Scritto da Paolo Bozzi, Raffaele Danna
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L’elusione fiscale rappresenta un fenomeno che assume proporzioni estremamente importanti nel contesto economico globale attuale. Essendo spesso parte rilevante delle strategie delle imprese contribuisce in maniera non trascurabile al mantenimento e all’incremento delle disuguaglianze. Queste tematiche sono al centro delle ricerche di Gabriel Zucman, qui intervistato. Zucman è un economista francese, allievo di Thomas Piketty. Insegna Economia presso la University of California a Berkeley e ha vinto l’Excellence Award in Global economic affairs of the Kiel Institute for the World Economy.
Qual è stato il percorso che la ha portata a studiare la distribuzione della ricchezza? Durante i suoi anni da studente, non si trattava di un argomento piuttosto di nicchia? Quali sono state le tappe della sua carriera come studioso delle disuguaglianze?
Gabriel Zucman: Sono stato influenzato dalla crisi finanziaria del 2008-2009. All’epoca avevo 22 anni e volevo capire che cosa stava succedendo nel mondo. Per questo ho iniziato a interessarmi alle statistiche macroeconomiche sui flussi di capitale, bilance dei pagamenti… dati dove trovi centinaia di miliardi di dollari che escono in massa (flow out) da posti come le Isole Cayman o le isole Bermuda. Volevo capire la storia dietro a quei numeri: quali erano le implicazioni per la disuguaglianza, l’evasione fiscale o l’instabilità finanziaria.
Potresti riassumere i principali risultati dell’ultimo Rapporto sull’evasione fiscale globale (Global Tax Evasion Report)? Che cosa ci dice in merito ai recenti sviluppi del capitalismo globale?
Gabriel Zucman: Il Rapporto sull’evasione fiscale globale analizza i tentativi fatti a livello internazionale per combattere l’evasione fiscale nell’ultimo decennio. Per troppo tempo, l’evasione fiscale è stata vista da molti come un’inevitabile legge di natura, quasi un sottoprodotto o un effetto collaterale della globalizzazione. Questo ha portato a una corsa al ribasso sulle tasse dovute da coloro che hanno maggiore possibilità di muoversi: multinazionali e persone molto ricche. La disuguaglianza è diventata ancora più estrema. Nel rapporto, noi mostriamo che l’evasione fiscale non è una legge di natura. Niente può essere più lontano dalla verità. L’evasione fiscale è una scelta politica, o talvolta il risultato di un’assenza di scelte politiche. Il nostro messaggio è che possiamo contrastare l’evasione fiscale e possiamo contrastare l’estrema disuguaglianza. Nel rapporto cerchiamo di valutare in maniera oggettiva gli sforzi che sono stati fatti per combattere l’evasione fiscale. E come nel film di Sergio Leone, ci sono “il Buono, il Brutto e il Cattivo”. Cominciamo con una buona notizia: meno di un decennio fa, i Paesi si sono messi d’accordo per costringere le istituzioni finanziarie a condividere con l’amministrazione tributaria le informazioni sui conti correnti offshore. Per la prima volta, oggi siamo in grado di valutare l’effetto di questa riforma. Nel rapporto mostriamo che questa riforma – chiamata automatic exchange of bank information (scambio automatico di informazioni bancarie) – ha ridotto di tre volte l’ammontare di ricchezza offshore non tassata. Questo è un duro colpo per il segreto bancario. Il “Cattivo” nel nostro rapporto corrisponde alla promessa infranta di un’imposta minima sulle corporation. L’idea dell’imposta minima è rivoluzionaria: per la prima volta 140 Paesi si sono accordati sul fatto che ci deve essere un ammontare minimo di tasse che le imprese devono pagare. Questo tasso del 15 percento è, secondo noi, troppo basso se comparato con quello che pagano le piccole e medie imprese. Al tempo stesso, un’imposta minima interrompe decenni di corsa verso il basso nella tassazione delle società. Il “Brutto”, infine, è la mancanza di qualsiasi azione significativa circa la tassazione dei super ricchi, che ad oggi è estremamente bassa. Nel rapporto, noi mostriamo che in tutti i Paesi per cui abbiamo dati, i miliardari pagano in proporzione meno tasse del resto della popolazione. Di fronte agli enormi investimenti pubblici necessari per affrontare le diverse crisi che incombono su di noi, questo non è sostenibile. Alimenta le disuguaglianze ed erode la democrazia.
Qual è il ruolo dell’elusione fiscale in questo scenario? Quali meccanismi la rendono possibile, e in che modo le imprese riescono a eludere il fisco?
Gabriel Zucman: Dal punto di vista del diritto, esiste da un lato l’evasione fiscale, che è illegale, e dall’altro lato la pianificazione fiscale, che invece è legale. La realtà è molto più complessa di così. Esiste un continuum tra l’evasione e la pianificazione fiscale, con una zona grigia intermedia in cui i ricchi e le multinazionali approfittano di vecchie norme per eludere le imposte, talvolta non evitandole del tutto. Possiamo chiamarla elusione fiscale, forzatura delle norme esistenti, oppure pianificazione fiscale aggressiva. In genere, ci troviamo in questa zona grigia quando un’impresa sposta artificialmente i propri profitti verso un paradiso fiscale. Nel 2022, le imprese hanno spostato 1.000 miliardi di dollari verso i paradisi fiscali. Questo rappresenta il 35% dei loro profitti esteri. Il costo per il fisco è considerevole: 300 miliardi di dollari nel 2022. E come abbiamo detto, l’imposta minima globale non metterà fine a questo. Quando i miliardari organizzano i propri patrimoni in modo da non produrre alcun reddito imponibile, ci potremmo trovare ancora in questa zona grigia. Le tasse pagate dai miliardari sono tra lo 0% e lo 0,5% della loro ricchezza complessiva. Il ruolo dei policymaker è duplice. Assicurarsi di essere in grado identificare coloro che non giocano secondo le regole in modo da poterli sanzionare. Questa è la lotta all’evasione fiscale. Ma il loro ruolo è anche quello di assicurarsi che le nostre legislazioni tributarie siano aggiornate per fare in modo che non ci siano più zone grigie. Assicurarsi insomma che i nostri sistemi fiscali siano adeguati al XXI secolo. Questa è la ragione per cui il nostro rapporto fa una serie di proposte di policy per migliorare l’imposta minima sulle società e per introdurre un’imposta minima sugli individui più ricchi.
Quali sono gli ultimi orizzonti della ricerca sulla disuguaglianza economica?
Gabriel Zucman: La ricerca sull’evasione fiscale e sui modi per combatterla è cruciale per ridurre la disuguaglianza. Considerando l’evasione come un effetto collaterale della globalizzazione, i Paesi sono entrati in una corsa al ribasso sulle tasse dovute da attori mobili, soprattutto grandi imprese e individui ricchi. Tali tagli alle imposte sono stati giustificati dal fatto che il capitale è mobile e questi attori potrebbero semplicemente lasciare il Paese. Il risultato è che le entrate fiscali dei governi adesso provengono soprattutto dalla tassazione dei redditi da lavoro delle persone comuni. L’onere di queste imposte tende a ricadere sulla fascia bassa, media e medio-alta della distribuzione del reddito. Recuperare il deficit fiscale dei miliardari e delle grandi aziende multinazionali potrebbe contribuire a reintrodurre l’equità nei nostri sistemi fiscali, a generare entrate e fiducia fra i cittadini.
Quali strumenti potrebbero essere usati per combattere molte delle dinamiche che abbiamo evidenziato? Da un punto di vista fiscale, quali sono le misure più efficaci per ridurre la disuguaglianza, sia all’interno dei singoli Paesi che a livello globale?
Gabriel Zucman: Nel rapporto formuliamo una serie di raccomandazioni politiche per affrontare l’evasione fiscale a livello globale. Siamo favorevoli all’introduzione di una tassa minima globale sulle società. Ma la moltiplicazione delle scappatoie ha seriamente indebolito l’obiettivo originario della riforma. La corsa al ribasso delle tasse pagate dalle grandi aziende potrebbe continuare nonostante la riforma, assumendo altre forme. Invece di competere sulle aliquote fiscali, i Paesi utilizzeranno altre scappatoie, come le generose esenzioni dai crediti d’imposta, per continuare a offrire tasse più basse alle multinazionali. Chiediamo una tassa minima globale di almeno il 20% – per assicurarci che le aliquote fiscali siano allineate con i livelli di tassazione standard delle PMI – e soprattutto senza alcuna scappatoia per porre un vero e proprio freno alla corsa al ribasso delle tasse pagate dalle società. Chiediamo inoltre di intervenire sulla tassazione dei miliardari. Quello che abbiamo fatto con le società, dobbiamo farlo con i miliardari. La tassazione molto bassa di questi individui è insostenibile per il futuro. Il modo più semplice per far sì che i miliardari paghino almeno un po’ di tasse è quello di introdurre un’imposta minima basata sulla loro ricchezza totale. Per il rapporto abbiamo calcolato che una tassa minima del 20% sulle società, senza scappatoie, e una tassa del 2% sui miliardari potrebbero fruttare 500 miliardi di dollari all’anno. Una cifra sufficiente a coprire il fabbisogno di adattamento al cambiamento climatico dei Paesi in via di sviluppo. Queste due misure potrebbero non solo ridurre la disuguaglianza dall’alto, ma anche generare entrate da investire in reti di sicurezza sociali ed ecologiche che riducano la disuguaglianza dal basso.
Come dovremmo ripensare il ruolo dello Stato (o del pubblico) nell’economia, sia a livello nazionale che globale?
Gabriel Zucman: Il moltiplicarsi delle crisi nell’ultimo decennio e quelle che stiamo affrontando ora, come la crisi del costo della vita o l’imminente crisi climatica, hanno ridisegnato il ruolo dello Stato. La cooperazione per la lotta all’evasione fiscale si è intensificata dopo la crisi del 2008. Non è una coincidenza. Gli Stati hanno versato miliardi di dollari per affrontare la crisi e avevano bisogno di sapere che ogni attore rispettasse le regole. La pressione pubblica per la riforma della tassazione delle società è aumentata negli ultimi anni e si è trasformata nella tassa minima globale per le società. Non è sufficiente, ma è una testimonianza dell’impatto dell’opinione pubblica su questi temi. Con la crisi climatica, si pone ora la stessa domanda: chi pagherà il conto dei massicci investimenti pubblici necessari?
Bernie Sanders ed Elizabeth Warren hanno costruito ampie basi elettorali con lo slogan “tax the rich” e l’amministrazione Biden ha cercato di cambiare rotta in materia di tassazione, aumentando le imposte sui ricchi e sulle grandi imprese. Secondo lei, stiamo entrando in una fase in cui non c’è più una corsa al ribasso nei sistemi fiscali? Esiste un crescente discorso politico sulla giustizia sociale, sia a livello nazionale che globale?
Gabriel Zucman: Se si guarda ai Paesi, ai continenti, a volte anche allo spettro politico, c’è una maggioranza, a volte una maggioranza molto forte, che sostiene l’aumento delle tasse sui più ricchi. Ciò che manca non è il sostegno all’idea che i ricchi debbano pagare tasse più alte. Ormai sono pochissime le persone che credono nell’economia trickle-down, tranne quelle che hanno interessi personali. Allora perché non vediamo fiorire tasse sulla ricchezza in tutto il mondo? C’è una diffusa convinzione che i ricchi saranno sempre in grado di eludere queste tasse: lasciare il Paese, nascondere la loro fortuna offshore. Il nostro messaggio è che l’evasione fiscale non è una legge di natura. È una scelta politica. Il nostro rapporto dimostra che tassare i miliardari è possibile. Possiamo tassare i ricchi. Ora abbiamo gli strumenti per sapere dove vogliono nascondere la loro ricchezza e prevenire l’esilio fiscale. Le autorità fiscali hanno ora molte più informazioni per tracciare correttamente la loro ricchezza offshore, possiamo mettere in atto misure anti-esilio fiscale.
Come si colloca l’Italia in questo quadro più ampio?
Gabriel Zucman: Sono stato recentemente a Roma per discutere il tema dell’evasione fiscale. Come in molti altri Paesi europei, lo spostamento artificiale dei profitti da parte delle imprese rappresenta un costo elevato per le entrate fiscali dell’Italia. Nel rapporto stimiamo che i profitti spostati artificialmente fuori dall’Italia verso i paradisi fiscali rappresentino 21 miliardi di dollari, e che gli italiani possiedono quasi 200 miliardi di dollari di ricchezza finanziaria offshore. Come in molti altri Paesi, anche in Italia il sistema fiscale è regressivo e i ricchi pagano meno tasse della classe media. Ci sono abbastanza ragioni per sostenere sia necessaria una grande riforma fiscale per combattere l’evasione e promuovere la progressività. Quest’anno l’Italia detiene la presidenza del G7 e il Brasile quella del G20. Il Brasile ha espresso la volontà di spingere una riforma internazionale per promuovere la progressività fiscale. L’Italia potrebbe svolgere un ruolo di facilitatore e sostenere questo movimento.