell’IA. Per questo pensiamo che Bologna – o l’Emilia-Romagna più in generale – possa candidarsi a diventare un laboratorio della Cooperative AI: un luogo dove il pensiero cooperativo e l’innovazione tecnologica si incontrano, dove è possibile testare concretamente ciò che altrove è ancora solo teoria. E dove il contributo del movimento cooperativo può diventare determinante.

 

Rispetto alla systematic review a cui si accennava, posto che si tratta di un processo in corso che darà risultati nel tempo, c’è qualche coordinata che è già possibile dare?

Piero Ingrosso: Uno dei punti di partenza è senz’altro il lavoro di Allan Dafoe, che abbiamo già citato. Si tratta di un autore che non si occupa direttamente di imprese cooperative ma la sua analisi è interessante perché, come accennato, si concentra su tre tipi di cooperazione: macchina-macchina, macchina-uomo e uomo-uomo. Poi ci sono altri contributi interessanti, soprattutto sul tema della governance e sui modelli linguistici federati, che riguardano licenze aperte per l’innovazione condivisa. La governance cooperativa si trova di fronte a una sfida importante relativa alla diffusione dell’intelligenza artificiale. Allo stesso tempo, sono interessanti anche i meccanismi che emergono dagli studi sulla cooperazione. Per celebrare i suoi 80 anni di Legacoop Bologna ha deciso di invitare scienziati e studiosi a riflettere sulla cooperazione in ambiti diversi da quello strettamente produttivo o imprenditoriale. Hanno partecipato, tra gli altri, Stefano Mancuso, Sergio Bertolucci e Telmo Pievani, con quest’ultimo che ha spiegato molto bene come la cooperazione sia un elemento presente da sempre in natura, e come essa rappresenti un contributo fondamentale all’evoluzione. Pievani ha anche chiarito come il concetto darwiniano de “il più adatto” non sia da intendere in senso superlativo, come spesso accade, ma in senso comparativo.

Se pensiamo che l’intelligenza artificiale, oggi, è ancora fortemente ispirata all’imitation game di Turing – cioè all’idea di imitare le reti neurali, i processi cognitivi e il funzionamento del cervello umano – allora possiamo fare due ragionamenti. Da un lato, potremmo dire: se vogliamo basarci su ciò che osserviamo in natura e nell’essere umano, ricordiamoci che c’è anche la cooperazione, non solo la competizione. Dall’altro lato, si sta aprendo un filone ancora più radicale che propone di non basarsi esclusivamente sull’imitazione della natura o del cervello umano per progettare l’intelligenza artificiale, ma di costruire modelli alternativi e autonomi. Ed è qui che la sfida si fa ancora più ampia: occuparsi di Cooperative AI oggi significa studiare un processo in divenire, e noi vogliamo dare il nostro contributo come modello cooperativo che da 80 anni funziona. Portiamo un’esperienza concreta, che può contribuire anche a un eventuale salto di paradigma, fornendo casi d’uso, contesti applicativi, opportunità di test.

 

Quali sono gli ambiti che ritenete più importanti per implementare queste riflessioni?

Piero Ingrosso: Il primo è sicuramente quello dell’educazione, che in relazione all’approccio all’intelligenza artificiale è fondamentale. Lo è sia per le nuove generazioni che per le generazioni attuali, perché sta cambiando il modo di lavorare, di interagire, di relazionarsi. E non si tratta solo di formazione, che è ovviamente necessaria, ma più in generale di educazione a un cambiamento strutturale. Ed è proprio dal progetto Coo.de (Cooperative Digital Education), un corso di alta formazione pensato per le cooperative attive nel settore educativo, sociale e culturale, che nasce anche il lavoro di systematic review sul Cooperative AI. Un altro ambito importante per noi è quello delle filiere, che nel mondo cooperativo rappresentano un ottimo esempio di cooperazione tra attori diversi, che spesso hanno obiettivi non del tutto allineati. Qui, il tema della negoziazione, della concertazione e della costruzione di una cooperazione efficace è centrale e deve essere costantemente alimentato, affinché tutti gli attori possano trarne beneficio. E questo, se ci pensiamo, è molto vicino all’idea di Cooperative AI: la cooperazione tra agenti con obiettivi diversi, che attraverso negoziazione, comprensione e comunicazione riescono a trovare un equilibrio che può portare risultati migliori, anche in termini economici.

 

Abbiamo parlato di alcuni tratti dell’idea di Cooperative AI, ma oggi il modello dominante resta quello dell’IA competitiva. È questo il paradigma che vediamo affermarsi, sebbene sia accompagnato da molte domande sulla sua natura, sul suo sviluppo futuro, sulla sua sostenibilità. Partendo da questa consapevolezza, quali potrebbero essere gli elementi di una strategia per confrontarsi con il modello competitivo?

Piero Ingrosso: Siamo ben consapevoli che il modello competitivo oggi sia quello dominante. E proprio per supportare le nostre imprese nel migliorare i processi produttivi, lo affrontiamo direttamente, con realismo. Questo non significa però rinunciare alle avvertenze critiche, anche perché quello di Cooperative AI non è un concetto da laboratorio, separato dai bisogni reali del mercato e delle nostre imprese. Al contrario, quello che possiamo fare è iniziare a fornire orientamenti concreti attraverso gli strumenti dell’ecosistema Legacoop: da un lato Fondazione Pico, dall’altro Coopfond, il fondo mutualistico che sostiene lo sviluppo delle cooperative aderenti. Attraverso Coopfond, ad esempio, ci è arrivata la richiesta da parte di una cooperativa che voleva implementare sistemi di intelligenza artificiale per ottimizzare la partecipazione alle gare pubbliche. Pochi giorni dopo, una seconda cooperativa – di settore e dimensione completamente diversi – ci ha chiesto la stessa cosa. Passati altri dieci giorni, ci è arrivata una terza richiesta, identica. A quel punto, ci siamo detti: mettiamole insieme. Abbiamo proposto loro di cooperare, di lavorare congiuntamente per individuare i bisogni comuni, e così abbiamo avviato la costruzione di un prototipo condiviso, una sorta di common ground, per citare il titolo del paper di Dafoe, da cui partire. Abbiamo messo a disposizione le risorse economiche, che è il ruolo di Coopfond, e un supporto di tipo strategico e consulenziale da parte di Fondazione Pico. L’idea è di creare un kernel, per usare un altro termine informatico, ovvero un “nucleo” che poi ciascuna cooperativa possa personalizzare in base ai propri bisogni specifici.

Questa idea di cooperazione – che è anche uno dei principi fondamentali del modello cooperativo, quello del “cooperare tra cooperative” – è qualcosa di profondamente controcorrente, soprattutto in un mercato che, sin dalle origini del capitalismo, si è strutturato intorno alla competizione. Far cooperare le imprese anche nello sviluppo tecnologico non è affatto scontato, ma è possibile. Soprattutto se ci si rivolge a realtà che hanno nel proprio DNA la cultura della cooperazione e il senso del potenziale comune. Certo, non è semplice perché da soli si arriva più velocemente su alcune cose, ma cooperando si mettono a sistema competenze, conoscenze e anche risorse economiche. E non è detto che dal confronto tra più soggetti non emergano elementi inattesi, soluzioni nuove, prospettive che un’impresa da sola non avrebbe nemmeno considerato. Da quell’esempio, che è solo uno tra i tanti che potrei fare, è nato il programma COODING – Cooperative Digital Innovation Goals, e da lì i nostri obiettivi per un’innovazione digitale cooperativa. COODING prevede gruppi di almeno dieci cooperative che lavorino su un prototipo comune, con regole chiare su come condividere i benefici, tutelare la privacy e affrontare altre questioni rilevanti. È uno sforzo che chiediamo alle imprese, ma che premiamo con incentivi economici e finanziari.

Quando si parla di intelligenza artificiale, infatti, ci sono due grandi ostacoli: da un lato, la difficoltà a reperire e formare figure professionali con competenze adeguate; dall’altro, il tema delle risorse economiche. Uno dei punti deboli dei modelli cooperativi, anche nell’ambito dell’economia di piattaforma, è proprio la mancanza di capitali. Le grandi piattaforme estrattive possono permettersi anni di perdite pur di conquistare quote di mercato, mentre noi no: le imprese cooperative devono generare valore quasi subito. Per questo, servono progetti di sistema, che mettano insieme più realtà per ottimizzare le risorse tanto in termini quantitativi, quanto qualitativi.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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