La biografia spirituale di Albert Einstein: un estratto dal libro di Kieran Fox
- 17 Aprile 2025

La biografia spirituale di Albert Einstein: un estratto dal libro di Kieran Fox

Scritto da Kieran Fox

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Albert Einstein è universalmente noto per aver rivoluzionato la nostra comprensione dei meccanismi del cosmo, ma pochi sanno che il celebre scienziato aveva un profondo lato spirituale. Kieran Fox in Sono parte dell’Infinito (Egea 2025) offre una esplorazione approfondita della spiritualità di Einstein e di come abbia attinto da un gran numero di pensatori e tradizioni filosofiche e religiose: da Pitagora a Platone, da Schopenhauer a Spinoza, dal buddismo alle Upanishad, fino al Mahatma Gandhi.

Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore Egea, un estratto del libro tratto dal capitolo Un mondo di meraviglie.


«La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero […] Chi non possiede questa emozione, chi non sa più fermarsi, meravigliarsi e rimanere rapito dallo stupore, è come morto» – Albert Einstein, What I Believe (1930).

La religione cosmica era intessuta su una trama di pura meraviglia e chiunque fosse in soggezione di fronte al mondo poteva avvicinarcisi. A Einstein non interessavano i consueti paletti: non erano richieste credenze specifiche, nessun libro sacro aveva uno status particolare e nessuna etnia riceveva un trattamento speciale. La sua terza fase si discosta dai paradigmi religiosi del passato, e fa della meraviglia il punto di partenza e il fulcro centrale della sua spiritualità.

Non che l’enfasi di Einstein sulle emozioni fosse qualcosa di nuovo. D’accordo, nota che «le emozioni più diverse presiedono alla nascita del pensiero e dell’esperienza religiosa», siano esse positive, negative o neutre[1]. Ma ogni religione precedente dava per scontata una conoscenza del nostro strano mondo sufficiente da farci capire quale sia l’unico modo giusto di agire al suo interno. Alcune religioni battevano sul fatto che le sfide della vita si dovessero affrontare con amore[2]; altre consideravano la vita stessa una terribile prova di fede[3]; altre erano giunte alla conclusione che il nostro mondo non fosse poi gran cosa, e che si dovesse trascendere il bene e il male con una calma contemplazione[4]. Per quanto diverse possano sembrare, tutte concordano sul fatto che le risposte definitive sono state trovate migliaia di anni fa. Ci forniscono giudizi e mete finali: codici morali pietrificati per anime mortali pietrificate.

Ma per Einstein «meravigliarsi e rimanere rapiti in soggezione» era «il centro della vera religiosità»[5]. Anziché considerare il mondo fondamentalmente buono o cattivo, lo vedeva prima di tutto come misterioso. La meraviglia potrebbe sembrare uno strano valore di partenza per un progetto spirituale, ma questa emozione da gustare a occhi spalancati era proprio ciò che Einstein voleva per la sua religione di mentalità aperta. La meraviglia si basa su curiosità, domande e ricerche. Rivela che l’esistenza è stupefacente e ci ricorda che esiste il grande enigma quando diventiamo pigri. Picchia sulla nostra ignoranza, ci spinge a domande oneste e sostiene la nostra ricerca. La meraviglia rappresenta un inizio, piuttosto che una fine; un invito all’avventura, piuttosto che una conclusione. E per Einstein, la vera religione era impossibile senza di lei.

Con la sua enfasi sulla meraviglia, Einstein si allontanava dalla maggior parte delle dottrine religiose del passato, ma in altri campi aveva molti predecessori. Circa 2500 anni fa Socrate affermava che «la meraviglia è il marchio del filosofo»[6]. Schopenhauer vedeva «il senso del sublime» come un segno sicuro di una mente superiore[7]. In una delle ultime lezioni di Lao Tzu nel Tao Te Ching si legge: «Non lasciare che la tua coscienza della vita diventi superficiale, e non permettere mai a te stesso di stancarti dell’esistenza»[8].

In accordo con tutti questi filosofi di prim’ordine, Einstein sosteneva che la mera esistenza fosse in sé meravigliosa: «Ogni essere pensante deve essere pieno di meraviglia e stupore anche solo guardando le stelle»[9]. E in effetti abbiamo scoperto che il nostro familiare firmamento era più sorprendente di quanto potessimo mai immaginare. La fisica di Einstein ha rivelato che viviamo in uno strano paese delle meraviglie dove il tempo si può dilatare e la luce piegare, e dove l’infinito mare di stelle sulle nostre teste è frutto di un singolo seme misterioso, il Big Bang miliardi di anni fa.

Ma la meraviglia non era accessibile solo sopra di noi o in luoghi remoti: era davanti, sotto e tutto intorno a noi, zampillando da ogni angolino del cosmo. «Se guardiamo l’albero là fuori le cui radici cercano l’acqua sotto il marciapiede, o un fiore che manda il suo dolce profumo alle api impollinatrici, o anche noi stessi e le forze interiori che ci spingono ad agire, ci accorgiamo che stiamo tutti danzando al suono di una melodia misteriosa», disse una volta Einstein. Potevamo chiamarla come volevamo, «Forza Creativa, o Dio», ma l’unica certezza era che questa meravigliosa forza intessuta in tutte le cose, ovunque, «sfugge a tutta la conoscenza dei libri»[10]. Per la maggior parte della nostra storia, la meraviglia era riservata ai re e agli imperatori che governavano il mondo, o alle forze soprannaturali che si credeva lo controllassero dall’aldilà. Einstein non ci chiede di abbandonare il nostro timore reverenziale per l’ignoto, ma vuole che rinunciamo a parlare con rispetto di razze, religioni, nazioni e dèi. Vuole che riorientiamo il rispetto verso il mondo che sta proprio di fronte a noi: particelle e persone, piante e pianeti, tutto il colorato carosello della realtà.

E forse il mondo interiore è ancora più meraviglioso del mondo che ci circonda. La cosa più sorprendente di tutte per Einstein era il potere della mente. Gran parte degli esseri umani la danno per scontata, come la vita stessa. Ma Einstein nota un profondo mistero nel fatto che i nostri modelli mentali siano così efficaci. «La cosa più incomprensibile dell’universo», dice, «è che è comprensibile»[11]. Abbiamo modellato in qualche modo una rappresentazione funzionale della realtà che ci ha aiutato a «orientarci nel labirinto delle impressioni sensoriali». Ma in ultima analisi, è tutta «una libera creazione della mente umana», e non è mai stato davvero garantito che la nostra esperienza dell’esistenza fosse qualcosa di più di «un’illusione o un’allucinazione»[12]. Per i pensatori dell’antica India, questa era l’illusione del velo di Maya. Immanuel Kant lo chiamava «fenomeno» e com’è noto sosteneva che dovevamo rassegnarci a rimanere intrappolati dalle nostre rappresentazioni mentali. Ma Einstein non era d’accordo, e ciò che lo faceva meravigliare era proprio la nostra capacità di vedere oltre i nostri costrutti cognitivi e di scrutare nel nucleo dell’esistenza: «A priori ci si deve aspettare un mondo caotico che non può essere afferrato dalla mente in alcun modo»[13]. Ma l’esperienza dimostra il contrario: le facoltà della mente sono prodigiose. Einstein vide la prima scintilla di questo potere da ragazzo, quando iniziò a studiare la geometria. «Quando avevo dodici anni», racconta, «un piccolo testo scolastico di geometria era diventato il mio bene più sacro»[14]. All’interno di questo «libriccino sulla geometria piana euclidea», fu stupito di trovare affermazioni che, «sebbene non affatto evidenti, potevano tuttavia essere dimostrate con tale certezza da far cadere ogni dubbio. Questa lucidità e sicurezza mi hanno fatto un’impressione indescrivibile»[15]. La straordinaria efficacia della mente fu un’epifania che portò Einstein a «una meraviglia di natura completamente diversa»[16]. Pensava che fosse «meraviglioso» che fossimo «capaci di raggiungere un tale grado di certezza e astrazione in quel puro pensiero che i greci per primi dimostrarono essere possibile»[17]. Euclide gli aveva mostrato proprio «quanto potente potesse essere lo strumento della mente umana»[18]. In poco tempo, iniziò a capire che la mente poteva anche oltrepassare del tutto il velo di Maya.

Non era la pura e semplice curiosità a sostenere questa ricerca. Per Einstein c’era una «spinta mistica» che gli faceva desiderare di cogliere l’essenza dell’esistenza, e riconosceva apertamente che il suo «stupore estatico» per il nostro fantastico mondo era «senza dubbio molto simile a quello che ha posseduto i geni religiosi di tutte le epoche»[19]. Ma rigettava l’idea di rivelazione e non ebbe altro che disprezzo per il soprannaturale. «La mia religione», disse, «consiste nell’usare le mie facoltà di pensiero, per quanto posso, per conoscere ciò che sembra inconoscibile»[20]. Avventurarsi oltre il velo di Maya significava spingere la mente oltre i suoi limiti ordinari. Non poteva esistere alcuna grazia divina, nessun dono degli dèi. L’unità si doveva conquistare nel modo più difficile.

La ricompensa era ciò che Einstein chiamava «sentimento cosmico religioso». Benissimo avere un’intuizione astratta del fatto che tutto era Uno, ma la meraviglia andava oltre. Trasmetteva la sensazione non mediata di essere parte dell’Infinito, fornendo una potente controparte emotiva alla nostra limitata comprensione intellettuale. «Mi piace vivere l’universo come un tutto armonioso», disse una volta Einstein. «Ho sentimenti cosmici religiosi. Non sono mai riuscito a capire come si potessero soddisfare questi sentimenti rivolgendo preghiere a entità limitate. L’albero fuori è vita, una statua è morta. Tutta la natura è vita»[21]. Aprendoci gli occhi alla luce onnipresente della Natura, la meraviglia ci ha svegliati, ha allargato la nostra mente e ha conferito nuovo valore alle nostre vite altrimenti limitate. E poiché non avevamo altro modo di conoscere direttamente e definitivamente questa realtà più profonda, la meraviglia è il nostro bene più prezioso. «Colui al quale questa emozione è estranea», scrisse Einstein, «che non può più fermarsi a meravigliarsi e rimanere rapito dallo stupore, è come morto: i suoi occhi sono chiusi»[22].


[1] Einstein A. (1994), Ideas and Opinions, Modern Library, p. 39.

[2] Il cristianesimo è l’esempio per eccellenza. Le osservazioni di Gesù sull’amore sono infinite: «Amate i vostri nemici» (Matteo 5:44), «Amatevi gli uni gli altri» (Giovanni 13:44) e «Ama l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Matteo 22:37), tanto per fare tre esempi rappresentativi.

[3] In contrasto con la visione più serena di Gesù, san Paolo nel Nuovo Testamento raccomanda di vivere la vita in uno stato perpetuo di «paura e tremore» (Filippesi 2:12). Anche la nozione di taqwa nell’Islam pone spesso l’accento sul timore di Allah, sebbene abbia una varietà di interpretazioni.

[4] Nel buddismo, in particolare, l’equanimità (in sanscrito upekṣā) rispetto alle emozioni sia negative che positive è solitamente vista come un obiettivo molto importante e un passo cruciale sul sentiero verso l’illuminazione

[5] Einstein A. (1930), What I Believe, «Forum and Century», 84 (1930), pp. 193-194, anche in Einstein A. (2011), The Ultimate Quotable Einstein, coll. and ed. A. Calaprice, Princeton University Press, 2011, p. 331.

[6] Platone, Teetteto, 155d.

[7] Si veda, per esempio, la sua eloquente spiegazione (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1, 200-207) di come la solitudine nella natura possa elevare un’anima sensibile a un sentimento di sublime contemplazione, uno «stato di euforia» (201) in cui c’è «completa emancipazione da ogni volontà e dalle sue voglie […] solo lo stato di pura contemplazione» (203) e dove «siamo uno con il mondo» (205). Sembra una discussione spassionata, ma come l’analoga «visione vedantica» di Schrödinger, vista nel Capitolo 2, ha tutte le caratteristiche dell’autobiografia. Schopenhauer paragona direttamente (205-206) la sua nozione di stato sublime all’intuizione massima dei Veda e delle Upanishad, «Tu sei quello».

[8] Au-Young S.N. (1938), Lao Tze’s Tao Teh King: The Bible of Taoism, Huginn, Munnin, p. 113. Einstein possedeva varie edizioni, tra cui questa, del Tao Te Ching; torneremo sul taoismo nel Capitolo 5.

[9] Hermanns W. (1983), Einstein and the Poet: In Search of the Cosmic Man, Branden Books., p. 108.

[10] Ivi, p. 14.

[11] Hoffmann B., Dukas H. (1972), Albert Einstein: Creator and Rebel, New American Library, p. 18.

[12] Tutte le citazioni sono tratte da «Physics and Reality» in Einstein (1994), p. 320 [trad. it. in OS, p. 528].

[13] Einstein a Maurice Solovine [trad. it. in OS, p. 731].

[14] Hermanns W. (1983), Einstein and the Poet: In Search of the Cosmic Man, Branden Books, pp.7-8.

[15] Gutfreund H., Renn J. (2020), Einstein on Einstein: Autobiographical and Scientific Reflections, trans. P. Argyres, Princeton University Press, p. 159.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem

[18] Hermanns W. (1983), Einstein and the Poet: In Search of the Cosmic Man, Branden Books, p. 8.

[19] Ivi, p. 90; Einstein A. (1930), What I Believe, «Forum and Century», 84 (1930), pp. 43-44.

[20] Hermanns W. (1983), Einstein and the Poet: In Search of the Cosmic Man, Branden Books, p. 70.

[21] Ivi, p. 63.

[22] Einstein A. (2011), The Ultimate Quotable Einstein, coll. and ed. A. Calaprice, Princeton University Press, 2011, p. 331.


Copyright © 2025 by Kieran Fox.

Scritto da
Kieran Fox

Ha studiato medicina alla Stanford University e ha conseguito un dottorato in neuroscienze cognitive presso la University of British Columbia. È medico-scienziato presso l’Università della California, dove la sua ricerca si concentra sui meccanismi neurali e sul potenziale terapeutico delle pratiche di meditazione. È autore di: “Sono parte dell’infinito. La biografia spirituale di Albert Einstein” (Egea 2025).

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