Data science e salute. Intervista a Eugenio Zuccarelli
- 27 Ottobre 2022

Data science e salute. Intervista a Eugenio Zuccarelli

Scritto da Lorenzo Benassi Roversi

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Dal diffondersi della pandemia fino all’invasione russa dell’Ucraina e alla situazione inflativa che caratterizza oggi l’economia europea, il prodursi di eventi inattesi pone sfide complesse a governi, operatori economici e singoli cittadini. La necessità di gestire eventi imprevedibili ha portato a una costante crescita di attenzione nei confronti dei dati e del loro uso per analisi e previsioni. Viene dunque ad acquisire un ruolo rilevante la data science che, attraverso l’analisi dei dati e l’applicazione di modelli predittivi basati sull’intelligenza artificiale, permette di prefigurare scenari e anticipare l’emergere o il variare dei fenomeni. In questa intervista Eugenio Zuccarelli – data scientist specializzato nell’ambito sanitario, inserito da «Forbes» tra i talenti under 30 più promettenti al mondo – riflette sulla data science e sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale.


Con quale percorso arriva a specializzarsi in data science? Cosa la affascina delle potenzialità dei dati? 

Eugenio Zuccarelli: Mi sono laureato in ingegneria elettronica e tecnologie dell’informazione a Genova, la mia città. Poi l’interesse per la robotica mi ha spinto a focalizzare i miei studi sull’intersezione tra l’ingegneria e la componente umana. Per questo mi sono trasferito a Londra dove ho iniziato a lavorare su queste tematiche all’Imperial College, frequentando un master. A quel punto pensavo che mi sarei occupato particolarmente dell’ambito hardware, di ciò che possiamo “toccare”. Ho finito invece per appassionarmi di più al lato software della robotica. Sono rimasto affascinato dalla componente relativa al “cervello” dei robot e alla possibilità di conferire alle macchine la capacità di prendere decisioni. Ho quindi proseguito gli studi al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston e ad Harvard. Trovavo estremamente interessante l’intersezione tra il cervello umano e la tecnologia, l’intelligenza artificiale. Ritengo di grande valore due domande che finiscono per convergere: cosa possiamo imparare dal cervello umano per migliorare i software e come utilizzare la tecnologia per migliorare l’uomo? La data science cerca infatti di utilizzare i dati per creare modelli di intelligenza artificiale che possono migliorare la condizione umana.

 

CVS Health è la compagnia per cui lavora. Di cosa vi occupate e come vi rientra la data science? 

Eugenio Zuccarelli: CVS Health è la più grande compagnia al mondo nell’ambito della salute, è un’enorme realtà con circa 300.000 dipendenti. La compagnia si focalizza su tutto il settore Healthcare, dalle farmacie fino alle assicurazioni. Per esempio, possiede la maggioranza delle farmacie negli Stati Uniti ed è stata l’azienda che ha portato le vaccinazioni per Covid-19 agli americani. Avendo a che fare con una grande porzione della popolazione americana attraverso una rete di negozi molto estesa, la compagnia ha un vantaggio in fatto di dati, di cui ha grande disponibilità.

 

Precisamente di cosa si occupa il team che dirige? 

Eugenio Zuccarelli: Ci occupiamo di utilizzare tutti questi dati a cui abbiamo accesso tramite la compagnia per capire meglio quali decisioni prendere a livello di business. Cerchiamo di capire quali sono le aree del settore salute che hanno un impatto maggiore sulle persone, quali malattie costano di più alla popolazione americana, come possiamo ridurre i costi e migliorare la salute di chi si rivolge a noi. Ci dedichiamo a mettere a punto modelli che permettono di prevedere la progressione delle malattie e i trend generali nella popolazione, focalizzandoci soprattutto su malattie complesse e croniche come il diabete e l’ipertensione, che hanno un impatto su milioni di americani. In base alle caratteristiche personali, i nostri modelli ci permettono di prevedere quali patologie si svilupperanno. L’analisi di migliaia, o milioni, di record permette di stabilire relazioni tra le caratteristiche di una persona e gli outcome descritti. Su tali relazioni si basano i nostri modelli.

 

Ha anche fondato un gruppo di ricerca che ha affiancato le istituzioni nel contrasto della pandemia da Covid-19. Di cosa si è trattato? Con quali strumenti avete agito e con quali risultati?

Eugenio Zuccarelli: Pur non essendo medici, con i miei colleghi del MIT abbiamo cercato di dare il nostro contributo al contrasto della pandemia, mettendo a disposizione le nostre capacità nell’analisi dei dati. Abbiamo creato degli algoritmi che in modo automatico reperissero i dati pubblicati dai vari Stati riguardo i casi e ospedalizzazioni dovute all’acutizzarsi dell’infezione da Covid-19. In questo modo, siamo riusciti a creare una raccolta di dati che fornisse per ogni area degli Stati Uniti informazioni affidabili sul numero di casi, di ospedalizzazioni e di decessi. In questo modo, abbiamo poi potuto utilizzare le nostre capacità in intelligenza artificiale e data science per rispondere ad alcune domande cruciali. Per esempio, siamo riusciti a creare modelli di AI che tramite questi dati riuscivano a individuare in anticipo le zone a più alto rischio di focolai. Le informazioni permettevano alle autorità competenti di sapere prima dove sarebbe stato necessario indirizzare le energie, evitando il rischio che gli ospedali, colti di sorpresa, venissero sopraffatti. Abbiamo inoltre potuto evidenziare come varie case di riposo fossero esposte a rischi elevati, per esempio perché non avevano le giuste soluzioni di prevenzione e igiene per garantire la sicurezza dei residenti. È stata una grande opportunità per produrre un impatto concreto sulle persone e sulla società attraverso le nostre conoscenze, e abbiamo avuto la prova che ciò che abbiamo imparato può avere risvolti pragmatici di grande rilievo.


Oltre al Covid-19, quali sono le potenzialità dell’AI sul fronte della sanità?

Eugenio Zuccarelli: Sono molte. L’AI ha la capacità di analizzare enormi quantità di dati in pochissimo tempo imparando, un po’ come fa un medico che però passa anni a specializzarsi prima di poter fare una diagnosi. Tengo però a sottolineare che l’intelligenza artificiale non ambisce a rimpiazzare i medici, non è questa la nostra visione. La componente umana è insostituibile. I sistemi intelligenti servono a dare nuove capacità ai medici, che possono imparare a servirsene per svolgere meglio il loro lavoro.

 

Oggi si parla di applicazione dell’intelligenza artificiale alla diagnostica: sistemi intelligenti che con il machine learning potrebbero superare in competenza i professionisti umani. Così anche nell’applicazione dei protocolli sanitari. Perché ritiene che i medici non possano essere sostituiti? 

Eugenio Zuccarelli: Questi algoritmi sono estremamente potenti, ma è difficile pensare ad un mondo in cui la componente umana sia rimpiazzata. Questi strumenti di AI hanno grandi capacità predittive, ma il medico è anche la sua umanità: una voce rassicurante, la fiducia che si instaura con la relazione di cura. Questo è difficile da sostituire.

 

Quali immagina possano essere gli ambiti con maggiori potenzialità per l’analisi dei dati?

Eugenio Zuccarelli: Ritengo particolarmente promettenti le applicazioni sul fronte della predizione di malattie e della raccomandazione di terapie personalizzate. I medici hanno grandi capacità di diagnosi, ma di solito non hanno la possibilità di avere accesso a milioni di casi in tutto il mondo come invece può fare un sistema di intelligenza artificiale, che può analizzarne le specificità in pochi minuti e cogliere relazioni anche tra i casi più rari. Questo strumento può fornire nuove prospettive e potenziare la capacità di diagnosi del medico. Inoltre, i modelli di machine learning permettono non solo di fare diagnosi sul presente, ma anche di prospettare il futuro, stimando la progressione delle malattie. Infine, questi modelli sono capaci di riassumere il contributo di ogni caratteristica individuale al rischio per il paziente di avere un peggioramento. In questo modo si può dare forma a terapie personalizzate che aiutino i pazienti a gestire la loro malattia, guardando alle loro caratteristiche individuali.

 

Nell’approccio “One Health”, che appare come il paradigma più completo a cui informare le politiche sanitarie, quanto contano i dati? Quanto può contribuire la loro elaborazione intelligente?

Eugenio Zuccarelli: I dati sono un fattore chiave. Non ci può essere una condivisione efficace di informazioni se i dati non sono condivisi in modo sicuro, affidabile e tramite sistemi che “parlano la stessa lingua”. Al momento, mancano le basi. Prima ancora di poter parlare di AI e di modelli che promuovano un’idea integrale di salute a partire dai dati delle persone, dobbiamo costruire le fondamenta di sistemi solidi entro i quali i dati dei pazienti siano al sicuro e possano essere utilizzati per il bene loro e, più in generale, per il bene della società nel suo complesso.

 

Il vostro settore è preparato a far fronte ai rischi derivanti dall’elaborazione di grandi moli di dati? Esiste una prospettiva di responsabilità sociale in questo senso?

Eugenio Zuccarelli: Certo, questo è uno dei principali problemi. Da un lato, condividendo liberamente i dati dei pazienti possiamo accelerare l’innovazione, ma ciò a discapito della sicurezza dei pazienti stessi e della loro privacy. Allo stesso tempo però, mantenere i dati completamente “in silo”, senza che nessuno possa avervi accesso, impedisce ai medici e agli strumenti di intelligenza artificiale di utilizzarli per formulare diagnosi e per mettere a punto terapie. È necessario un bilanciamento. Si tratta di una grande sfida per i prossimi tempi.

 

«Forbes» l’ha inserita tra gli under 30 la cui attività potrebbe cambiare il mondo. Come ci si pone davanti ad aspettative così elevate?

Eugenio Zuccarelli: È una sfida eccitante. Penso che ognuno di noi, nel piccolo o nel grande, debba cercare di migliorare un po’ ogni giorno il mondo. L’idea di generare un impatto sociale positivo attraverso il mio lavoro conta molto per me. Ci sono tante discipline, soprattutto nell’ambito tech, che sono interessanti e stimolanti. Creare gadget tecnologici e futuristici, come possono essere i sistemi di intelligenza artificiale, è sicuramente stimolante e proietta nel futuro, ma non potrei mai accontentarmi di questo. La possibilità che il mio lavoro produca un impatto reale sulla vita e sul benessere delle persone è quello che mi fa sentire realizzato. È importante capire che la tecnologia è uno strumento potente, ma deve essere finalizzato al miglioramento della condizione umana.

 

Lei ha dichiarato che avrebbe voglia di tornare in Italia. Cosa manca però all’Italia per attrarre talenti nel suo ambito? Da quali interventi partire per modificare la situazione?

Eugenio Zuccarelli: Ci sono varie opportunità di miglioramento. Partirei dalla volontà di investire nei giovani. L’età media in Italia sta crescendo sempre di più e la questione demografica si sta facendo sentire. Rischia di innescarsi un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Servono poi investimenti in ambito tecnologico. Ho avuto modo di vedere in prima persona quanto siano capaci i giovani italiani, e non solo i giovani. Le tecnologie con cui abbiamo a che fare tuttavia non ci mettono in condizioni di competere. Per esempio, nelle università l’approccio è ancora di stampo principalmente teorico e le tecnologie che vengono insegnate sono spesso venti o anche trenta anni indietro. È giusto imparare dalle basi, poi però è necessario arrivare velocemente a imparare ciò che è attuale.

 

Sarebbe disposto a mettersi a disposizione personalmente per un progetto che valorizzasse fortemente le potenzialità del nostro Paese?

Eugenio Zuccarelli: Faccio spesso consulenze e uno dei miei più grandi desideri è di cercare di aiutare il nostro Paese. Sarebbe un piacere e un onore.


L’Emilia-Romagna sta mettendo a punto una legge per attirare giovani con competenze elevate, richieste dal mercato e necessarie all’ecosistema produttivo locale. Qualche consiglio?

Eugenio Zuccarelli: Dare la fiducia ai giovani. È facile attirare i giovani con incentivi economici, come tasse più basse, ma dura poco se non c’è una vera convinzione da entrambe le parti. Bisogna creare opportunità. Se non si dà a una persona la possibilità di sbagliare, non le si dà nemmeno la possibilità di avere successo e questo è quello che, con qualche eccezione, succede in Italia da anni. Meritocrazia e fiducia nei giovani sono valori troppo spesso ignorati, c’è una forma mentis che tende a interpretare l’anzianità come una garanzia, un’indicazione di qualità. Per la mia esperienza, non è raro che le cose stiano all’opposto.

 

Con l’installazione del supercalcolatore Leonardo, a Bologna si concentrerà l’80% della capacità di calcolo italiana e il 20% di quella europea. Quali opportunità ritiene possano generarsi?

Eugenio Zuccarelli: Avere una forte capacità di calcolo è un potere incredibile soprattutto nel mondo odierno in cui dati e algoritmi divengono sempre più centrali. Il fatto che molti non ne capiscano l’importanza è un altro segno che la percezione della tecnologia in Italia è sempre un po’ in ritardo. Avere una forte potenza di calcolo è un potere che va conosciuto e utilizzato per il meglio, dalla cura delle malattie fino alle scelte di business e alle decisioni di governo della cosa pubblica, le applicazioni sono potenzialmente infinite.

 

Quanto è importante la sfida della divulgazione? È possibile una conoscenza diffusa delle potenzialità del digitale?

Eugenio Zuccarelli: La divulgazione è necessaria, ora più che mai. Il problema è che necessita di cui componenti chiave: l’esperienza e la capacità di comunicazione. In Italia, si ha spesso un approccio diverso rispetto a quello dei Paesi anglosassoni. Si tende a interpretare l’uso di parole altisonanti e astruse come vera conoscenza dei temi trattati. Questo crea una situazione per cui gli esperti parlano un linguaggio che in pochi capiscono, a volte nemmeno “gli addetti ai lavori”. Quello che funziona, invece, è parlare con parole semplici. In questo modo, non solamente si dimostra di padroneggiare il concetto, ma si permette anche ai non esperti di capire meglio ciò di cui si tratta. Anche sulla divulgazione, c’è tanto da fare.

Scritto da
Lorenzo Benassi Roversi

Giornalista, laureato in giurisprudenza all’Università di Bologna. Fin dagli anni universitari si è occupato di comunicazione culturale. Partendo dal cinema-teatro Bristol di Bologna, di cui ha curato convegnistica e rassegne, conduce oggi il programma di approfondimento culturale Bristol Talk e il programma di approfondimento sull’economia cooperativa Lettera dalla Cooperazione. Attivo in ambito sindacale, collabora con “Il Nuovo Diario Messaggero”, testata giornalistica di Imola, su cui cura la rubrica “Aziende innovative”. Si occupa di consulenza e comunicazione della cultura aziendale per realtà produttive e istituzioni finanziarie del territorio bolognese.

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