Scritto da Maria Vittoria Prest
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Le navi autonome e controllate da remoto sono considerate da molti la prossima frontiera del trasporto marittimo, una nuova genesi per l’era dell’intelligenza navale, e le tecnologie spaziali ricoprono un ruolo fondamentale per il loro sviluppo. Nascono dall’incontro tra il mare, luogo della storia dell’uomo da secoli, e lo spazio e si nutrono dell’ormai acquisita consapevolezza che l’integrazione tecnologica, la condivisione di know-how e la contaminazione tra diverse branche del sapere possono alzare l’asticella della conoscenza, portando l’innovazione e il progresso verso strade nuove.
Le navi autonome sono imbarcazioni capaci di navigare in modo completamente autonomo, senza alcun intervento umano, e attraccare in sicurezza. Le navi controllate da remoto sono monitorate, controllate e comandate da operatori situati in uno o più centri di controllo remoto, fissi o mobili. Sono imbarcazioni complesse, altamente tecnologiche e digitalizzate che esistono grazie all’integrazione tra diverse tecnologie all’avanguardia capaci di fornire dati a un alto tasso di precisione e spesso in tempo reale. Entrambe si differenziano dagli autopiloti, sistemi ampiamente diffusi nella navigazione, che aiutano gli operatori a controllare la nave mantenendo una rotta predeterminata. Mentre questi ultimi non mirano in alcun modo a sostituire l’essere umano, l’obiettivo delle navi autonome e controllate da remoto è quello di impiegare inizialmente il minor numero di marittimi fino ad arrivare, in futuro, alla totale assenza della presenza umana a bordo[1].
Il primo test sul campo risale al 2018 quando il traghetto per auto Falco ha navigato con successo da Parainen a Nauvo, Finlandia, in modalità autonoma e, nel viaggio di ritorno, controllato da una stazione di terra situata a 45 km di distanza a Turku. Falco è frutto di una collaborazione a più fasi, iniziata nel 2015, tra Rolls-Royce e Finferries e alla quale hanno partecipato numerosi operatori come Intel, AXA e Google[2]. A novembre 2021 un’altra nave autonoma e controllata da remoto ha compiuto il suo viaggio inaugurale verso Oslo per poi entrare in servizio. Sviluppata da Kongsberg, in collaborazione con Yara International, Yara Birkeland è la prima nave portacontainer autonoma e completamente elettrica che mira a produrre emissioni zero[3]. Le navi, responsabili del 90% del trasporto mondiale di merci, sono il mezzo di trasporto meno inquinante tra gomma, aria e rotaia ma si stima che, oltre all’inquinamento oceanico, generino all’incirca la stessa impronta di carbonio della Germania[4]. Se le navi autonome diventassero una realtà diffusa potrebbero rendere la navigazione più sostenibile e ridurre l’uso di altri mezzi, contribuendo anche a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità fissati a livello internazionale. Tali navi, per esempio, attraverso le avanzate tecnologie di cui sono dotate, potrebbero determinare, anche in corso di navigazione, rotte più brevi e sicure, percorse a velocità ridotta, ottimizzando l’utilizzo del carburante, risparmiando su costi e risorse e riducendo l’impatto ambientale[5]. In secondo luogo, il loro design rivoluzionario potrebbe consentire di installare direttamente a bordo strutture e tecnologie che le rendano più ecologiche, come le celle a combustibile o altri sistemi che utilizzano risorse rinnovabili[6]. In terzo luogo, le navi autonome e controllate da remoto necessitano di “porti intelligenti” e digitalizzati e potrebbero attivare una reazione a catena circolare nella quale i due poli si influenzano a vicenda, con numerosi effetti positivi, esterni e interni, diretti e indiretti. Nell’ambito del trasporto internazionale, infatti, le merci oggi provenienti dall’Asia e dal Canale di Suez sbarcano solitamente a Rotterdam, Anversa o Amburgo, porti tra i più grandi ed efficienti del mondo, e solo successivamente vengono smistate nei Paesi di destinazione. Ciò si verifica anche quando le merci sono destinate a Paesi costieri dell’Europa meridionale, allungando, in alcuni casi, fino a cinque giorni la navigazione. Sul piano interno, avere porti all’avanguardia consentirebbe a Paesi di mare, come l’Italia, di ottimizzare lo sfruttamento delle loro incredibili risorse, migliorando la logistica portuale e dando ulteriore impulso allo sviluppo dell’intermodalità, in particolare acqua-ferrovia, per rendere la catena logistica più efficiente, affidabile e sostenibile. D’altronde è probabile che, almeno in una fase iniziale, le imbarcazioni autonome e controllate da remoto navighino in acque territoriali. Infine, queste navi potrebbero essere utilizzate per navigare regioni fino a oggi poco praticabili come la nuova Via della Seta Polare. Il tema Artico è troppo complesso per essere adeguatamente discusso nel presente articolo ma, lasciando da parte riflessioni etiche sull’argomento, non possiamo ignorare il grande interesse economico e strategico per le nuove rotte di navigazione e le diverse sfide che queste pongono. Se navigare le acque artiche è difficile, costoso e pericoloso per navi e marittimi, le navi autonome e controllate da remoto si prestano più di altre ad attraversare queste regioni, riducendo nettamente i livelli di rischio e i diversi tipi di inquinamento.
Dati i grandi benefici e potenzialità di queste imbarcazioni, numerosi sono oggi gli operatori interessati a investire nel settore e uno dei progetti più recenti porta proprio la bandiera italiana. Il Gruppo Grimaldi è alla guida di un consorzio internazionale a cui l’ESA, nell’ambito del Programma NAVISP e in collaborazione con l’ASI, ha assegnato il progetto Grimaldi Satellite Assisted Berthing (GSAB), finalizzato a sperimentare il primo sistema di ormeggio assistito tramite tecnologie di ultima generazione sviluppate, testate e preinstallate a bordo di una delle navi ro-ro di Grimaldi con l’obiettivo di supportare i sistemi di automazione di navi di grandi dimensioni. A maggio 2024 è stato avviato un secondo progetto (GSAB2) che punta a sfruttare le tecnologie studiate e sviluppate nell’ambito del primo progetto, in particolare quelle multisensoriali basate su satellite, per verificare, inter alia, l’idoneità del sistema a raggiungere il secondo Livello di Autonomia, migliorando l’efficienza delle manovre portuali, aumentando la sicurezza e riducendo le emissioni, e studiare i prerequisiti per raggiungere il terzo.[7] Oltre a Grimaldi, altri giganti dell’industria marittima, come Fincantieri, il principale costruttore di navi italiano, stanno puntando sulla navigazione autonoma. Anche l’ESA non è nuova nel settore. Con la sua Blue Worlds Task Force ha lavorato insieme ad aziende, università e organizzazioni, investendo, ricercando e sviluppando per rendere le navi autonome reali ma anche più sicure, perfettamente consapevole dei loro benefici e dei loro limiti[8]. Pensiamo, per esempio, alla loro potenziale maggiore esposizione ad attacchi pirati o cyber. Entrambe minacce concrete e attuali che mettono in pericolo la sicurezza delle comunità.
I sistemi di navigazione autonoma, sebbene presentino loro peculiarità, si fondano attualmente su basi simili e rispondono alle stesse esigenze: la nave deve essere capace di eseguire diverse operazioni non solo in modo autonomo ma anche simultaneo e in tempo reale. Quando viaggia in modalità di navigazione autonoma, i computer di bordo sono il cervello della nave e, attraverso algoritmi di controllo e decisione, impartiscono comandi basati sulla raccolta, elaborazione, gestione, integrazione e coordinamento di un enorme volume di dati provenienti dalle diverse tecnologie, installate direttamente a bordo o esterne. Pensiamo, per esempio, a quelle che incorporano il sistema di situational awareness (SA) della nave, fondamentale per renderla autonoma e sicura in ogni situazione, anche emergenziale, e che lavora a stretto contatto con il sistema di anticollisione[9]. Di quest’ultimo è parte integrante l’automatic identification system satellitare (SAT AIS), e i suoi sviluppi di nuova generazione, servizio noto all’industria marittima che mira a localizzare le navi in acque profonde e in aree più remote[10]. L’SA, invece, si compone di un insieme di sensori, diversi per caratteristiche di prodotto e funzioni, come telecamere, radar e LIDAR, e di un processo di fusione finalizzato a elaborare e coordinare i dati estratti dai sensori per impiegarli nelle varie aree operative della nave e superare i limiti intrinseci che tutte le tecnologie hanno[11]. Inoltre, la nave autonoma deve essere sempre in contatto con il centro di controllo remoto e ciò anche quando il carico di dati da trasmettere è limitato all’essenziale[12]. Il centro, infatti, deve essere in grado di monitorare e controllare il funzionamento della nave e, se necessario, i processi decisionali dell’intelligenza di bordo per intervenire tempestivamente in caso di malfunzionamenti o altre emergenze.
Se la nave viaggia in modalità di controllo remoto, invece, tutti i dati devono essere trasmessi in tempo reale al centro di controllo cosicché il “capitano remoto” possa comandare la nave e decidere le operazioni da eseguire. I segnali inviati dal centro devono poi essere ricevuti e, se necessario, elaborati dalla nave stessa per consentirle di rispondere positivamente ai comandi. In entrambi i casi, navigazione autonoma e controllo remoto, è sempre necessario mantenere aperti i canali di comunicazione con gli altri veicoli in mare, le autorità portuali e qualsiasi altro soggetto interessato.
Essenziali, dunque, sono le reti di comunicazione attraverso le quali i dati viaggiano sulla nave, tra la nave e il centro di controllo remoto e tra le navi stesse. I satelliti di telecomunicazione forniscono alle navi autonome e controllate da remoto la connettività necessaria per trasmettere le informazioni utili per la navigazione grazie alla loro maggiore efficienza e capacità di coprire ampie aree della Terra, raggiungendo anche le cosiddette “zone remote”, proprio come il mare aperto, e difficilmente servibili dalle reti terrestri. Servizi, questi, sempre più accessibili grazie alla nuova economia dello spazio e all’avvento di costellazioni e mega-costellazioni di satelliti miniaturizzati in orbita bassa (LEO), a costi nettamente inferiori rispetto ai fratelli di più grandi dimensioni, prodotti in serie e dunque facilmente sostituibili e potenzialmente capaci di coprire l’intero globo. Se le navi autonome e controllate da remoto diventassero una realtà diffusa, potrebbero servire vettori di comunicazione specifici per garantire il flusso costante di dati di cui queste navi necessitano ed evitare che appesantiscano o interferiscano con altri canali di comunicazione in mare e nei porti. Alcune costellazioni potrebbero fornire proprio questi servizi. Tuttavia, è opinione di chi scrive che il progresso scientifico ed economico non può e non dovrebbe mai essere sinonimo di “sviluppo fine a sé stesso”. È fondamentale che le nostre società trovino il loro “carburante” lungo strade più sostenibili, che investano su tecnologie e metodi meno inquinanti e optino per un attento e rispettoso sfruttamento delle risorse. Non si può dunque ignorare l’odierna proliferazione di satelliti in orbita bassa, incontrollata e non regolata, che sta aggravando l’inquinamento dello spazio extra-atmosferico, intensificando il problema dei detriti spaziali e delle interferenze dannose non solo per altri satelliti ma anche, per esempio, per le osservazioni astronomiche, sollevando questioni giuridiche e di sicurezza di non scarsa rilevanza. Problematiche che hanno ripercussioni anche sulla Terra. Ai nostri fini, il sovraffollamento delle orbite può portare, per esempio, a interferenze nel segnale, rallentando od ostruendo i flussi di dati. Circostanze che le navi autonome e controllate da remoto non possono permettersi, soprattutto per motivi di sicurezza. Soluzioni a medio-lungo termine dovranno pertanto essere trovate per consentire la diffusione di questa tipologia di navi, con tutti i benefici che esse hanno, ma anche la garanzia che le loro stesse tecnologie abilitanti siano sostenibili. Progresso, sì, ma consapevole. Sullo stesso piano si pone l’interoperabilità dei sistemi, cruciale per assicurare una connettività sufficiente, sempre attiva e sicura. Ciò è tanto più vero oggi se pensiamo alla strategicità che le tecnologie spaziali hanno per la nostra vita quotidiana e le nostre società e che le rendono, al contempo, indispensabili e vulnerabili a minacce e attacchi. Nella navigazione autonoma, dunque, le reti di comunicazione terrestri appaiono importanti tanto quanto quelle satellitari.
Accanto alle telecomunicazioni, altrettanto fondamentale è la navigazione satellitare come il sistema satellitare globale di navigazione (GNSS), che fornisce servizi di positioning, navigation and timing (PNT) su scala globale o regionale, e i satellite-based augmentation systems (SBAS), finalizzati a migliorare le prestazioni dei GNSS[13]. Sfruttare la navigazione satellitare è essenziale per le navi autonome e controllate da remoto in quanto elemento integrante per determinare la rotta sia nella fase di pianificazione sia durante la navigazione, individuando i tragitti più convenienti e sicuri alla luce delle variabili del caso (ad esempio, eventi meteorologici, ostacoli, incidenti in mare). Elemento integrante, sì, ma non l’unico: al fine di abilitare la navigazione autonoma, infatti, è necessario sfruttare tutte le tecnologie impiegate. Avere una visione a 360 gradi della nave e dell’ambiente circostante, naturale e umano, non solo permette all’imbarcazione di navigare autonomamente ma aiuta anche i “capitani remoti” a intervenire, prendendone il controllo in caso di necessità, e a manovrarla dal centro remoto. Se da un lato, dunque, “l’occhio digitale”, rispetto a quello umano, garantisce maggiore precisione, velocità nell’elaborazione simultanea di dati e completezza delle informazioni, con risvolti positivi sul lavoro dell’equipaggio e sulla possibile riduzione dei tassi di incidenti, pericolosi per la vita umana e dannosi per l’ecosistema, dall’altro, richiede un’accuratezza sempre più avanzata[14]. Pensiamo, per esempio, al problema nei servizi di navigazione satellitare del posizionamento e dell’integrità di quest’ultimo, cruciali per garantire un sistema sicuro ed efficiente[15]. Se la tecnologia di bordo consente di avere un raggio visivo più ampio e permette alla nave di operare anche nelle situazioni più estreme, per eseguire qualsiasi manovra è indispensabile conoscere la velocità, il tempo e la posizione della nave. Essendo la sua posizione reale nascosta, oggi sfruttiamo vari sistemi per conoscere le cosiddette “posizioni calcolate”. Tra essi, i GNSS assimilano i dati grezzi per poi elaborarli e integrarli in un unico sistema che verifica la coincidenza, o quasi, delle posizioni calcolate. In questo processo, essenziale è determinare alcune variabili funzionali a capire, per esempio, quando una data manovra è al di sotto di un livello di rischio accettabile o quando, invece, dovrebbe essere interrotta[16]. Nel calcolarle, vari fattori devono essere presi in considerazione come il modello o le dimensioni della nave da cui potrebbero dipendere, inter alia, diversi tempi di reazione ai comandi. Un errore di calcolo di anche una sola di queste variabili potrebbe influenzare tutte le altre, impedendo di conoscere la posizione effettiva della nave e rendendo potenzialmente pericolose le operazioni in corso. Sulla base del calcolo della posizione della nave, inoltre, i GNSS forniscono anche un servizio di navigation e timing. Prendendo in considerazione la posizione effettiva della nave e quella desiderata, insieme al tempo necessario per raggiungerla, il sistema satellitare applica correzioni alla rotta, all’orientamento e alla velocità della nave per raggiungere la posizione desiderata a prescindere dalla sua localizzazione. Sistema che nelle navi autonome e controllate da remoto potrebbe essere migliorato e ulteriormente implementato sfruttando le altre tecnologie di cui sono dotate.
Da una prospettiva esclusivamente tecnologica, dunque, perché si possa fare ampio uso delle navi autonome e controllate da remoto, facendole diventare la regola e non l’eccezione, è necessario garantire un rapporto inversamente proporzionale tra sicurezza e livelli di rischio. Ciò vale sia quando tali imbarcazioni navigano in ambienti difficili, come in aree ad alto traffico o ricche di ostacoli naturali e artificiali (ad esempio, porti, fiumi, canali), nelle quali il rischio di incidenti, connessi anche alle brevi distanze, aumenta notevolmente, sia in mare aperto essendo considerato, l’ambiente marino, uno dei più difficili e imprevedibili. Da qui deriva l’esigenza che le tecnologie utilizzate siano sempre funzionanti, accurate nelle loro rilevazioni, perfettamente integrate e coordinate al fine di rilevare i cambiamenti nell’ambiente circostante e trasformare i dati grezzi in informazioni utilizzabili in tempo reale per dare alla nave il tempo di reazione necessario per affrontare l’evento eccezionale.
Le esigenze legate alle navi autonome e controllate da remoto non sono solo di natura tecnologica ma anche giuridiche[17]. Denominate maritime autonomous surface ships (MASS) dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO), sono dal 2018 oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia specializzata dell’ONU. L’IMO, attraverso l’azione di tre comitati – per la sicurezza marittima (MSC), giuridico (LEG) e di facilitazione (FAL) – sta studiando il quadro giuridico esistente per determinarne l’adattabilità a regolamentare la materia e individuarne le lacune normative con l’obiettivo di delineare un quadro giuridico chiaro, completo e aggiornato. Dal 2021 ognuno dei tre Comitati ha portato avanti un regulatory scoping exercise (RSE) finalizzato ad analizzare l’applicabilità delle Convenzioni di sua competenza alle MASS e ai loro diversi livelli di autonomia. Al termine degli RSE si è ritenuto, da un lato, che la maggioranza delle disposizioni delle Convenzioni dell’IMO fossero applicabili alle MASS e, dall’altro, che vi fossero ancora numerose questioni giuridiche aperte, meglio affrontabili congiuntamente dai tre Comitati. È stato dunque istituito un Gruppo di Lavoro MSC-LEG-FAL, riunitosi per la prima volta a settembre 2022. Tra le questioni giuridiche affrontate, inizialmente negli RSE e successivamente dal Gruppo, rinveniamo: la necessità di sviluppare una terminologia comune e concordare, a livello internazionale, definizioni come MASS, comandante, equipaggio, persona responsabile, colpa, negligenza, intenzione; l’esigenza di definire gli aspetti tecnici e giuridici legati alla responsabilità, tenendo in considerazione la diversità, in termini di scopo e funzione, tra le Convenzioni di competenza dei Comitati LEG e MSC; come eseguire l’obbligo di cercare, identificare e gestire le persone soccorse in mare per il trasporto in un porto successivo in caso di navi senza equipaggio e, dunque, in assenza di marittimi a bordo e delle necessarie strutture di alloggio di base; come garantire la riservatezza delle informazioni condivise laddove un clandestino si dichiari rifugiato. Si ritiene, invece, superato il divieto di navi in mare senza equipaggio imposto dall’IMO. Il Gruppo di Lavoro, nella sua seconda sessione tenutasi ad aprile 2023, ha concordato infatti che vi deve essere sempre un comandante umano responsabile di una MASS, indipendentemente dal livello di autonomia o modalità operativa, ma che questi, a seconda della tecnologia utilizzata, non debba necessariamente trovarsi a bordo. Tutte questioni, dunque, estremamente delicate e di non facile soluzione che, senza dubbio, necessitano, da un lato, di un adattamento dell’attuale disciplina internazionale e, dall’altro, di una regolamentazione specifica. Un primo passo in questa direzione lo si sta facendo con la redazione di un Codice, proposto dall’MSC e approvato dal LEG e dal FAL, e sul quale sta lavorando proprio il Comitato per la sicurezza marittima. L’obiettivo è quello di adottare un Codice non vincolante nel 2025 che fungerà da base per un altro Codice obbligatorio da far entrare in vigore entro il 1° gennaio 2028. Nella sua 111esima sessione di aprile 2024, inoltre, il LEG ha approvato una roadmap per il suo lavoro sulle MASS. Oltre al Codice, nella sua prossima sessione che si terrà nella primavera del 2025, il LEG valuterà la possibilità di sviluppare linee guida per l’attuazione, da parte delle MASS, dei suoi strumenti giuridici.[18] Non dimentichiamo, poi, che le MASS dovranno operare anche nel quadro giuridico istituito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). Convenzione non previamente analizzata dall’IMO in quanto non da essa prodotta ma che dovrà necessariamente essere presa in considerazione nei suoi lavori futuri sulle navi autonome, specialmente nella prospettiva di sviluppare una regolamentazione di settore.
[1] Esistono diversi livelli di navigazione autonoma e numerosi progetti che mirano a sfruttare queste navi anche in settori diversi dal trasporto merci (ad esempio per la ricerca in ambiente marino) ma non sono oggetto di approfondimento nel presente articolo.
[2] Rolls-Royce, Rolls-Royce and Finferries demonstrate world’s first Fully Autonomous Ferry, 2018.
[3] R. Beighton, World’s first crewless, zero emissions cargo ship will set sail in Norway, CNN, 2021.
[4] ESA, Sustainable shipping for a sustainable planet, 2020.
[5] Un’unità navale “standard” viaggia di norma a 13 nodi: se si riducesse anche solo di un nodo, con una diminuzione della velocità del 7%, avremmo una riduzione del 25% delle emissioni di CO₂.
[6] Le celle a combustibile sono batterie che riforniscono alcune navi di idrogeno “verde”, spesso dalle banchine dei porti, in quanto, avendo l’idrogeno un elevato contenuto energetico per unità di massa ma molto basso per unità di volume, ne sono necessarie enormi quantità per alimentare navi di grandi dimensioni. Le navi autonome potrebbero aumentare l’utilizzo di questa risorsa energetica e avere impatti positivi sui livelli di inquinamento.
[7] Grimaldi Group, GSAB2 – Grimaldi Satellite Berthing 2 launched, 2024.
[8] Tra le iniziative, la Satellite 4 5G initiative, nell’ambito della quale sono stati studiati, inter alia, sistemi di comunicazioni satellitare da nave a nave e da nave a terra, e la firma di due Memorandum of Intent, rispettivamente con Rolls-Royce e One Sea nel 2017 e 2019 per avanzare la ricerca nel settore e forgiare un’Autonomous Shipping Alliance. ESA, Sustainable shipping for a sustainable planet, 2020.
[9] Rolls-Royce, AAWA Position Paper, Remote and Autonomous Ship – The next steps, 2016.
[10] ESA, Satellite – Automatic Identification System (SAT-AIS) overview.
[11] Radar e LIDAR godono di un’altissima risoluzione e sono già noti al mondo marittimo. Sono spesso integrati su satelliti di osservazione della terra (EO) e se fossero utilizzati nella navigazione autonoma potrebbero superare alcuni loro limiti. Tuttavia, l’utilizzo dell’EO, essenziale nella fase di pianificazione del viaggio, incontra ancora ostacoli tecnologici in quella di navigazione (ad esempio la mappatura di un ambiente mirato può richiedere più di un flyby che non è compatibile con la trasmissione di dati in tempo reale).
[12] Esiste una relazione proporzionale tra il livello di interazione “nave autonoma-centro di controllo remoto” e la rotta prestabilita: il primo cambia se mutano le condizioni della seconda. In situazioni di normale navigazione, il carico di dati inviati è limitato ai più rilevanti (ad esempio, velocità, posizione, SA). Se la rotta viene modificata dai computer di bordo, per esempio per evitare un ostacolo imprevisto, ma resta “entro margini specificati”, l’informazione viene trasmessa al centro di controllo che può decidere se intervenire. Se la rotta deve essere modificata drasticamente, i computer suggeriscono al centro “una o più alternative” ma la decisione finale spetta a quest’ultimo. Laddove il sistema non riesca a identificare o contare gli ostacoli, e quindi a rideterminare autonomamente la rotta, invia un messaggio di “pericolo e urgente necessità di assistenza” al centro e, in assenza di risposta, esegue in autonomia una “serie predefinita di strategie di ripiego”. Rolls-Royce, AAWA Position Paper, Remote and Autonomous Ship – The next steps, 2016.
[13] Tra i GNSS rientrano Galileo (UE), GPS (Stati Uniti), GLONASS (Russia), BeiDou (Cina), NavIC (India), QZSS (Giappone), mentre lo SBAS più famoso è EGNOS (Unione Europea).
[14] Allianz, Shipping safety – Human error comes in many forms, 2019.
[15] Accuratezza: la differenza tra la posizione, la velocità o il tempo misurato da un ricevitore e quello reale; integrità: la capacità di un sistema di fornire una soglia di fiducia e garantire un allarme in caso di anomalia nei dati di posizionamento. EUSPA, What is GNSS?, 2023 (aggiornato).
[16] Margine di errore: “la cornice” entro la quale l’errore è accettabile in quanto non comporta rischi reali ed eccessivi per le parti coinvolte; Livello di protezione: la cornice entro cui devono rientrare l’errore e tutte le posizioni calcolate. Dipende da vari fattori, tra cui il rischio di integrità (la probabilità dei casi che si decide debbano rientrare nel Livello di protezione per poter operare nel sistema) ma il suo superamento non comporta necessariamente l’interruzione dell’operazione in corso in quanto l’errore potrebbe essere tollerabile se rientra nei margini di un’altra variabile, il Limite di allerta, oltre il quale, invece, ogni operazione dovrebbe essere interrotta in quanto altamente rischiosa.
[17] IMO – International Maritime Organization, Autonomous Shipping.
[18] IMO – International Maritime Organization, Legal Committee, 111th session (LEG 111), 22-26 April 2024.