L’IA nel processo formativo e educativo. Intervista a Luca Ferrari
- 04 Dicembre 2025

L’IA nel processo formativo e educativo. Intervista a Luca Ferrari

Scritto da Elisabetta Miraglio

7 minuti di lettura

Reading Time: 7 minutes

Nel panorama educativo contemporaneo, l’avanzata dell’intelligenza artificiale sta interrogando in profondità i processi di insegnamento e apprendimento, ridisegnando ruoli, relazioni e competenze. Se da un lato l’IA rischia di ridurre la complessità del pensiero a schemi automatizzati, dall’altro apre possibilità inedite per la progettazione didattica e per un’educazione digitale realmente inclusiva. Come formare educatori e operatori culturali affinché non subiscano questi cambiamenti ma li governino in modo critico e cooperativo? E come trasformare la tecnologia da strumento neutro a catalizzatore di nuove pratiche educative e sociali?

Per approfondire queste questioni, abbiamo intervistato Luca Ferrari, Professore associato in didattica e pedagogia speciale presso l’Università di Bologna e coordinatore del corso di alta formazione Coo.de, che da anni si occupa di progettazione didattica e di educazione digitale inclusiva.


L’intelligenza artificiale sfida la nostra concezione di apprendimento e conoscenza, spesso riducendo la complessità del pensiero a modelli predittivi e automatizzati. In che modo l’educazione cooperativa può contrastare questa tendenza e promuovere un’intelligenza collettiva più umana e critica?

Luca Ferrari: L’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe portare a una semplificazione eccessiva del pensiero critico, ma questo rischio è strettamente legato alla capacità di ogni persona di gestire consapevolmente questi strumenti, un’abilità profondamente connessa alla preparazione culturale di ciascuno di noi. Ne consegue il pericolo, già presente, di un divario crescente tra chi sfrutta l’IA con competenza e chi la utilizza solo come una “scorciatoia”. In questo contesto, le condizioni di partenza di ogni bambino e bambina, in particolare quelle socioeconomiche e l’accesso equo alle tecnologie, giocano un ruolo cruciale. Riconoscere e intervenire su queste disuguaglianze iniziali è essenziale per ridurre il divario digitale e culturale, promuovendo una società più equa e democratica.

Negli ultimi tre anni, nel settore educativo, diverse aziende hanno investito nella creazione di strumenti ad hoc per rispondere a specifiche esigenze del contesto scolastico. Si tratta di sistemi che, a partire da modelli fondativi, vengono addestrati con quantità più ridotte di dati educativi specifici e di alta qualità. Tra le soluzioni proposte vi sono strumenti per supportare educatori e educatrici nella pianificazione delle attività, nella creazione di materiali di lavoro, di risorse per l’apprendimento, nonché di strumenti di intervento e valutazione. Pierre Lévy sosteneva che i media digitali permettono di realizzare in modo più immediato e compiuto una sinergia tra i contributi degli individui per la costruzione di un sapere comune. Ma con la diffusione su larga scala dell’intelligenza artificiale generativa, è ancora così? 

Qui si apre una prima dicotomia tra la possibilità di conciliare la capacità di questi sistemi di rispondere in modo sempre più preciso a singoli bisogni e necessità personalizzate, e l’esigenza di preservare, come aspetto fondante dell’esperienza umana, la dimensione collettiva e sociale nella costruzione di idee e proposte. L’educazione cooperativa può, quindi, contrastare questa tendenza, ma solo se si eleva la qualità della formazione iniziale e continua degli operatori e delle operatrici socioculturali. Come sottolinea Maria Ranieri, le professionalità educative non possono prescindere da un’attenta riflessione sull’uso delle nuove tecnologie e sulle opportunità che queste offrono a sostegno dell’azione educativa. Il rischio di ignorare questa sfida è quello di generare nuove forme di marginalità sociale, anche digitale, che colpirebbero sia i destinatari delle pratiche educative sia gli educatori e le educatrici. Come ricorda l’autrice, le professionalità educative devono essere necessariamente ripensate alla luce dei benefici che utenti e professionisti possono trarre dalle tecnologie digitali, pena il rischio di essere relegate ai margini del mondo del lavoro.

 

L’educazione è tradizionalmente vista come un processo umano, basato sulla relazione, sull’esperienza condivisa e sul dialogo. Se l’intelligenza artificiale entra in questo spazio, quale deve essere il ruolo dell’educatore? 

Luca Ferrari: Dal mio punto di vista, se è vero che questa relazione potrebbe essere compromessa da un uso esclusivamente individuale e solipsistico dell’IA, è altrettanto vero che il rapporto tra IA, educatore e studente potrebbe trarne significativi benefici. Secondo le recenti pubblicazioni dell’UNESCO sul tema dell’IA in campo educativo, l’intelligenza artificiale ha trasformato il tradizionale rapporto educatore-studente in una dinamica educatore-IA-studente. L’esperienza relazionale viene quindi potenzialmente arricchita da un ulteriore mediatore (l’IA) che può svolgere un ruolo di “espansione” nei processi di insegnamento-apprendimento, o nella progettazione dell’intervento educativo-sociale-riabilitativo. Considerando i sistemi di IA generativa, tale mediazione può avvenire attraverso un uso appropriato di prompt; si parla, in questo senso, di prompt engineering. Evidentemente, la capacità di formulare prompt efficaci, in grado di soddisfare in modo mirato le esigenze educative e didattiche degli educatori o degli insegnanti e dei contesti in cui operano, sta diventando una delle competenze più rilevanti da acquisire rispetto all’uso di sistemi di IA generativa.

Il prompting può essere paragonato a una bussola nelle mani di un esperto viaggiatore, come un educatore nella costruzione di un piano d’intervento. Mentre la bussola (l’IA) fornisce direzioni e suggerimenti, è il viaggiatore (l’educatore nella mediazione con l’utenza) a decidere la rotta finale, interpretando i segnali e adattandoli alle esigenze del percorso. Così come un educatore dovrebbe pianificare le sue attività con una chiara visione delle finalità e degli obiettivi cui vuole tendere, il prompting richiede la capacità di formulare comandi chiari e mirati per sfruttare appieno le potenzialità dell’IA, garantendo così un percorso guidato ma sempre sotto il controllo del suo progettista. In sostanza, considerando una dimensione dinamica e ricorsiva, gli educatori dovranno necessariamente acquisire queste competenze attraverso le quali chiarire e formalizzare le proprie idee e i propri piani d’azione, fino a quando l’interrogazione dei sistemi di IA non offrirà risposte considerate adeguate, che poi dovranno essere editate, trasformate, tradotte in relazione alle specifiche esigenze contestuali/relazionali che si presentano in fase di azione. È chiaro che la stessa capacità di generare prompt efficaci è strettamente connessa con la capacità (o l’incapacità) di progettazione dell’intervento educativo o didattico, indipendentemente dall’uso della tecnologia.

 

Dal suo lavoro nel coordinare il corso Coo.de, quali ostacoli ha riscontrato nell’integrare l’educazione all’intelligenza artificiale nei percorsi formativi per educatori e operatori culturali? E quali opportunità vede per rendere questo tema più accessibile e rilevante per il loro lavoro?

Luca Ferrari: Posso affermare che non abbiamo ancora riscontrato ostacoli, ma solo perché la tematica dell’IA nei percorsi formativi per educatori e operatori culturali non è ancora così evoluta; non abbiamo ancora dati, né abbiamo raccolto percezioni da parte di questo target group circa gli impatti dell’IA nelle loro professionalità. In generale ci siamo resi conto, ormai dalla nascita del nostro corso, che i percorsi di formazione iniziale di educatori non dedicano particolare attenzione e spazio ai temi del digitale; il numero di CFU universitari, ad esempio, è davvero esiguo se consideriamo il bisogno di qualificazione di questo profilo in relazione all’impatto delle tecnologie nei diversi ambiti professionali nei quali può agire l’educatore. 

Attraverso il nostro corso stiamo cercando di ridurre questo gap di competenze e, non a caso, il numero di partecipanti per edizione è in costante aumento. La proposta di Coo.de del 2025 ha come filo conduttore l’IA, che nel nostro percorso formativo (si tratta di un corso di alta formazione) viene interpretata come elemento trasversale che accompagna la professionalità di educatori/educatrici. Lavoriamo per rispondere al bisogno di fornire competenze adeguate ai futuri educatori professionali socio-pedagogici, perché possano riflettere e utilizzare in modo critico ed efficace le tecnologie digitali nel loro quotidiano lavorativo. È per noi prioritario orientare e accompagnare questa professionalità verso l’acquisizione di competenze digitali, considerate in ambito europeo come una delle competenze chiave per l’apprendimento permanente. 

​​È evidente, come ben sottolineato da Elena Gabbi e colleghe, che la competenza, in quanto costrutto dinamico e strettamente legato al contesto, è destinata a evolversi. Di conseguenza, anche il framework europeo DigCompEdu – che ha ispirato la costruzione del modello formativo Coo.de così come altri quadri di competenza – è soggetto a trasformazioni continue per rispondere alle mutevoli esigenze della formazione e alle nuove sfide che i sistemi educativi si trovano ad affrontare. Rispetto alle opportunità, quindi, vedo una relazione profondamente generativa tra come un educatore agisce proattivamente nel suo percorso professionale e il modo, ad esempio, in cui sceglie e utilizza gli strumenti digitali. Questi strumenti possono realmente catalizzare processi di cambiamento significativi. E questi cambiamenti hanno un doppio impatto: da un lato influenzano come l’educatore integra il digitale nel suo lavoro quotidiano, che si tratti dell’organizzazione generale o di specifici interventi educativi; dall’altro, trasformano il suo stesso sviluppo professionale, sia a livello personale che organizzativo. Mi piace ricordare che l’agency si costruisce come competenza professionale all’interno di un contesto relazionale complesso. Umberto Margiotta coglie perfettamente questo aspetto quando afferma che l’agency è intrinsecamente legata all’azione umana; o meglio, l’agentività è incorporata nel modo stesso in cui interagiamo con il mondo circostante, incluso il mondo digitale che, evidentemente, permea/influenza/entra in relazione con le nostre pratiche educative e didattiche.

 

Come sottolineato, Coo.de forma educatori socio-pedagogici e operatori culturali, categorie professionali spesso escluse dai processi di definizione dell’intelligenza artificiale. Come possiamo superare la barriera tra chi progetta l’IA e chi ne subisce le conseguenze, trasformando l’educazione in un processo cooperativo di governance delle tecnologie?

Luca Ferrari: Nel nostro contesto, in effetti, ci sono poche opportunità per lavorare sulla formazione continua degli educatori socio-pedagogici e degli operatori culturali sui temi del digitale. In Italia, finora, l’attenzione si è concentrata principalmente sulla qualificazione professionale degli insegnanti. Per superare questa barriera è necessario promuovere percorsi di formazione iniziale e continua che considerino il digitale non solo come una questione tecnica o uno strumento semplice, ma come un elemento capace di influenzare, modellare e trasformare la professionalità e le modalità di intervento educativo o didattico.

Nel campo della pedagogia, già diversi anni fa studiosi come Gráinne Conole hanno esaminato la relazione tra strumenti digitali e cambiamento del comportamento umano. Partendo dal presupposto che né gli strumenti né gli utenti sono entità statiche, è emerso che gli utenti modificano progressivamente il loro comportamento attraverso un’interazione co-evolutiva. In questo processo, gli utenti acquisiscono una maggiore competenza nell’uso degli strumenti, se ne appropriano adattandoli alle proprie esigenze, ed esplorano modalità innovative che possono sostituire i modelli comportamentali precedenti. È attraverso questa relazione co-evolutiva che le persone iniziano a immaginare possibilità completamente nuove, in cui lo “strumento” può trasformare radicalmente i comportamenti precedenti. Ciò che nasce come semplice ausilio diventa così catalizzatore di cambiamento, aprendo orizzonti prima impensabili.

Vorrei richiamare, inoltre, il celebre testo di Seymour Papert Mindstorms, dove si evidenzia che attraverso la programmazione i bambini insegnano al computer a pensare e, facendolo, esplorano e scoprono i propri processi di pensiero. Questo approccio e questa visione, a mio avviso, dovrebbero essere una parte fondante del processo di qualificazione delle competenze degli educatori in ottica riflessiva e meta-cognitiva. È fondamentale che gli educatori sappiano utilizzare i sistemi di intelligenza artificiale (inclusa quella generativa), a patto che comprendano che questi strumenti non sono neutrali. Infatti, sono influenzati da orientamenti politici, economici e culturali, e possono condizionare il nostro modo di pensare e agire, soprattutto in relazione ai bias che veicolano. Pertanto, il processo di qualificazione degli educatori deve prepararli ad affrontare questi strumenti con una solida formazione culturale, etica e professionale, per garantire un’azione educativa competente e intenzionale. In questo contesto, è fondamentale che gli educatori rimangano i protagonisti, mantenendo il controllo sull’uso degli strumenti e sulle dinamiche di co-evoluzione (anche inedite) che si possono generare.

Scritto da
Elisabetta Miraglio

Laureata in Etica dell’intelligenza artificiale e impatti sociali delle tecnologie digitali all’Università di Torino. Lavora nella comunicazione, raccolta fondi e sviluppo di progetti europei nel settore no-profit e per cause di giustizia sociale. Fa parte del direttivo di Generazioni Bologna di Legacoop ed è ricercatrice a progetto all’Università di Bologna, dove indaga come le strategie di governance cooperativa possano contribuire a orientare la progettazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale verso la giustizia sociale, l’accesso equo, la responsabilità condivisa e la partecipazione democratica.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici