Scritto da Roberto Zambiasi
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Due tra i pensatori sunniti più significativi del XX secolo che, seguendo l’esempio di al-Bannā, hanno posto la giustizia sociale al centro del proprio pensiero e dei propri scritti sono Hasan Hanafi e Farid Esack. Figure, apparentemente, diversissime. Il primo, egiziano, nato nel 1935, dottore in filosofia alla Sorbona sotto la supervisione di Robert Brunschvig e poi professore di filosofia all’Università del Cairo. Il secondo, invece, nato nel 1959, sudafricano di origine indiana, studente in Pakistan, Germania e Regno Unito, attivo nella lotta contro l’apartheid e ora a capo del Dipartimento di Studi Religiosi della Johannesburg University.
Ad accomunare i due, però, al di là delle differenze biografiche, stanno alcuni elementi cruciali. Entrambi i pensatori sono infatti finissimi commentatori del testo coranico, e da esso hanno tratto il cuore della propria riflessione etico-politica. Concetto centrale, per entrambi, è quello di mustad’afun, che significa letteralmente “oppressi”. Si tratta di un concetto di particolare pregnanza nel testo coranico, in cui è detto esplicitamente come sia lecito per gli oppressi vendicarsi dei torti subiti[9]. La potenza politica e rivoluzionaria di questo tema era peraltro già stata sottolineata da Sayyid Qutb, Fratello Musulmano egiziano e tra i più importanti esponenti del radicalismo islamico contemporaneo[10]. Egli rivendicava l’importanza per i musulmani mustad’afun di combattere contro i loro oppressori, dai costumi occidentali (in piena continuità col messaggio di al-Bannā) ai regimi falsamente musulmani (esemplificati dall’Egitto di Nasser). A questo, poi, Qutb univa un forte richiamo all’uguaglianza tra gli uomini, fondato sulla loro eguale distanza da Allah.
Proprio Qutb fornisce dunque le basi teoriche per l’applicazione in chiave politica del concetto di mustad’afun, almeno per quanto concerne la riflessione di Hanafi. Quest’ultimo, però, a partire dal tema dell’oppressione arriva ad elaborare un vero e proprio programma teorico e politico, che confluisce in quella che egli stesso ha chiamato “sinistra islamica” (al-Yasar al-Islami)[11]. Obiettivo centrale di tale programma, che, seppur fallito politicamente, ha mantenuto tutta la sua rilevanza intellettuale, è proprio quello di mettere in pratica il Corano interpretato come guida alla liberazione dall’oppressione (torna qui il concetto di teologia come prassi). Peraltro, giova notare che la riflessione di Hanafi non si limita necessariamente al mondo islamico ma, proprio per il suo carattere radicalmente pratico, diventa messaggio di speranza per tutti gli oppressi di qualsiasi popolo e fede. Laddove la riflessione cede il passo all’azione, sembra dire Hanafi, si possono aprire spazi di ecumenismo prima insperati.
Il tema dell’alleanza interreligiosa contro l’oppressione caratterizza d’altronde in modo ben più forte il pensiero di Farid Esack, il quale ha saputo declinare il concetto di mustad’afun in modo originale e anch’esso ricco di implicazioni potenzialmente fruttuose. Per entrare nel pensiero di Esack, bisogna collocarsi nel contesto storico in cui egli si trovò ad operare, ovvero quello della lotta all’apartheid in Sudafrica. Molto spesso si dimentica che anche la minoranza islamica fu vittima di discriminazioni e razzismo durante il regime dell’apartheid, discriminazioni di cui lo stesso Esack fece esperienza. La condizione dei musulmani sudafricani, insomma, fino alla metà degli anni Novanta, fu quella di una minoranza tra gli oppressi[12]. Questa condizione non poté che portare il pensatore sudafricano a sviluppare una riflessione che al concetto di liberazione affianca quello di pluralismo. Già nel titolo della sua opera più famosa, pubblicata in inglese da Oxford University Press nel 1997, Qur’an, Liberation and Pluralism: An Islamic Perspective of Interreligious Solidarity against Oppression, emerge infatti come ogni religione possa contribuire a svolgere, dalla sua prospettiva, l’opera della realizzazione della giustizia sociale e dell’uguaglianza tra gli uomini.
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[9] Cf. in particolare Corano 42: 39-43.
[10] Sul pensiero di Qutb, cf. Moussalli, A. S. (1992). The Ideological and Political Discourse of Sayyid Qutb, Beirut, American University of Beirut.
[11] Questo è tra l’altro il nome della rivista programmatica fondata da Hanafi, la quale, però, uscì solamente con un numero nel 1981.
[12] La situazione è resa ancora più evidente se letta in termini numerici: i musulmani sudafricani, secondo il Census Database citato da Haferburg, C. (2000), How Many Muslims are in South Africa, in Centre for Contemporary Islam, Annual review of Islam in South Africa 3, pp. 33-34, ammonterebbero a circa 550.000, corrispondenti all’1,36% della popolazione del Paese.
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