La robotica nello spazio: il caso di AdapTronics. Intervista a Lorenzo Agostini
- 22 Luglio 2024

La robotica nello spazio: il caso di AdapTronics. Intervista a Lorenzo Agostini

Scritto da Marco Valenziano

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Lorenzo Agostini è ceo della startup AdapTronics.


Lorenzo Agostini

Cos’è AdapTronics e qual è la sua storia?

Agostini: Adaptronics (crasi per “Adaptive Mechatronics”) è una startup spinoff dell’Università di Bologna fondata a maggio 2022 con la missione di reinventare il modo in cui i sistemi robotici automatizzati effettuano la presa e la manipolazione degli oggetti, sia per applicazioni terrestri che spaziali. Un risultato che abbiamo ottenuto grazie a una tecnologia basata sull’elettroadesione, il principio fisico che fa rimanere gli oggetti attaccati tra di loro grazie a forze elettrostatiche come accade, ad esempio, quando si strofina un palloncino sui capelli e questo rimane attaccato. Noi abbiamo riprodotto questo principio fisico in dei “polpastrelli elettronici” ottenuti su materiali altamente deformabili e flessibili che possono essere applicati sulle dita dei robot o sugli end-effector di macchine industriali per fare in modo che prendano gli oggetti in maniera molto più versatile. Attraverso la nostra tecnologia abbiamo creato un film sottile che diventa adesiva quando attivato elettricamente, in grado di sollevare carichi importanti di diversi kg e la cui forza di presa totale può essere scalata semplicemente aumentando la superficie totale impiegata. Risultati raggiunti mediante un sistema molto leggero che non richiede l’impiego di magneti o compressori, estremamente versatile, con un consumo energetico minimo e con capacità sensoristiche integrate per rilevare la distanza e il contatto con l’oggetto target. Grazie a questa tecnologia, che in sintesi funziona come un adesivo elettrico, i robot sfruttano le forze elettrostatiche per attaccarsi all’oggetto, lo muovono come serve e poi si staccano in maniera controllata. Oggi l’azienda è attiva soprattutto su due fronti, quello dell’automazione industriale destinata in particolare al settore del packaging, nel quale la nostra tecnologia abilita le macchine a prendere gli oggetti in maniera molto più rispondente alle esigenze dei materiali utilizzati e quello aerospaziale, dal momento che l’elettroadesione funziona in maniera eccellente in condizioni di microgravità e vuoto come quelle che troviamo nello spazio. L’aerospace è un settore dove crescono le richieste di servizi in orbita, come satelliti in grado di rifornire o riparare altri oggetti utilizzando tutta una serie di complessi necessari. Altri settori di applicazioni sono quelli della logistica automatizzata e dell’agritech. Oggi siamo attivi a Bologna e a Torino. La sede principale per il packaging è quella di Bologna, mentre a Torino, dove eravamo all’interno di un Business Incubation Center dell’ESA, siamo più sul settore spazio.

 

L’idea che le tecnologie sviluppate potessero avere anche un’applicazione spaziale è stata presente sin dal momento della fondazione della startup o è subentrata in seguito?

Agostini: L’idea di entrare nel settore della space economy era presente sin dall’inizio, e da cultori della materia conoscevamo le potenzialità dell’elettroadesione in ambito spaziale. Abbiamo capito, facendo lo studio del business model, che c’era una finestra molto promettente di potenziali applicazioni spaziali e abbiamo combinato i due fattori a nostro vantaggio, ossia il potenziale di crescita del settore e la disponibilità di una tecnologia che potesse mettere a terra questo potenziale. È vero però che è un percorso lungo, dal momento che i tempi in campo spaziale sono più dilatati rispetto a quelli necessari per l’utilizzo in ambito industriale.

 

Quali competenze erano presenti nel gruppo fondatore di AdapTronics? Quale formazione avete e come è nata l’idea di fondare la startup?

Agostini: Come accennavo, siamo uno spinoff dell’Università di Bologna e veniamo da esperienze di ricerca accademica e dottorati di ricerca. Si partì dal mio lavoro di dottorato e dalle ricerche condotte con Rocco Vertechy, professore ordinario di meccanica applicata alle macchine presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna. Venni a svolgere un postdoc assieme a lui all’Università di Bologna e iniziammo a collaborare per fare trasferimento tecnologico dell’elettroadesione, su cui i primi progetti di ricerca per farne oggetto di utilizzo in impresa risalgono al 2018. Nel 2021 si è unita al team Camilla Conti, PhD in ingegneria energetica e aerospaziale al Politecnico di Milano e un business angel con grande esperienza manageriale, Gavino Boringhieri, che ci ha aiutato nella parte di creazione del business. Abbiamo creato così un gruppo eterogeneo e complementare, molto preparato dal punto di vista tecnico, perché venivamo tutti da esperienze in laboratori di ricerca dove avevamo lavorato sia sulla tecnologia sia sulle sue potenziali applicazioni, ma disponevamo anche di una forte competenza imprenditoriale e aziendalistica. Questa base ci ha consentito di capire molto meglio le potenzialità che avevamo e di creare un business model molto forte.

 

Può farci qualche esempio delle applicazioni della vostra tecnologia in ambito spaziale?

Agostini: Sono tre i principali settori di nostro interesse in campo spaziale: in-orbit servicing, in-orbit manufacturing e active space debris removal. Per tutte e tre queste applicazioni, le aziende di logistica spaziali, le agenzie spaziali o i system integrator per lo spazio, ci chiedono di rendere più agevole la presa, lo spostamento e la manipolazione degli oggetti grazie alla nostra tecnologia, in maniera tale da potersi adattare a tutte le condizioni, anche estreme, delle operazioni svolte in orbita. Noi siamo in grado di farlo e stiamo creando dei gripper altamente versatili che si possano attaccare agli oggetti target in maniera da conformarsi al meglio alle loro caratteristiche. Questo si può fare sia su satelliti ancora funzionanti, sia su oggetti con forme non canoniche come può essere un detrito spaziale da rimuovere.

 

Quali sono i soggetti con cui collaborate più abitualmente come clienti e come partner? Quali rapporti avete con altri soggetti dell’ecosistema della space economy regionale? 

Agostini: In ambito spaziale il contesto è fondamentale, perché è un settore difficilmente accessibile. Per arrivarci dev’esserci una catena del valore interconnessa nei vari punti. Ci sono vari player che entrano in gioco in questo settore, da chi può lanciare in orbita a chi può creare un involucro per testare nello spazio i prodotti di altre aziende, senza scordare di chi poi deve acquistare i prodotti. L’ecosistema gioca quindi un ruolo cruciale nell’agevolare la creazione delle tecnologie spaziali, e per questo occorre incentivare al massimo il suo sviluppo. L’ecosistema dell’innovazione dell’Emilia-Romagna è stato fondamentale anche per noi, non è infatti un caso che AdapTronics sia nata qui. Noi cerchiamo di essere i più proattivi possibili nei progetti della Regione perché vogliamo essere protagonisti della corsa allo spazio. Nel territorio emiliano-romagnolo abbiamo potenziali clienti, ma anche fornitori e partner tecnologici. Spesso i partner sono poi anche potenziali clienti perché, se a noi serve arrivare allo spazio per fare dimostrazioni in orbita, aziende che nascono come nostri partner possono in futuro diventare nostri clienti. 

 

Fate parte di qualche cluster o partecipate ad altre iniziative regionali?

Agostini: Sì, siamo nel Clust-ER MECH dedicato a meccatronica e motoristica, che tra le otto value chain di cui si occupa ha quelle dedicate a “Automazione e Robotica” e “Avionica e Aerospazio”. Siamo un’azienda che fornisce una tecnologia con importanti applicazioni in campo industriale e dunque siamo molto concentrati nel settore della produzione. E poi siamo attivi nelle missioni della Regione Emilia-Romagna per lo sviluppo dell’ecosistema, come quella di Houston. 

 

Quali sono le direttrici e le prospettive di crescita per AdapTronics?

Agostini: In questa fase siamo vicini a mettere la nostra tecnologia sul mercato con alcuni prodotti, il che è importante perché avere attrattività dal lato industriale costituisce un circolo virtuoso per le imprese spaziali e si tratta di una possibilità di dimostrazione molto semplice, senza la necessità di andare in orbita. L’obiettivo a lungo termine è abilitare l’industrializzazione dello spazio, perché i nostri sistemi consentono a ogni macchina di manovrare e adoperare altri oggetti. L’obiettivo principale per aggredire il settore dell’aerospazio è quello di ottenere opportunità di in-orbit demonstration prima di vendere il prodotto. Si tratta di un passaggio fondamentale per testare la sua affidabilità. Abbiamo pianificato di effettuare questo passaggio entro il prossimo anno e mezzo.

 

A livello di ecosistema, quali sono le iniziative che servirebbero per favorire la crescita delle realtà del nostro territorio che operano nella space economy, in particolare le startup? C’è un contesto favorevole al loro sviluppo in Emilia-Romagna?

Agostini: L’Emilia-Romagna è molto attiva nella costruzione dell’ecosistema. A mio parere, è necessario però capire quanta volontà c’è, da parte delle imprese dell’ecosistema, di fare squadra. Il settore è molto vasto ed è complesso entrarci, per cui è anche più difficile farsi concorrenza. È possibile quindi unire le forze e collaborare fattivamente. Poi è chiaro che portare avanti un ragionamento di questo tipo risulta più facile per chi, come noi, rappresenta una piccola impresa, ma creare un nucleo forte che possa rispondere alle call dell’ASI o dell’ESA e fare in modo che l’ecosistema regionale e i cluster di aziende che hanno tutte lo stesso obiettivo – ad esempio le dimostrazioni in orbita – possano collaborare per costruire questi esperimenti collettivamente, consentirebbe di abbattere molte barriere. Questo porterebbe certamente a sviluppi concreti. Bisognerebbe dunque costituirsi in strutture che riuniscano più aziende per raggiungere opportunità di più alto livello, come quelle legate a progetti europei su scala continentale o che consentano di guardare anche al fondamentale mercato statunitense. Finché non ci saranno applicazioni commerciali su larga scala nello spazio, l’unico modo per poter raggiungere questi progetti, ed entrare a pieno titolo nella space economy, saranno i cofinanziamenti provenienti da bandi e credo che così sarà per i prossimi quattro o cinque anni. Non siamo ancora a un livello di industrializzazione sufficiente della nostra space economy.

Scritto da
Marco Valenziano

Laureato in European Political and Governance Studies al Collegio d’Europa di Bruges. Si interessa di politica e affari europei, soprattutto su tematiche energetiche. Ha lavorato nel settore del marketing e della consulenza. Ha partecipato al corso 2023 di “Traiettorie. Scuola di lettura del presente”.

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