Scritto da Emanuele Rosini
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Gli scienziati hanno osservato il neutrino più energetico mai visto prima. La particella, che probabilmente proveniva da una galassia lontana, è stata rivelata dal Cubic Kilometre Neutrino Telescope (KM3NeT), un’infrastruttura di ricerca che ospita telescopi di neutrini di ultima generazione, attualmente in costruzione sul fondale del Mar Mediterraneo presso due siti: ARCA, al largo della Sicilia, e ORCA, a 40 chilometri dalla costa di Tolone, in Francia. L’evento è stato osservato dal sito italiano nella notte del 13 febbraio del 2023, ma c’è voluto tempo per analizzare i dati collezionati e convincersi della scoperta eccezionale.
Che cos’è un neutrino?
I neutrini sono particelle elementari: appartengono alla famiglia dei leptoni, proprio come gli elettroni. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, i neutrini sono privi di carica elettrica e la loro massa resta ancora un mistero, tanto che in passato si è ipotizzato potesse essere nulla. Interagiscono debolmente, poiché sono soggetti soltanto alla forza di gravità e alla forza nucleare debole, responsabile del decadimento radioattivo degli atomi.
Furono teorizzati per la prima volta nel 1930 dal fisico austriaco Wolfgang Pauli per spiegare una apparente violazione del principio di conservazione dell’energia e fu Enrico Fermi a popolarizzare questo nome per la piccola particella neutra. Lo stesso Pauli definì l’introduzione dei neutrini una “mossa disperata”, a indicare che nutriva parecchi dubbi circa la loro esistenza e disse anche che non riteneva possibile osservarli in un esperimento. Tuttavia, grazie alla nascita dei reattori nucleari, nel 1956 un esperimento guidato da Clyde Cowan e Frederick Reines dimostrò per la prima volta la loro esistenza, aprendo una finestra su una parte di realtà fino ad allora sconosciuta.
Perché ci interessa studiare le proprietà di queste particelle?
Poiché i neutrini interagiscono raramente con la materia, possono attraversare il Sole, la Terra, persino intere galassie senza essere mai fermati, trasportando informazioni direttamente dalle loro sorgenti astrofisiche. Ogni secondo, circa centomila miliardi di neutrini attraversano il nostro corpo senza lasciare alcuna traccia visibile. La maggior parte di questi provengono dalle reazioni nucleari che avvengono all’interno del Sole, altri potrebbero provenire dai fenomeni più violenti a noi conosciuti: esplosioni di enormi stelle (molto più massicce del Sole), dischi di accrescimento di buchi neri o gamma-ray burst (intensi lampi esplosivi di raggi gamma), che costituiscono il fenomeno transitorio più energetico finora osservato nell’universo. Se esistessero neutrini di questo tipo, trasporterebbero energie elevatissime, fino a migliaia di volte più alte di quelle mai raggiunte sulla Terra dai nostri più potenti acceleratori, come il Large Hadron Collider (LHC) al CERN di Ginevra.
Rivelare i neutrini significa dunque fare luce sul funzionamento interno delle loro sorgenti astrofisiche e sui processi specifici che li originano, impossibili da riprodurre in un laboratorio terrestre. I neutrini solari, ad esempio, ci permettono di studiare i processi di fusione nucleare e confermare i modelli teorici che spiegano il funzionamento della nostra stella. Lo studio dei neutrini ha anche aperto nuove frontiere nello studio dei meccanismi che portano al collasso gravitazionale stellare (quando una stella “muore”), o sui raggi cosmici, protoni e nuclei di elio accelerati a velocità altissime da processi astrofisici fortemente energetici. Pensiamo anche che esista un fondo cosmico di neutrini prodotti all’inizio del nostro Universo, che dovrebbero trovarsi ovunque attorno a noi, dandoci informazioni sulle caratteristiche dell’Universo primordiale, appena dopo il Big Bang.
Un neutrino di energia mostruosa
Poche settimane fa, la collaborazione di KM3NeT ha annunciato di aver rivelato un neutrino diverso da tutti quelli mai osservati. Nominato KM3-230213A, la sua energia è stata stimata attorno a 220 peta-electronvolt (PeV), circa cento milioni di miliardi di volte l’energia della luce visibile e oltre trenta volte l’energia del neutrino che deteneva il record energetico precedente.
La collaborazione di KM3NeT conta più di 360 persone, tra scienziati, ingegneri e tecnici da tutto il mondo. Francesco Filippini, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) presso la sezione di Bologna, uno dei principali gruppi di ricerca all’interno della collaborazione, è stato fra i primi ad osservare questo evento. «Stavo svolgendo un’analisi per la ricerca di neutrini dal piano galattico. Questo comporta, in prima approssimazione, prendere i dati, scrutinarli e compararli alle simulazioni. È così che mi sono accorto di questo “punto” nell’istogramma che spiccava sopra tutti gli altri, che si allontanava da tutto quello che eravamo abituati a vedere quotidianamente nei dati», racconta Filippini, «in un esperimento così complesso, in cui l’analisi dei dati è la coda finale di un lungo processo di calibrazione della strumentazione e processamento dei dati, la prima cosa a cui pensi è che ci sia stato un errore». Infatti, il rapporto fra gli eventi a cui è interessato il gruppo di ricerca di KM3NeT ha una frequenza dell’ordine di 1 su 10 milioni. La probabilità di eventi di questo genere è estremamente bassa, tant’è che nelle distribuzioni di dati la maggior parte di ciò che si osserva è in realtà “rumore di fondo”, eventi da scartare. «Il primo atteggiamento di fronte a un dato come quello è lo scetticismo. Poi fai un altro controllo e vedi che di nuovo l’ipotesi che sia qualcosa di interessante regge. Ne fai un altro e ancora… cominci a credere che forse hai qualcosa di interessante tra le mani», continua Filippini, «e comincia l’eccitazione. Ho chiesto ad alcuni colleghi che lavoravano sugli stessi dati per altre analisi se vedevano la stessa cosa e hanno confermato. A quel punto abbiamo cominciato a crederci e in una riunione abbiamo mostrato la scoperta a tutta la collaborazione. Eravamo in Olanda, e ricordo l’applauso di tutti e l’eccitazione diffusa, appena finita la presentazione. Eravamo tutti in uno stato di euforia, cercando di fare ipotesi sulla provenienza di quel neutrino, su cosa potesse aver generato così tanta luce».
Ma cosa significa vedere una particella? Osservare un oggetto significa in realtà rivelare la luce riflessa dalla sua superficie, ma una particella elementare come un neutrino ha delle dimensioni enormemente più piccole della lunghezza d’onda della luce visibile (tra i 400 nanometri nel violetto e i 700 nanometri nel rosso). In altre parole, una particella non può riflettere la luce. Possiamo soltanto rivelare la radiazione che emette un materiale quando viene “colpito” da una particella (sarebbe più corretto dire che la particella interagisce con la materia). Tuttavia, quando la luce si muove in un mezzo, interagisce in continuazione con la materia e quindi la sua velocità è apparentemente rallentata. La velocità della luce in acqua marina, ad esempio, è di circa 225.000 chilometri al secondo, pari al 75% della sua velocità nel vuoto. In questo modo, quando una particella carica attraversa un mezzo materiale come l’acqua del mare, è possibile che possieda una velocità superiore a quella della luce nel mezzo stesso. Quando questo si verifica il mezzo attraversato dalla particella emette un particolare tipo di radiazione elettromagnetica, detta luce Cherenkov, che può essere osservata da opportuni sensori. L’effetto è simile al sonic boom, il boato prodotto da un aereo che si muove a una velocità superiore a quella del suono nell’atmosfera.
Sfruttando questo meccanismo, è stato possibile osservare l’evento nel rivelatore ARCA (Astroparticle Research with Cosmics in the Abyss) di KM3NeT, localizzato a 3.450 metri di profondità, circa un centinaio di chilometri al largo di Portopalo di Capo Passero, in Sicilia. KM3NeT/ARCA è progettato per studiare i neutrini altamente energetici provenienti dallo spazio, mentre il rivelatore KM3NeT/ORCA, situato al largo di Tolone in Francia, è stato ottimizzato per studiare le proprietà intrinseche del neutrino. Entrambi i rivelatori sono ancora in costruzione, ma già operativi. Una volta completati, comprenderanno un totale di 345 stringhe (230 per ARCA e 115 per ORCA), ciascuna composta da 18 moduli ottici. Siccome i neutrini interagiscono poco con la materia, i rivelatori devono essere molto sensibili, spesso in luoghi estremi dove si può ridurre al minimo il “rumore” (contaminazione da altre sorgenti): profondità marine, sottoterra, nei ghiacci dell’Antartide. Nondimeno, dalla sua posizione nelle profondità del Mediterraneo, il telescopio KM3NeT/ARCA è in grado di mappare circa l’87% del cielo, inclusa la maggior parte della Via Lattea e il suo centro. Questo è possibile proprio grazie alla capacità dei neutrini di attraversare la crosta terrestre pressoché indisturbati.
Come funziona il telescopio?
KM3NeT/ARCA è costruito come una fitta rete di sensori di luce disposti, una volta che sarà ultimato, in un volume pari a circa un chilometro cubo. Quando un neutrino altamente energetico, e quindi molto veloce, attraversa l’acqua del mare, c’è una piccola probabilità che si scontri con una molecola d’acqua generando una pioggia di nuove particelle elementari, come per esempio i muoni, simili agli elettroni ma circa duecento volte più massivi. Mentre il neutrino è privo di carica elettrica, i muoni che produce possiedono una carica elettrica negativa e così il loro passaggio nell’acqua genera luce Cherenkov. Quando il neutrino colpisce un atomo di una molecola d’acqua, può venire prodotto un muone a una velocità superiore a quella della luce nell’acqua, che quindi emette un debole bagliore azzurro di luce Cherenkov rivelabile dai sensori. A questo punto, le misure effettuate vengono trasmesse attraverso una rete a fibra ottica ai computer della stazione costiera dell’INFN, ospitata dai Laboratori Nazionali del Sud (LNS), dove complessi software filtrano i dati e ricostruiscono le tracce delle particelle che hanno attraversato il telescopio. I risultati vengono successivamente inviati ai centri di analisi dati di KM3NeT in Italia e in Francia per ulteriori studi.
Tutto questo è possibile grazie alla tecnologia d’avanguardia che regola il funzionamento del telescopio. I sensori contengono 31 tubi fotomoltiplicatori, rivelatori di luce estremamente sensibili disposti in tutte le direzioni all’interno di una sfera di vetro progettata per resistere alla fortissima pressione delle profondità marine, quasi 350 volte superiore alla normale pressione atmosferica. Una difficoltà ulteriore è data dagli sbalzi prodotti dalle correnti marine. Un sistema di triangolazione acustica accoppiato a un sofisticato software di tracciamento permette di conoscere la posizione di ogni sensore con la massima precisione possibile, in modo da mantenere il telescopio calibrato ed eliminare dalle misure effettuate il disturbo creato dai movimenti marini.
Il rilascio e l’installazione dei sensori e delle altre componenti del rivelatore è uno degli aspetti più delicati del progetto. Uno strumento dedicato, chiamato LOM, è stato sviluppato per sganciare i sensori a una profondità di alcuni chilometri. L’unità di rivelazione a forma di stringa è montata su un telaio sferico (LOM), su cui i sensori sono incastonati in cavità apposite. Un’ancora pesante esterna al veicolo di lancio fissa l’unità sul fondale, mentre un cavo di interconnessione e un contenitore con componenti elettronici e sensori acustici gestiscono l’alimentazione e il posizionamento. Una nave in superficie e un veicolo guidato da remoto (ROV) sono usati per posizionare l’unità con una precisione di un metro. Dopo la verifica della connessione, un segnale acustico attiva lo svolgimento dell’unità mentre il veicolo di lancio emerge lentamente ruotando e rilasciando i sensori. Il veicolo di lancio vuoto galleggia fino in superficie e viene recuperato dalla nave in superficie. L’uso di stringhe compatte consente il trasporto di molte unità a bordo, consentendo così più dispiegamenti durante una singola crociera. Questo metodo riduce i costi e il tempo per l’installazione del rivelatore.
I sensori ottici caricati sui LOM e in procinto di essere installati. Crediti: Simone Biagi, INFN.
KM3NeT è il futuro dell’astrofisica dei neutrini
Grazie a queste tecnologie KM3NeT, nonostante fosse ancora in costruzione, ha potuto rivelare il neutrino più energetico mai osservato prima. Sulla base della sua altissima energia e della traiettoria quasi orizzontale, il gruppo di ricercatori ha concluso che il muone osservato doveva essere stato prodotto da un neutrino di origine astrofisica. Dall’energia del muone rivelato si è potuta stimare l’energia del neutrino che deve averlo prodotto. Nessuno sa con certezza da dove provengano neutrini così energetici. I tentativi di correlare l’evento a sorgenti astrofisiche osservate con altri messaggeri, come i fotoni, non hanno fornito risultati definitivi. Nonostante l’alta precisione ottenuta per il tipo di esperimento, le difficoltà a ricostruire con esattezza la direzione di provenienza della particella non consentono ancora di avanzare ipotesi plausibili sulla sua origine.
Quando KM3NeT/ARCA ha osservato il neutrino da record aveva soltanto 21 stringhe di sensori in funzione. Da allora, altre 12 stringhe sono state installate, aumentando il numero di eventi che il telescopio può rivelare e la precisione dei dati raccolti. Alla fine dell’attuale fase di costruzione, denominata KM3NeT 2.0, ARCA comprenderà 230 unità di rivelazione in tutto, ma già nel suo stato provvisorio KM3NeT è stato in grado di dimostrare l’esistenza di particelle ad energie che fino ad oggi potevamo soltanto ipotizzare con modelli teorici. «Abbiamo aperto una nuova finestra energetica sull’universo», afferma il fisico Paschal Coyle del Centre de Physique des Particules de Marseille, portavoce di KM3NeT al tempo dell’osservazione. «È la prima volta che l’astronomia a questa energia è possibile». Questa è davvero una grande notizia nel campo dell’astronomia a multi-messaggeri, basata cioè sull’osservazione e interpretazione coordinata di diversi tipi di “messaggeri” per uno stesso tipo di evento, come ad esempio la luce, i neutrini e le onde gravitazionali. Se KM3NeT riuscirà a rivelare nei prossimi anni altre particelle di questo tipo, raccogliendo numerose osservazioni e ultimando la costruzione del telescopio, i ricercatori sono convinti che sarà possibile ricostruire con maggior precisione le traiettorie dei neutrini ultra-energetici e svelare il mistero della loro origine.