Recensione a: Antonella Viola e Alessandro Aiuti, La rivoluzione della cura. Un viaggio nella scienza che sta cambiando la medicina, Einaudi, Torino 2025, pp. 224, 18,50 euro (scheda libro)
Scritto da Federica Greco
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Nella grande missione dell’intento divulgativo, spesso ci si scontra con una sensazione di incomunicabilità per quanto riguarda la divulgazione scientifica. Nel tentativo di rendere un’informazione accessibile ai non addetti ai lavori, è facile assistere a rocambolesche argomentazioni che, per amore del rigore scientifico, non evitano termini tecnici e dettagli del settore, lasciando, nel migliore dei casi, indifferenti al tema e, nel peggiore, creando scetticismi e sfiducia verso la scienza in generale.
Nella sua straordinarietà, risulta quindi molto semplice capire quando un lavoro colpisce nel segno, quando il concetto stesso di divulgazione prende forma, componendo frasi semplici, efficaci, comprensibili. Il nuovo testo di Antonella Viola e Alessandro Aiuti cammina verso una direzione ben precisa, partendo dai concetti di base della biologia molecolare e cellulare, per arrivare a considerazioni di applicazione terapeutica e di posizionamento della terapia in esame a livello economico e sociale.
Dopo l’immunologia, l’alimentazione e la medicina di genere (con uno dei primi approfondimenti sul tema – finalmente), la scienziata e professoressa ordinaria di Patologia generale Antonella Viola si fa carico di un tema tanto innovativo quanto complesso, quello della terapia genica, e lo fa in compagnia di uno dei massimi esperti del settore, Alessandro Aiuti, medico e vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica SR-Tiget.
Un compito arduo, per la potenzialità della terapia e i numerosi dubbi, tendenzialmente infondati, circa la sicurezza della sua applicazione. Il meccanismo di base è astuto: utilizzare la capacità intrinseca dei virus di infettare le cellule e integrarsi nel loro genoma, per trasportare il DNA terapeutico e “correggere” le malattie genetiche, eliminando a monte il genoma che conferisce virulenza e pericolosità al virus, usato semplicemente come vettore. È quella che gli autori definiscono “l’infezione che cura” o un “cavallo di Troia” del materiale genetico. Con un ossimoro che lascia il tempo che trova, qualcuno parlerà di “miracolo” scientifico, accostando ad un termine così soprannaturale una realtà estremamente concreta e operosa, fatta di anni di lavoro e di studio portati avanti dalle menti più geniali. Un colpo da maestro per gli scienziati che, partendo dal virus del raffreddore, se non addirittura dal temuto virus HIV, sono in grado di creare veicoli efficienti e sicuri, portatori di DNA terapeutico, in grado di modificare le cellule, che, a quel punto, sono classificate dagli enti regolatori internazionali come veri e propri farmaci. Dal 1990 con il primo tentativo su Ashanti da Silva, una bambina di quattro anni affetta da immunodeficienza congenita (SCID), una dei cosiddetti “bambini bolla”, la tecnica è stata affinata, con accortezze in merito alla possibile risposta infiammatoria e immunitaria al vettore virale. Così, oggi, la terapia genica si fa strada per applicazioni sempre più ambiziose, prima fra tutte quella oncologica.
Chiaro è che il passo non è breve. Si è partiti con l’intento di correggere malattie monogeniche, che per definizione hanno un target unico e univoco, per poi passare a obbiettivi meno accessibili, come malattie dell’occhio o del cervello. Inaspettatamente scopriamo che l’occhio funge da target ideale, in quanto isolato dal punto di vista immunologico e costituito da cellule che non si dividono, dunque che richiedono quantità minime di vettore. Al contrario, il fatto che il cervello sia isolato dalla barriera ematoencefalica ha rappresentato un iniziale ostacolo tanto per i farmaci convenzionali quanto per la somministrazione di vettori virali. Come possiamo immaginare, non è stato questo un motivo sufficiente per desistere: ad oggi numerosi successi sono stati collezionati dalla terapia genica nelle malattie neurodegenerative, arrivando a destinazione anche nell’organo più complesso e protetto del corpo umano.
Di nuovo l’asticella si alza per concentrarsi su quella che è la sfida del futuro: la cura per il cancro. Gli autori ci guidano nei principali traguardi raggiunti in termini di immunoterapia, tra cui spiccano le cellule Car-T, il cui intento è quello di una personalizzazione della terapia, in grado di colpire in maniera altamente specifica le cellule tumorali. È questo un connubio perfetto tra immunologia e ingegneria genetica, in cui i linfociti T (le cellule del nostro sistema immunitario che normalmente sono in grado di eliminare determinate cellule e proteggerci da virus o patogeni), una volta isolati dal paziente, vengono modificati affinché esprimano sulla loro superficie un recettore “Car” in grado di riconoscere le cellule tumorali e consentirne l’eliminazione, provocando l’attivazione della funzione “uccidi” del linfocita. Accanto a questa straordinaria applicazione, Viola e Aiuti non mancano di citare il possibile utilizzo delle Car-T anche nelle malattie autoimmuni, negli studi di longevità e invecchiamento e nelle infezioni.
Ma è arrivati alla fine del percorso che i lettori, esperti e non, sono chiamati in causa. Dopo uno sforzo di comprensione delle nuove frontiere della medicina, gli autori ci coinvolgono in un’analisi che ci riguarda da vicino, in quanto cittadini che godono di un servizio sanitario. L’ultimo capitolo si interroga sulle questioni economiche e politiche che l’implementazione di queste nuove tecnologie nella pratica clinica porta con sé, perché una terapia, per quanto rivoluzionaria e risolutiva, non ha valore se non gode di piena accessibilità per tutti i pazienti, indipendentemente da quanti soldi hanno in tasca. Come sempre, l’innovazione e la creatività scientifica si scontrano con la realtà del mercato e la politica del prezzo, per cui un farmaco, per vedere la luce in termini di inserimento nella pratica clinica, non deve solo soddisfare criteri di sicurezza ed efficacia, ma deve risultare redditizio per l’industria che lo produce.
Il tema colpisce non tanto il settore oncologico che, purtroppo, porta con sé ingenti investimenti, vista la sua larga portata e diffusione, ma a preoccupare sono principalmente le malattie rare che, riguardando un mercato molto piccolo, rischiano di non giustificare l’investimento aziendale. In questi casi, le terapie geniche comportano costi di sviluppo, produzione e mantenimento estremamente alti, minando la sostenibilità del sistema. Ciononostante, la posta in gioco è troppo alta: parliamo di terapie che guariscono e che, tra l’altro, consentono al sistema sanitario nazionale di risparmiare nel rapporto costi/benefici sul lungo termine, eliminando spese relative al trattamento che i pazienti dovrebbero subire senza la nuova terapia; pensiamo ai ricoveri, i trattamenti standard e chirurgici, oltre che il generale costo sociale che questi pazienti provocano al sistema produttivo, non riuscendo a lavorare o dovendo prendere numerosi giorni di malattia per curarsi. Il tema è estremamente delicato e accende questioni redistributive e di equità nell’accesso alle cure, al punto che sembrerebbe valere la pena cambiare l’intero sistema. «Questi farmaci sono così profondamente diversi da quelli tradizionali da richiedere un vero e proprio ripensamento di regole, procedure, prospettive», così gli autori suggeriscono un nuovo modello economico, in cui sono enti no-profit a farsi carico della spesa, avvalendosi di fondi etici o pubblici, garantendo una valida alternativa alla grande industria. In questo scenario «è importante che anche gli enti regolatori siano più flessibili e pronti ad accogliere il cambiamento, pur continuando a garantire la tutela dei pazienti».
Dunque, il messaggio è chiaro. Non basta più l’informazione, l’ascolto. Per diventare “soggetto” della rivoluzione medica in atto, è compito del divulgatore coinvolgere nella conoscenza e onere del lettore rendersi parte attiva di questa trasformazione, perché il futuro ci spinge verso una medicina non solo personalizzata ma anche partecipativa. Se è vero che ogni scelta è un’azione politica, questo saggio si assume più che mai un intento sociale di democratizzazione e condivisione del sapere. Antonella Viola e Alessandro Aiuti ci dotano dei mezzi migliori per comprendere le difficoltà del percorso di ricerca e la grandezza delle scoperte che produce, con un volume chiaro, efficace, che ci rende uguali e in grado di competere ad armi pari, indipendentemente dai nostri percorsi di studio e lavoro.
«La medicina del futuro non può essere appannaggio di pochi privilegiati», così ci mettono in guardia, consigliando di aggiornarci sulle novità mediche e sanitarie, non solo per assicurarci una fruibilità omogenea tra i cittadini ma anche per poter intervenire nell’ampio dibattito che queste nuove terapie accendono sul piano etico: dalle conseguenze degli screening neonatali al rischio di derive eugenetiche, in cui l’intervento genetico diventa un potenziamento del nostro organismo senza un vero fine terapeutico. Quel che resta a fine lettura è un entusiasmo consapevole che meriterebbe un sentito ringraziamento collettivo per aver reso questo libro, come la scienza, per tutti e di tutti.