Crediti deteriorati: la spada di Damocle del sistema bancario
- 27 Settembre 2017

Crediti deteriorati: la spada di Damocle del sistema bancario

Scritto da Gianluca Piovani

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I crediti deteriorati sono quei crediti erogati da una banca che presentano difficoltà nella riscossione a causa del peggioramento della situazione finanziaria del debitore. In altre e più semplici parole si tratta dei casi in cui il debitore fatica a ripagare il debito. Quello del deterioramento del credito è un problema estremamente rilevante per l’Italia e per il suo sistema economico e bancario, tant’è che a fine 2016, da sola, l’Italia vantava il non invidiabile primato di possedere circa un terzo di tutti i crediti deteriorati europei.

Una quantità elevata di crediti deteriorati può schiacciare sotto il suo peso la propensione a prestare di una banca: nel caso una banca si renda conto che nel suo portafoglio crediti siano presenti eccessivi tassi di fallimenti e perdite economiche sarà dissuasa dall’assumere ulteriore rischio di credito erogando nuovi prestiti. Com’è risaputo il credito è la “benzina” dell’attività economica e una strozzatura causa notevoli problemi per la crescita ed il benessere economico di una nazione.

Un concetto apparentemente semplice come quello del credito deteriorato può d’altra parte divenire complesso una volta considerate alcune questioni tecniche. Spesso, approcciando la letteratura riguardo il tema, si viene storditi dalla grande quantità di classificazioni e dal florilegio di diversi stime esistenti: l’Italia è pessima per quantità di crediti deteriorati ma è virtuosa per gli accantonamenti; sono negativi ma in termini numerici molto diversi i dati riguardanti le sofferenze lorde e nette.

È perciò necessario spendere alcune parole riguardo la questione delle classificazioni. Innanzitutto notiamo come la sigla NPL (Non Performing Loans) sia un sinonimo di credito deteriorato. I crediti deteriorati sono una macro classe divisibile in tre sottocategorie a seconda della gravità del deterioramento. Tali sottocategorie sono quelle delle sofferenze, degli inadempimenti probabili e delle esposizioni scadute e/o sconfinanti. In sostanza è sufficiente ricordare che un cliente che tarda 5 giorni a pagare la rata del mutuo perché magari è in vacanza non è uguale a una azienda in ritardo di 9 mesi contro cui si è iniziata una procedura esecutiva di esproprio di immobili.

La quantità globale di crediti deteriorati comprende anche situazioni non estremamente gravi di ritardo nei pagamenti mentre invece le sofferenze sono il grado più grave e riferito solamente ai debitori in stato di insolvenza. Consideriamo un credito di 100 euro a un debitore ora insolvente. La banca necessiterà di anni per terminare la procedura di riscossione da cui comunque si aspetta di potere recuperare una parte dell’ammontare, diciamo 60 euro; nel frattempo scriverà a bilancio un fondo di accantonamento di 40 euro per tenere conto delle future perdite in cui incorrerà. Le sofferenze lorde ammonteranno quindi a 100 euro mentre quelle nette, cioè non coperte da fondi svalutazione crediti, sono pari a 60 euro.

A fine 2016 l’ammontare totale di crediti deteriorati delle banche italiane era pari a 349 miliardi; i crediti deteriorati netti (cioè al netto dei fondi svalutazione) erano invece pari a 173 miliardi. Di questi crediti deteriorati le sofferenze totali erano pari a 215 miliardi e quelle nette ad 81 miliardi. L’incidenza delle esposizioni deteriorate sul totale del monte prestiti erogati in Italia era del 15,3%; a livello europeo invece l’incidenza media è del 5,1%. Certo le banche italiane sono forse più “virtuose” negli accantonamenti poiché coprono con fondi svalutazione il 48,9% dei crediti deteriorati mentre la media europea è 44,6% ma chiaramente ciò non può compensare una zavorra che incide per circa il triplo sull’ammontare dei crediti erogati. Dai numeri di cui sopra[1] emerge chiaramente come il problema dei crediti deteriorati sia particolarmente rilevante per il nostro Paese.

Come mai il problema dei crediti deteriorati è diventato così rilevante in Italia? Il nostro sistema bancario non è certamente stato paragonabile in termine di rischi finanziari a quello di altri paesi che hanno causato la crisi. Le banche non si sono sbilanciate in cartolarizzazioni rischiose e complesse di mutui subprime e nemmeno hanno fatto incetta di derivati opachi. Le banche italiane si sono concentrate su una sana pratica bancaria di tipo tradizionale erogando credito all’economia reale… però in modo un po’ troppo allegro e talvolta clientelare. Gli istituti di credito italiani sono stati colpiti dalla crisi non tanto per il collasso dei mercati finanziari e della finanza globale ma per gli strascichi velenosi in termini di contraccolpi sull’attività economica reale e di aumento dei tassi di default.

In sostanza quando l’economia va bene è facile fare affari e le aziende in genere vanno tutte bene. Viene quindi spesso la tentazione di aumentare eccessivamente la quantità di prestiti, tanto in pratica nessuno fallisce e tutti pagano cospicui interessi, pecunia non olet. È come quando a tavola vediamo una torta troppo buona per non essere mangiata; prestare soldi a pioggia in periodi di crescita economica è un business fin troppo facile. Finché la crescita dura si incassano corposi interessi anche e magari soprattutto a fronte di clienti dalla posizione finanziaria precaria e instabile a cui quindi si richiede una remunerazione del credito maggiore a causa del rischio. La storia però insegna che prima o poi arriverà una crisi, l’unica incognita è quando ma prima o poi nel termine di qualche anno arriverà: e allora i portafogli crediti di banche la cui attività era eccessivamente sbilanciata in termini di rischi, vuoi magari perché legate a logiche politiche o clientelari o di espansione eccessiva, registrano perdite estremamente sostanziose e questa è la storia di banche come il Monte dei Paschi o di Banca Marche.

E cosa succede quando la crisi colpisce? In Italia, nel pieno rispetto della nostra tradizione artistica e operistica, è stato un crescendo rossiniano. Dapprima si compiono sforzi enormi per nascondere la polvere sotto il tappeto. Inutile, anzi possibilmente dannoso e mortale, far emergere i problemi nel momento di panico finanziario. Alcune perdite emergono, ma si tratta solamente la punta dell’iceberg, il grosso viene nascosto per farlo emergere poi; e tutto ciò anche con un po’ di consapevolezza dei vigilanti e dei regolatori, diciamo che non era una novità che Monte dei Paschi, tanto per fare un esempio, non navigasse in buone acque.

Mettendoci nei panni degli organismi pubblici aprire seriamente il caso Monte dei Paschi nel 2011 avrebbe fatto letteralmente esplodere lo spread con possibile fallimento della nazione e quali benefici se ne sarebbero tratti? Meglio non tirarsi la zappa sui piedi e attendere un momento più propizio. La prassi è quindi far emergere le perdite lentamente e sanare i bilanci con relativa registrazione di perdite solamente man mano che la situazione economica migliora.

Ciò è chiaramente mostrato dal grafico che segue e mostra che il picco dell’incidenza dei deteriorati è stato raggiunto nel 2015, non proprio l’apice della crisi. Davvero tutti quei crediti deteriorati sono riferibili proprio a quell’anno? Chiaramente no, è solo la polvere sotto il tappetto che emerge man mano che lo si solleva.

Il processo di smaltimento dei crediti deteriorati può d’altra parte essere gestito in vari modi ed è possibile agire su numerosi fronti. In primo luogo possono essere messi in atto alcuni interventi da parte dello Stato di cui il più rilevante è rendere più efficiente la giustizia ed i procedimenti di riscossione durante le procedure fallimentari. Non è una novità che la giustizia in Italia abbia tempi molto lunghi che possono rendere molto difficoltoso per le banche riscuotere le sofferenze.

In un breve paper di Banca d’Italia si stima che: «se i tempi della giustizia civile fossero stati nel nostro paese pari a quelli medi europei, le banche meno deboli avrebbero evidenziato un rapporto tra crediti anomali e impieghi tra il 7 e l’8 per cento, non lontano da quello medio delle banche del resto d’Europa»[2]. In questo quadro vanno considerate le riforme della legge fallimentare nel 2015-2016.

Lo Stato italiano ha inoltre reso possibile svalutare i crediti in un termine temporale di 5 e non più 18 anni nel 2013 mentre nel 2016 è stata introdotta la garanzia sulle cartolarizzazione di sofferenze (GACS). Quelli che precedono sono solamente alcuni degli interventi legislativi degli ultimi anni volti a facilitare la riscossione e quindi lo smaltimento dei crediti deteriorati ed evidenziano l’attenzione che anche da parte del settore pubblico si sta dedicando a questo delicato tema.

Anche da parte del settore privato è possibile fare ulteriori sforzi in vista di migliorare la gestione della riscossione dei deteriorati. Inutile nascondere l’arretratezza delle banche italiane con riferimento ai temi dell’informatizzazione e dell’automazione delle procedure di riscossione. Molto spesso non è chiara nemmeno alle banche stesse la situazione del proprio portafoglio crediti ed in particolare di quello delle sofferenze ed anche per questo Banca d’Italia si è impegnata a rendere obbligatoria per le banche la segnalazione di dati riguardanti tali aggregati. Considerata la mancanza di risorse ed investimenti sulle procedure di riscossione da parte delle banche italiane, risulta per queste molto più facile liberarsi delle posizioni deteriorate vendendole ad operatori terzi e più efficienti, ossia generalmente grandi hedge fund stranieri.

Il mercato dei crediti deteriorati è abbastanza sbilanciato: da un lato vi è una grande offerta in quanto tutte le banche vorrebbero liberarsi di questi crediti, mentre dall’altro non c’è proprio la fila di operatori che non vedono l’ora di assumersi il rischio di acquistare un portafoglio di deteriorati magari pure opaco e poco coperto in termini di dati e profilazione da parte della banca venditrice. Spesso succede quindi che i pochi operatori specializzati finiscano per “prendere alla gola” le banche italiane imponendo cessioni a forte sconto che gli garantiranno forti guadagni in tal modo spogliando ulteriormente le nostre già provate e magre banche di bandiera.

Purtroppo chi è causa del suo male dovrebbe piangere sé stesso: non è tanto una questione di nazionalismo quanto di mercato. Le banche italiane sono fortemente spinte a pulire i bilanci da parte dei regolatori, che vedono nella finestra economica positiva che si è finalmente aperta nel 2017 un’occasione da lungo tempo attesa per riportare in sicurezza i bilanci bancari. Nessuno ha costretto le banche italiane ad essere inefficienti e sostanzialmente incapaci di gestire da sole questo tema e chiaramente chi invece ne è capace vuole essere remunerato per le sue capacità; le banche italiane stanno pagando per la loro debolezza. Ovviamente se gli hedge fund fossero italiani e le banche estere ci sarebbe un’alzata di scudi a favore dei nostri poveri fondi che non solo aiutano le banche estere a ripulirsi dalle loro sporcizie ma si sentono anche venire accusati di essere degli ignobili strozzini.

Insomma la morale della storia è che pare che finalmente lo stock dei deteriorati italiani (349 miliardi a fine 2016) subirà rilevantissime riduzioni grazie ad alcune cessioni avvenute nel corso del 2017. Le prime quattro cessioni per ammontare (Unicredit, MPS, Banca di Vicenza e Banca Veneto) comprendono infatti circa 60 miliardi di euro mentre in totale si dovrebbe raggiungere la notevole cifra di 100 miliardi di euro smaltiti[3].

In conclusione il tema dei deteriorati è un tema estremamente interessante e rilevante per il nostro Paese. Fino a fine 2016 l’Italia era detentrice di un terzo di tutti i crediti deteriorati europei ma pare ora essersi aperta una finestra per affrontare questo annoso tema. I risultati che stanno venendo conseguiti sono davvero impressionanti anche se la modalità potrebbe sollevare alcune critiche. Ci aspettiamo quindi di vedere le “magnifiche sorti e progressive” del sistema bancario italiano sempre più realizzarsi e migliorare nei prossimi anni o almeno fino allo scoppio della prossima crisi.


[1]Dati ricavati da https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2017/Barbagallo_CISL_06062017.pdf

[2] Fonte: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2017/Barbagallo_CISL_06062017.pdf

[3] Fonte: http://www.repubblica.it/economia/rubriche/affari-in-piazza/2017/09/17/

Scritto da
Gianluca Piovani

Nato nel 1991 a Bologna, ha conseguito la laurea magistrale in Finanza Intermediari e Mercati presso l’Università di Bologna. Durante il periodo universitario ha fatto parte del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Ha collaborato con la rivista elettronica «Il Chiasmo». La sua esperienza lavorativa inizia con ricerca economica in Prometeia e prosegue in Banca di Bologna con la gestione patrimoniale. Attualmente lavora per la multinazionale Crif e si occupa di servizi informatici per banche.

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