Scritto da Martina Ardizzi
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«Già nei suoi primi passi l’evoluzione del cervello umano non può essere considerata solo come una mera risposta biologica all’ambiente, quanto piuttosto come un processo di co-evoluzione tra mente, corpo e tecnologia. Il cervello della nostra specie ha progressivamente maturato una capacità cognitiva protesica integrando strumenti nella sua organizzazione sensomotoria, potenziando la cognizione e superando le limitazioni fisiche del sistema nervoso. Con questo bagaglio siamo arrivati fino ai giorni nostri, ma in quale nicchia evolutiva abitiamo oggi?»
In L’algoritmo bipede. L’avvincente storia di come mente, corpo e tecnologia evolvono insieme – edito da Egea con prefazione di Luca De Biase – la neuroscienziata Martina Ardizzi traccia un percorso attraverso i meccanismi più profondi della nostra mente, svelando come ogni nostro strumento – dal primo sasso scheggiato ai visori virtuali – non sia solo un oggetto esterno, ma una vera e propria protesi del nostro pensiero. Un viaggio affascinante tra neuroscienze, evoluzione e innovazione che ci racconta come siamo diventati esseri umani e come (forse) stiamo diventando qualcos’altro.
Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore Egea, un estratto del libro tratto dalla sezione “Cervelli di cera”.
Per scoprire praticamente tutto quello che sappiamo su come si è evoluto il nostro cervello ci siamo ingegnati parecchio. Quello che abbiamo a disposizione sono i resti dei nostri antenati e dei loro manufatti rinvenuti nei maggiori siti archeologici. A causa della decomposizione dei tessuti molli, non abbiamo di certo accesso diretto ai cervelli contenuti nei crani fossili, ma già dalla fine del Settecento si procede con la tecnica che oggi chiamiamo degli endocasti. Riempiendo le cavità craniche dei reperti archeologici con gesso o resine sintetiche o anche sfruttando le più recenti mappature 3D, si ottengono modelli della cavità cranica sorprendentemente dettagliati. Si possono osservare forma, dimensione, increspature e anche la vascolarizzazione superficiale del cervello dei nostri antenati e quella di altri animali.
Osservando la forma degli endocasti e intersecandoli con i reperti materiali contemporanei, i neuroarcheologi concordano nell’individuare tre macro nicchie evolutive che il genere Homo ha edificato nel tempo modificando l’ambiente ecologico, l’ambiente cognitivo e quello neurale.
La prima nicchia, in senso cronologico, corrisponde alla costruzione di strumenti motori cioè di oggetti tecnologici che estendono l’azione del corpo, la portata delle nostre mani o ampliano la loro efficacia (nicchia ecologica). L’Homo Habilis, circa 2,6 milioni di anni fa, usa pietre scheggiate su un lato per creare strumenti chiamati chopper, utili per rompere ossa e accedere al midollo degli animali. Dopo di lui, l’Homo Erectus è la prima specie a utilizzare asce di pietra bifacciali, conosciute come asce acheuleane, per tagliare carne e pelli, ma anche per lavorare il legno e scavare.
A questo punto, il mondo esterno non è più solo quello a portata di mano: si è espansa la cognizione spaziale ed è aumentata la coordinazione motoria della nostra specie, così come si sono iniziate a comprendere le relazioni causa-effetto (nicchia cognitiva). Si sviluppa un’iniziale consapevolezza corporea e dei cambiamenti che il corpo subisce. L’azione proattiva del corpo nel mondo ci fa conoscere il mondo: è nata la mente interattiva. Cambia l’esperienza, cambia la mente. Gli endocasti di questo periodo mostrano lo sviluppo di aree specifiche del cervello, come il lobo parietale e le aree motorie (nicchia neurale). A volano, questa prima espansione cerebrale ha permesso agli esseri umani di migliorare la precisione manuale e la capacità di progettare strumenti che diventano sempre più sofisticati, come le asce di pietra e altri utensili del successivo periodo paleolitico. Nel tempo, queste abilità hanno aumentato la pressione selettiva per un cervello più grande, portando allo sviluppo di due nuove specie: l’Homo Neanderthalensis e il coetaneo Homo Sapiens.
Queste due specie sono le protagoniste della seconda nicchia evolutiva che ha visto la comparsa di strumenti sensoriali, cioè di oggetti tecnologici che hanno permesso ai nostri antenati di percepire informazioni al di fuori della portata dei sensi naturali (nicchia ecologica). Se le mie mani possono raggiungere nuovi orizzonti non si capisce perché non lo possano fare anche i miei occhi o le mie orecchie. Compaiono i primi sistemi di ingrandimento, di amplificazione del suono e anche i primi strumenti musicali. Lo strumento musicale più antico che si conosca è con alta probabilità il flauto di Divje Babe rinvenuto nella Slovenia occidentale e attribuito al periodo paleolitico. Il flauto era probabilmente in uso all’Homo Neanderthalensis che lo aveva ricavato dal femore di un giovane orso delle caverne facendovi alcuni fori distanziati sul lato posteriore. È la prima volta che la voce si fa suono.
Nello stesso periodo l’Homo Sapiens sviluppa anche rudimentali tecniche per migliorare la visione, usando specchi d’acqua o superfici riflettenti naturali (i popoli Inuit ideano primitivi occhiali da sole fatti di ossa e altri materiali per ridurre il riverbero del sole sul ghiaccio, permettendo loro di proteggere la vista nelle condizioni estreme dell’Artico). Grazie agli strumenti sensoriali, l’uomo sviluppa competenze visuo-spaziali sofisticatissime. Il suo mondo diviene popolato di nuove esperienze sensoriali, la percezione del colore e del movimento si affina; la vista acquista progressivamente maggiore rilievo; il cervello deve imparare sempre di più e sempre meglio come integrare queste informazioni sensoriali e ha necessità di un maggiore esercizio della memoria. In un mondo che viene conosciuto attraverso i sensi, nasce così la mente integrativa (nicchia cognitiva). Nel cervello dell’uomo di Saccopastore, un Homo Neanderthalensis rinvenuto a Roma, e in altri resti di uomo moderno vivente in questa nicchia evolutiva, è ben visibile una riorganizzazione del lobo frontale che si porta in posizione orbitale (dietro agli occhi), insieme a una progressiva e ulteriore espansione del lobo parietale e, per l’Homo Sapiens, un’espansione dei lobi temporali (nicchia neurale).
A questo punto dell’evoluzione la nostra specie agisce e percepisce il mondo in un modo totalmente inedito. Riusciamo a pensare alle conseguenze delle nostre azioni, a conoscere i nostri limiti e a progettare strumenti che ci permettano di superarli. Il mondo è più a portata di mano e dei nostri sensi, iniziamo a prendere consapevolezza di noi e di noi nel mondo.
È in questo momento che arriviamo alla terza nicchia evolutiva, con la creazione degli strumenti cerebrali che permettono un’esternalizzazione delle funzioni cognitive e che consentono di conservare e trasmettere informazioni nel tempo (nicchia ecologica). Compaiono pitture rupestri, il linguaggio simbolico orale e quello scritto. Iniziamo ad accumulare saperi e informazioni che devono essere ricordati e trasmessi alle nuove generazioni. Abbiamo qualcosa da dire e da scrivere e iniziamo a farlo. Ora esistiamo in una mente simbolica (nicchia cognitiva), gli oggetti del mondo non sono più solamente materiali ma esistono in modo astratto anche nella nostra mente. Le funzioni cognitive mantengono la loro connessione con gli aspetti corporei e sensoriali da cui emergono, ma acquistano statuti proposizionali e simbolici. Emergono processi sociali più complessi e le prime forme di trasmissione culturale. Grazie allo spostamento in zona orbitale delle cortecce frontali, inizia a espandersi significativamente il lobo prefrontale, che va a riempire la parte più anteriore del nostro encefalo (nicchia neurale). Non abbiamo più la fronte spiovente tipica ancora oggi dei primati non umani e la nostra fronte ora scende dritta. Parallelamente le cortecce associative parietali proseguono nel loro processo espansivo, avendo sempre più materiale da collegare e integrare.
Tre nicchie evolutive si sono dunque susseguite nel tempo e ci hanno reso l’animale che siamo oggi. Forse ora, rispetto alle prime righe di questo capitolo, riusciamo ad avere un po’ più di benevolenza nei nostri confronti. Non avremo l’aspetto dell’animale meglio piazzato in questa corsa evolutiva, però qualche risorsa l’abbiamo tirata fuori. Sicuramente abbiamo “sbilanciato” il processo evolutivo permettendo che l’adattamento possa essere biologico e tecnologico e abbiamo così innescato una circolarità in un processo che altrimenti sarebbe stato a senso unico o quasi.
Insomma, già nei suoi primi passi l’evoluzione del cervello umano non può essere considerata solo come una mera risposta biologica all’ambiente, quanto piuttosto come un processo di co-evoluzione tra mente, corpo e tecnologia. Il cervello della nostra specie ha progressivamente maturato una capacità cognitiva protesica integrando strumenti nella sua organizzazione sensomotoria, potenziando la cognizione e superando le limitazioni fisiche del sistema nervoso.
Con questo bagaglio siamo arrivati fino ai giorni nostri, ma in quale nicchia evolutiva abitiamo oggi?