“Certe sere Pablo” di Gabriele Pedullà
- 07 Dicembre 2024

“Certe sere Pablo” di Gabriele Pedullà

Recensione a: Gabriele Pedullà, Certe sere Pablo, Einaudi, Torino 2024, pp. 248, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Riccardo Gasperina Geroni

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Con Certe sere Pablo (Einaudi 2024), Gabriele Pedullà raccoglie tre racconti che attraversano la storia italiana del secondo Novecento, mettendo al centro il legame fragile tra esperienza individuale e contesto collettivo. La narrazione si sviluppa intorno alla fine delle grandi utopie politiche, osservando con distacco e partecipazione la tensione tra ciò che il passato ha promesso e ciò che il presente è stato in grado di mantenere. Un’opera che, più che celebrare, si propone di interrogare il proprio tempo.

Per chi, come me, è cresciuto in un piccolo paese del Nord Italia alla fine degli anni Ottanta, il libro rappresenta un viaggio in un mondo distante, a tratti quasi irriconoscibile: quello della generazione precedente, che ha attraversato le contestazioni del Sessantotto, le lotte operaie degli anni Settanta, il riflusso individualista degli anni Ottanta, osservando questi eventi da una posizione centrale, tanto geografica quanto culturale. Roma, città dell’autore, diventa qui un palcoscenico privilegiato, dal quale guardare il disfacimento graduale delle utopie politiche e il passaggio da una visione collettiva dell’esistenza a un orizzonte sempre più frammentato e individualistico.

La scrittura di Pedullà, raffinata e al contempo rigorosa, è il veicolo attraverso cui queste storie assumono una forma peculiare, sospesa tra l’autenticità del vissuto e il distanziamento critico della finzione. Il titolo stesso della raccolta, tratto dal racconto centrale, è un omaggio alla complessità simbolica di Pablo, figura cardine della narrazione, ma anche emblema dell’ambiguità dell’utopia, capace di sedurre e deludere al tempo stesso. Pablo, Clara e gli altri personaggi che animano queste pagine non sono semplicemente individui; sono archetipi di un’epoca, frammenti di un discorso che si interroga costantemente sulla natura del reale e del possibile.

 

Un trittico

I tre racconti che compongono la raccolta possono essere intesi come i pannelli di una pala d’altare, ciascuno rappresentativo di un diverso momento della storia recente, e complessivamente di un’epoca. Portolano degli anni bisestili introduce il lettore a un universo narrativo apparentemente autobiografico (suggerisco cautela a riguardo), dove il passato storico e personale si intreccia in una riflessione sul concetto stesso di tempo. Il titolo, evocativo, richiama la funzione del portolano come strumento di navigazione, suggerendo un parallelo tra l’esperienza del viaggio e quella del vivere nel tempo storico. In questo racconto, l’uso della seconda persona narrativa, che richiama modelli illustri come Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, conferisce alla narrazione una tonalità dialogica e riflessiva, trasportando il lettore in un dialogo interiore che è al tempo stesso confessione e confronto.

Certe sere Pablo, racconto eponimo, rappresenta il cuore del libro, sia per la sua maggiore estensione sia per la densità tematica. Ambientato negli anni delle contestazioni studentesche, il racconto si sviluppa attorno a una storia d’amore quasi leggendaria, quella tra Pablo e Clara, che diventa metafora di una generazione intera. Pablo, figura carismatica e sfuggente, incarna l’illusione dell’utopia, mentre Clara ne rappresenta il contraltare più intimo e fragile. La loro storia è narrata con una prosa che mescola ironia e malinconia, in un continuo gioco di svelamenti e disillusioni.

Il terzo racconto, È stato un soffio, chiude la raccolta con una nota cupa e disincantata. Ambientato nel presente, narra l’incontro tra Carlo, docente universitario comunista, e Marco, un militante di estrema destra che gli salva la vita. La finezza dello stile di Pedullà qui si esplicita all’interno della lingua, che diventa un frattale sociostorico del divario che separa gli esseri umani in classi. Attorno all’accentazione dell’ipocoristico del nome di Mirella, moglie di Carlo, Pedullà costruisce un sottile gioco sociolinguistico: laddove i canoni del bon-ton post-borghese imporrebbero la baritonesi sul modello milanese («Mìre») e i colleghi francesi dell’architetta frenano la loro coazione all’ossitona («Miré», con accento acuto), Marco – borgataro xenofobo, lottatore di thai boxe, nostalgico del Ventennio, secondo un catalogo pedissequo di stereotipi – ripristina pressoché naturalmente il rimosso della romanità («Mire’»).

Pedullà sfugge alla didascalia giocando sull’esposizione delle vite, tutte in qualche modo contraffatte o mutilate: che cos’è la mondanità internazionale di Mirella, se non il movimento del valore nell’epoca del capitale globale? E quella di Carlo, fatta di pura teoria senza più l’ombra (ma con la nostalgia) di una praxis? E quella di Marco, avvinta alle forme false di un mondo che non fu mai autentico, ma che dalla sua ha un’attività effettiva nel mondo storico? Marco, con il suo linguaggio diretto, rappresenta la persistenza di una dimensione storica scomoda ma ineludibile, mentre Carlo, con il suo linguaggio più raffinato, incarna l’intellettuale disarmato di fronte alla complessità del presente. In questo racconto, Pedullà restituisce con forza il senso di una frammentazione che segna tanto le vite individuali quanto le strutture sociali.

 

Un romanzo politico?

Definire Certe sere Pablo come un ritorno al romanzo politico sarebbe riduttivo. Pedullà, infatti, non si limita a rappresentare il mondo sociostorico da cui i racconti emergono, ma lo interroga, lo decostruisce e lo ricompone in forme nuove. La politica, in queste pagine, non è tanto il tema centrale quanto il contesto inevitabile, il tessuto connettivo di esistenze che cercano un senso in un tempo che sembra averlo smarrito. Più che un ritorno al romanzo politico, Certe sere Pablo è una testimonianza letteraria che guarda con lucidità e nostalgia a un mondo ormai scomparso, ma ancora capace di parlare al presente.

Certe sere Pablo è un atto di memoria, un tentativo di afferrare ciò che della storia continua a sfuggirci. L’autore restituisce al lettore un mosaico di voci, luoghi e gesti che appartengono a un’epoca apparentemente conclusa, ma il cui significato continua a vibrare nel presente. È questa tensione tra ciò che è stato e ciò che potrebbe ancora essere a rendere il libro una testimonianza necessaria, capace di mantenere viva l’idea che, anche nei momenti di maggiore disincanto, e il nostro è senz’altro uno di questi, il pensiero politico e l’arte della narrazione possono indicare nuove possibilità.

Scritto da
Riccardo Gasperina Geroni

Professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna. È stato research fellow presso le Università di Münster e di Oxford. I suoi interessi vertono principalmente sulla letteratura italiana del Novecento con particolare interesse all’intreccio della letteratura con la filosofia, la psicoanalisi e l’antropologia. È autore di: “Bologna di carta. Guida letteraria della città” (Il Palindromo 2022), “Alfredo! Alfredo! Storie di Panzini e della Casa Rossa” (con Marco Antonio Bazzocchi, Pendragon 2021), “Cesare Pavese controcorrente” (Quodlibet 2020) e “Il custode della soglia. Il sacro e le forme nell’opera di Carlo Levi” (Mimesis 2018) che ha vinto la XXI edizione del Premio Carlo Levi. È inoltre tra gli autori di “Cento anni di letteratura italiana (1910-2010)” (Einaudi 2021) e ha curato (con Paolo Desogus e Gian Luca Picconi) “De Martino e la letteratura. Fonti, confronti e prospettive” (Carocci 2022) e la nuova edizione di “Quaderno a cancelli” di Carlo Levi (Einaudi 2020).

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