Centri e periferie tra coesione e disgregazione. Intervista a Gianfranco Viesti
- 23 Giugno 2024

Centri e periferie tra coesione e disgregazione. Intervista a Gianfranco Viesti

Scritto da Alberto Bortolotti

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Il rapporto tra centri e periferie e tra territori avanzati e territori arretrati è un aspetto fondamentale da tenere in considerazione quando si affrontano le dinamiche di coesione e disgregazione in atto nella nostra società. In questa intervista Gianfranco Viesti – Professore ordinario di economia applicata all’Università di Bari che a questi temi ha dedicato importanti studi, tra cui: Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale e Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, editi da Laterza – riflette su come stanno cambiando i rapporti tra i territori nel contesto italiano ed europeo e sul ruolo delle politiche pubbliche.


Il rapporto tra centri e periferie ha assunto oggigiorno grande rilevanza non solo nell’ambito delle politiche di coesione, delle politiche urbane o di quelle economiche, ma anche nel dibattito politico. Autori come Andrés Rodríguez-Pose hanno, ad esempio, mobilitato queste categorie per sottolineare come il “peso decisionale” di alcuni territori, tanto in Europa quanto in America, sia venuto meno. Perché parlare di questo rapporto è oggi importante?

Gianfranco Viesti: È importante per più motivi, di tipo strettamente economico poiché divari troppo ampi limitano la crescita complessiva dei Paesi lasciando risorse inutilizzate nelle periferie. È importante dal punto di vista dell’uguaglianza tra i cittadini perché divari troppo ampi peggiorano la qualità della vita di chi vive nelle periferie. Ed è importante dal punto di vista politico perché, come vediamo in molti Paesi, chi vive in luoghi periferici tende a maturare una reazione al leggersi come abitante di luoghi dimenticati e trascurati dalla politica e quindi a esprimersi col voto spesso a favore di forze che possono garantirgli maggiore protezione.

 

In relazione al contesto italiano, è possibile affermare che lo scenario di calo produttivo e demografico del Mezzogiorno, unitamente ad una progressiva concentrazione dello sviluppo economico e industriale nel Nord, sia stato originato anche dalla dialettica tra centri e periferie?

Gianfranco Viesti: Sì, gli andamenti di qualsiasi territorio dipendono sia dalle sue condizioni endogene, cioè da quello che succede al suo interno, sia dalle condizioni esogene, cioè da quello che succede negli altri territori perché, quando si ragiona di fattori produttivi mobili (lavoro e capitale in primis), questi possono mettere, in un certo senso, in concorrenza i territori; quindi, si crea una tensione tra i “Nord” e i “Sud” che è intrinseca alle dinamiche dello sviluppo capitalistico.

 

Il suo volume Centri e periferie si apre trattando il quadro di profondo mutamento avvenuto tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, evidenziando come alcune tra le maggiori forze politiche siano state favorevoli all’azione dei mercati e poco attente alle ingiustizie che ne derivavano. Allargando e contestualizzando la questione al recente ulteriore aumento delle disuguaglianze sociali e spaziali interne anche ai maggiori Paesi europei, e dovuto all’insieme di inflazione, guerre e pandemia, in che modo le politiche di coesione, e il pensiero politico che vi sta alla base, possono influire nel generare processi socioeconomici virtuosi che riguardano il nesso tra centri e periferie?

Gianfranco Viesti: Dunque, non c’è dubbio, come è ampiamente noto, che vi sia stato fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio di questo secolo un grande cambiamento nella visione politica di questi temi. Rispetto al periodo precedente è molto diminuita la fiducia nelle politiche pubbliche, ed è molto aumentata la fiducia nelle capacità autoregolative del mercato. Le politiche europee di coesione sono figlie della stagione precedente, nascono a metà degli anni Ottanta come complemento indispensabile al mercato unico perché al tempo si pensava che una maggiore liberalizzazione dei movimenti dei capitali e delle persone, dei beni e dei servizi avrebbe potuto innescare polarizzazioni dello sviluppo economico, come poi avvenuto, e che fossero indispensabili politiche comuni di scala comunitaria per limitarle, per far si che i benefici del mercato unico arrivassero a tutti i cittadini europei.

 

Nel volume si pone attenzione al concetto di divergenza connessa alle disparità territoriali. Ci può illustrare sinteticamente questo concetto?

Gianfranco Viesti: Divergenza e convergenza sono due fenomeni che attengono alle diverse dinamiche delle aree territoriali: quando chi è più indietro va più veloce di chi è più avanti si parla di convergenza; nel caso contrario si parla di divergenza. Anche questo è un elemento importante perché a lungo, tanto negli Stati nazionali, quanto a livello dell’Unione Europea, si è pensato che determinare maggiore convergenza fosse fortemente auspicabile dal punto di vista politico. Quello che abbiamo visto nel XXI secolo negli Stati membri è stato invece un arresto della convergenza e, in diversi casi, un aumento della divergenza.

 

Passando al ruolo della concentrazione del capitale finanziario e del capitale umano qualificato in alcune aree territoriali, anche in relazione alle visioni politiche che abbiamo accennato, è possibile sostenere che l’aumento di concentrazione del capitale finanziario in alcuni settori altamente produttivi, come l’informatica o le altre filiere specializzate, possa aver orientato questo tipo di fenomeni?

Gianfranco Viesti: Certamente, una parte della divergenza che abbiamo registrato in Europa è dovuta alle modificazioni strutturali della sua economia, in particolare alla crescita di quei segmenti più avanzati del terziario, spesso a basse digitale. Questo tipo di attività tende a concentrarsi maggiormente, in senso geografico, rispetto alle altre attività economiche e tende soprattutto a concentrarsi in alcune aree urbane. Quindi la modificazione della struttura economica ha effetti sulla localizzazione delle attività economiche.

 

Un’altra questione rilevante affrontata dal volume è la cosiddetta “trappola dello sviluppo intermedio” che riguarda diverse regioni italiane ed europee, specialmente quelle soggette a rilevanti processi di de-industrializzazione. Perché questo concetto può essere rilevante nel disegno delle politiche pubbliche di coesione, ad esempio relativamente l’allocazione e l’attuazione delle strategie di sviluppo urbane derivate dai fondi strutturali FESR, FSE?

Gianfranco Viesti: Le posizioni delle diverse regioni sono diventate più complesse da analizzare nel XXI secolo. Parlando in termini molto generali, nel XX secolo era possibile distinguere abbastanza agevolmente un “Nord” e un “Sud”, cioè un gruppo di regioni più avanzate e con livelli di reddito maggiori e un gruppo di regioni più arretrate che cercavano di convergere verso quei livelli. Con il XXI secolo, questo quadro si è modificato in misura rilevante a causa dell’allargamento dell’Unione Europea. Quindi sono emerse piuttosto nettamente tre tipologie di regioni: quelle più avanzate, che corrispondono alle aree urbane o maggiormente industrializzate del Centro e Nord Europa; quelle arretrate che sono largamente collocate nei nuovi Stati membri e in alcune aree più deboli della vecchia Europa a 15; e una serie di aree che si collocano in mezzo tra le due. Che cosa caratterizza queste ultime aree? Una difficoltà a livello di sviluppo economico dovuta proprio a questa caratteristica “intermedia”. Esse appaiono meno competitive sotto il profilo dei costi di produzione rispetto alle aree più arretrate dell’Est Europa e quindi sono meno in grado di attrarre investimenti e di produrre beni standardizzati competitivi su scala internazionale, ma allo stesso tempo sono meno innovative rispetto alle aree più forti, hanno una minore dotazione di capitale umano qualificato, una minore produzione industriale fondata sull’alta tecnologia e quindi non riescono a specializzarsi nei beni e nei servizi a maggiore intensità tecnologia. La loro definizione non è semplice, ma il concetto è chiaro perché le troviamo in molti Paesi Europei (Italia, Francia, Belgio). Sono un tema di discussione importante perché il loro livello di reddito non è necessariamente basso ma le loro dinamiche non sono positive. In Italia in particolare abbiamo due esempi interessanti di regioni catalogabili in questo gruppo: il Piemonte e le Marche. E non è una coincidenza che le Marche nella attuale programmazione delle politiche di coesione comunitarie siano in un gruppo intermedio dato che il loro reddito, non crescendo più, oggi si colloca al di sotto della media dell’Europa a 27.

 

L’allargamento dell’Unione Europea a Est, agli inizi degli anni Duemila, ha sicuramente contribuito all’amplificazione dei processi di divergenza tra centri e periferie, specialmente a discapito di alcuni territori mediterranei, da cui gli investimenti stranieri si sono spostati appunto verso l’Europa orientale. Qualora vi fosse un allargamento dell’Unione Europea ai Balcani e all’Ucraina, immagino si verificherebbero fenomeni di divergenza analoghi. Secondo lei sarebbe possibile pensare a contrappesi o a misure di coesione che, quanto meno, limitino gli effetti di divergenza generati dall’allargamento, qualora si verificasse? Questo processo andrebbe accompagnato da una modifica dei Trattati comunitari?

Gianfranco Viesti: L’allargamento a Est del 2004-2007 ha mutato fortemente la geografia economica dell’Unione Europea. Eventuali nuovi allargamenti pongono problemi diversi, più complessi. Non tanto verso i Balcani, un’area principalmente agricola e ormai molto integrata con l’Unione pur non facendone parte, ma penso bensì a possibili allargamenti verso Est: Moldavia, Ucraina e Georgia. Più che di natura economica, relativa alla localizzazione delle attività produttive, questi allargamenti pongono problemi di relazioni internazionali. La Georgia è un Paese asiatico e non europeo, è un Paese caucasico. L’allargamento a Ucraina e Moldavia pone evidentemente dei problemi con la Russia e in un momento particolarmente delicato. Poi pongono problemi rilevanti dal punto di vista del bilancio perché sono Paesi grandi con redditi molto bassi che quindi potrebbero, entrando nell’Unione, avere un impatto molto significativo sia sulle politiche di coesione che sulle politiche agricole. Infine, un punto ancora più importante di quelli precedenti, non dobbiamo dimenticare che questi Paesi per entrare dovrebbero essere democrazie perfettamente funzionanti. Polonia e Ungheria sono Paesi che entrati nell’Unione Europea hanno mostrato successivamente problemi molto significativi di funzionamento democratico, e creano una grande questione perché oggi non è possibile pensare di “espellerli” dall’Unione. Tutti e tre questi Paesi – Ucraina, Moldavia e Georgia – dimostrano problemi rilevanti negli assetti democratici chiave e, per questi motivi, una riflessione molto attenta, e una tempistica adeguata, mi paiono indispensabili nel discutere di eventuali ulteriori allargamenti.

 

Spostandoci sul ruolo dell’amministrazione pubblica, nel volume si sottolinea come una tendenza “autarchica”, specialmente da parte degli enti locali, e questo va a discapito della cooperazione multilivello, multiattoriale e multisettoriale che sarebbe invece auspicabile nell’attuazione di grandi politiche pubbliche come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In questo senso, come può essere implementata la capacità amministrativa degli enti pubblici e locali in particolare sulla cooperazione?

Gianfranco Viesti: Sono questioni molto diverse. Il PNRR non richiede particolare cooperazione istituzionale perché è un modello dall’alto verso il basso in cui il governo centrale prende tutte le decisioni e i governi regionali (in piccola misura) e i locali (in maggiore misura) hanno lavorato sulla scelta dei progetti e sulla loro realizzazione. In generale il tema della collaborazione interistituzionale in Italia è particolarmente rilevante perché le regioni tendono a vedere sé stesse come entità indipendenti dalle altre e dal governo centrale, e questo genera una fortissima conflittualità Stato-regioni e una scarsa collaborazione orizzontale tra regioni su temi di fondamentale importanza che non conoscono confini regionali come i temi idrici. Vi è infine un atteggiamento da parte delle regioni di “dominio” nei confronti degli enti locali perché esse controllano la gran parte delle risorse e degli investimenti e questo, a mio avviso, rappresenta uno squilibrio, perché abbiamo in Italia in questo momento delle regioni molto forti e delle regioni molto deboli.

 

Infine, riflettendo sul ruolo delle regioni e sul dibattito che ha caratterizzato il Disegno di Legge sull’autonomia differenziata, e soprattutto in merito alla capacità dei governi regionali di gestire proattivamente bandi, gare, avvisi per la coesione territoriale, pensa che una riforma così impostata possa migliorare l’attuale assetto di governance o non cambierà o peggiorerà la situazione attuale?

Gianfranco Viesti: L’autonomia regionale differenziata non è una riforma ma una follia. Le richieste di alcune regioni, in particolare Lombardia e Veneto, sono talmente ampie da scardinare radicalmente gli assetti del nostro Paese e da configurare la nascita di vere e proprie Regioni-Stato con competenze estesissime. A mio avviso questo è un processo assolutamente negativo perché regionalizzerebbe politiche che invece, per propria natura, andrebbero condotte a un livello più elevato e perché renderebbe la gestione dei servizi pubblici estremamente diversificata sul piano nazionale. Non a caso, il 19 giugno 2024 addirittura la Commissione Europea si è espressa in maniera molto negativa su questo processo proprio perché renderebbe le politiche pubbliche molto più complicate, ridurrebbe la capacità dei cittadini di comprendere le scelte che vengono fatte e renderebbe molto più difficile la gestione delle finanze pubbliche italiane.

Scritto da
Alberto Bortolotti

Laureato in architettura con una tesi in urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Milano. È attualmente dottorando in urbanistica e politiche urbane presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano. È stato visiting scholar presso il Public Governance Institute di KU Leuven e il Dipartimento di Geografia Umana, Pianificazione e Sviluppo Internazionale dell’Università di Amsterdam. Prima di entrare nell’ambiente accademico, ha lavorato come architetto, urbanista, consigliere politico e ricercatore, sia per istituzioni pubbliche che private come il Ministero della Cultura italiano, il Parlamento Europeo e la Fondazione Feltrinelli. È autore di: “Modello Milano? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti” (Maggioli 2020).

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