Recensione a: Alberto Negri, Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente, Rosenberg & Sellier, Torino 2017, pp. 128, 12 euro (scheda libro)
Scritto da Gabriele Sirtori
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Leggendo Il musulmano errante di Alberto Negri la prima sensazione è quella di avere di fronte a sé una grande cartina geografica, una mappa. Scorrendola si incontrano nomi noti, i luoghi della geografia e della grande storia del vicino e medio Oriente: l’Iraq di Saddam, la Libia di Gheddafi, Beirut, Aleppo, l’Iran pre e post rivoluzionario. Vengono citati episodi che, per chi si interessa un poco di mondo arabo, risultano essere arcinoti.
Eppure pagina dopo pagina la cartina si complica, appaiono nuove strade, la messa a fuoco raggiunge maggiori profondità. Emergono personaggi secondari, oscuri, spesso sulla soglia tra realtà e mistificazione. Emerge soprattutto la dimensione religiosa ed esoterica del mondo islamico: un universo frammentato in varie correnti, ma al tempo stesso unito dal dibattere sugli stessi temi e materiali, il Corano e gli Atti del Profeta, e accomunato da un pervasivo e intenso afflato mistico. È così che percorrendo questa grande mappa incontriamo Zayditi, Aleviti, Nusayri, Drusi, Naqshbandi: sette religiose e confraternite mistiche che fanno della dissimulazione (taqiyya) e della segretezza la prima regola del proprio ordine. Sono l’emblema di un Islam “occulto”, l’altro volto della luna verrebbe da dire, nascosto ma esistente, solido, colto e continuamente attivo nella ricerca della Verità di Dio, nei dibattiti religiosi e anche, e qui sta la sorpresa, in quelli politici.
È così che finalmente la cartina si completa: diventa la mappa della inscindibilità tra religione e politica dell’universo islamico. Così come professato da molte di queste sette, occorre separare ciò che appare (zahir) da ciò che è celato (batin) poiché in quest’ultimo risiede la verità. Così anche nei fatti storici e politici per avere un quadro completo occorre cercare i legami nascosti, gli obiettivi non dichiarati, le cause celate. Si scopre così infine che, costantemente, nel Vicino e Medio Oriente la religione è a servizio della politica e la politica a servizio della religione, e che forse è addirittura sbagliato scindere le due cose. Entrambe sono al servizio degli uomini: troppo spesso, di quelli che detengono il potere.
Gli alauiti e la Siria
La prima guerra mondiale è stato un momento cruciale per il Medio Oriente, in primis per la Siria. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano la creazione dei protettorati inglesi e francesi ha provocato diversi problemi: a volte sono state unite in un unico Stato popolazioni diverse (come nel caso dell’Iraq), a volte invece è stato dato potere a minoranze che prima non lo detenevano, e viceversa, creando instabilità che perdurano fino ad oggi.
Nel 1922 i francesi ritagliarono nell’Ovest della Siria, intorno alle città di Latakia e Tartous, un piccolo staterello a maggioranza alauita, una piccola corrente religiosa formata perlopiù da contadini che fino ad allora non aveva mai avuto posizioni di potere. Diedero loro un governo, una bandiera e si prodigarono per creare un sistema di diritto basato sui codici civili ottomani applicati fino a quel momento, la majalla, declinato però in modo conforme ai loro dettami religiosi. Un unico problema: questi erano inconoscibili.
Gli alauiti, detti anche nusayri, sono infatti una religione misterica, fondata su riti completamente diversi da quelli sunniti, celebrati in segretezza, e la trasmissione del sapere dottrinale avviene per via iniziatica sotto il giuramento di non diffonderne i segreti. Fino a quel momento, nonostante la dominazione ottomana cercasse di imporre loro il diritto hanafita (la corrente di diritto sharaitico maggiormente in uso presso la Sublime Porta), gli alauiti erano riusciti a mantenere una totale autonomia nell’amministrazione della giustizia, praticando un diritto consuetudinario gestito dagli sheykh locali. I francesi, dovendo trovare una soluzione nel breve termine per “modernizzarli”, decisero di importare i codici dal diritto sciita, ugualmente estraneo agli alauiti, ma con il vantaggio di essere un elemento di diversità rispetto a quello praticato in precedenza dai feudatari sunniti.
I risultati furono scarsi: nessun alauita aveva i requisiti per essere giudice secondo lo sciismo. E non mancarono le proteste. Saleh al-Ali, capopopolo alauita che già dal 1918 aveva preso le armi contro le forze coloniali, oggi è considerato eroe nazionale siriano.
Le cose cambiarono con l’avvicinarsi della fine del mandato francese nel 1936. Sia da parte sunnita sia da parte alauita emergeva la volontà di unirsi, in nome del panarabismo, in un unico grande Stato siriano. Emerse quindi una questione fondamentale: gli alauiti sono musulmani? Un gruppo di sheikh alauiti in una dichiarazione affermò di sì e fu organizzata a Qardaha (città natale di Bashar al-Assad) una conferenza tra religiosi sunniti e alauiti. Qui, in una petizione rivolta al Ministero degli Esteri francese, si affermò che: «sunniti e alauiti sono musulmani non diversamente da come cattolici, ortodossi e protestanti sono considerati cristiani».
Il passo conclusivo e più importante fu compiuto dal gran muftì di Gerusalemme Hajj Amin al-Hussein che confermò questa dichiarazione in una fatwa, ovvero in un parere giuridico con valore legale. Ma perché un muftì palestinese e non uno siriano? Più che mosso da valutazioni di carattere dottrinale, Hajj Amin al-Hussein era un convinto panarabista in contatto con i leader del Blocco nazionalista panarabo. I siriani ricorsero a lui perché in Siria nessuna autorità religiosa di prestigio avrebbe messo in gioco la propria reputazione per compiere una simile dichiarazione. Si trattò di politica, non di Islam.
Ma quindi gli alauiti sono musulmani? La questione si ripropose nel 1970, in seguito al colpo di stato interno al regime Baath al potere in Siria. Il governo finì nelle mani dell’allora generale dell’aviazione Hafez al-Assad, padre di Bashar, che diede inizio al regime autoritario ancora oggi al potere. Nel 1973 tentò di far approvare un nuovo progetto di costituzione in cui, volontariamente, si ometteva che l’Islam fosse religione di Stato. Questo provocò immediate reazioni presso la popolazione sunnita che, infiammata dagli ulama nelle moschee, scese in piazza a protestare. La risposta immediata da parte degli alauiti fu nuovamente quella di cercare qualche religioso musulmano di spicco che, come accadde nel 1936, affermasse che gli alauiti fossero musulmani. Questa volta tra i sunniti non si trovò nessuno.
Perché? Solo questioni dottrinali? Nemmeno questa volta: la classe alauita, scalando i ranghi della società grazie alla presenza nel partito Baath e al supporto dei francesi, aveva toccato i privilegi e gli interessi della borghesia e del clero sunnita. In queste proteste anti-regime alle ragioni religiose si affiancavano quelle sociali ed economiche.
La soluzione trovata da Hafez fu infine quella di rivolgersi ai ranghi sciiti, con cui fino a quel momento si erano avuti timidi contatti, consistenti perlopiù nell’invio di delegazioni di studenti alauiti presso i seminari sciiti di Qom, in Iran.
Questa volta fu Musa al-Sadr, grande ayatollah sciita, a venire in soccorso agli al-Assad emettendo una nuova fatwa, ed è da questo punto che inizia lo strettissimo rapporto tra Iran e regime siriano. Nella dichiarazione di al-Sadr infatti si affermava che gli alauiti facessero parte della grande famiglia delle correnti sciite: da quel momento i ranghi religiosi alauiti iniziarono a intensificare i rapporti con Qom attraverso lo scambio di delegazioni, la convocazione di conferenze e l’organizzazione di pellegrinaggi nei luoghi santi dello sciismo. Queste attività si intensificarono soprattutto all’indomani della rivoluzione iraniana: per Tehran la Siria fu un alleato importante contro l’Iraq di Saddam e al tempo stesso a Damasco arrivava dall’Iran la legittimazione necessaria per restare al potere.
Ma c’è di più: Musa al-Sadr, l’autore della fatwa, nel ’73 si trovava in Libano, abitato nel Nord da una discreta comunità alauita (circa 20mila persone all’epoca) e da una più grande comunità sciita nel Sud che Musa era da poco riuscito a far riconoscere come comunità ufficiale. Attraverso la sua fatwa la comunità sciita libanese riuscì ad avere influenza anche nel Nord del Paese, in un Libano che vedeva appressarsi la guerra civile interconfessionale.
Musulmani erranti. Una mappa delle eterodossie
La storia del Medio Oriente viene scritta quindi anche attraverso legami che esulano dalla sfera politica: spesso sono contatti familiari, clanici o legati alla comune appartenenza a confraternite.
Nel corso del libro si incontra ad esempio la famiglia degli al-Sadr, di origini iraniane ma sparsa in tutto il mondo arabo, di cui Musa al-Sadr era un esponente di spicco. Rispettata in tutto il mondo islamico per la sua genealogia risalente addirittura al profeta Maometto, in Iraq è nota come l’emblema della resistenza sciita contro Saddam Hussein, oltre che dell’intromissione iraniana nella politica del Paese. Il loro rappresentante Muqtada al-Sadr è oggi tra i più importanti religiosi di Najaf, città santa dello sciismo in Iraq dove ha sede la hawza, l’assemblea dei religiosi sciiti che ha grandissime influenze sull’attuale governo. I nemici maggiori erano quei generali iracheni fedeli a Saddam trovatisi senza più privilegi, legati a doppio filo con l’islam sunnita ortodosso e che, non appena ci fu l’occasione, si allearono con al-Baghdadi collaborando all’ascesa dello Stato Islamico.
L’islam radicale fu anche la causa della morte di Musa al-Sadr, misteriosamente scomparso in seguito ad un viaggio nella Libia di Gheddafi pochi anni dopo la sua apertura verso gli alauiti. Doveva ripartire per l’Italia. A Roma dalla Libia arrivarono le sue valigie, ma di lui nessuna traccia.
La storia viaggia anche attraverso strade più oscure, come la comune appartenenza a confraternite mistiche. La naqshbandiya, confraternita sufi legata al grande mistico Muhammad Baha ad-Din Naqshbandi, vissuto nel XIV secolo, ne è un esempio. Fedeli di questa confraternita sono (e furono) Abu Baqr al-Baghdadi, Tayyp Erdogan, Izzat Ibrahim al-Douri, vice di Saddam e membro dell’ISIS, e Kuftaro, gran Muftì della Siria, strettamente legato agli al-Assad, il quale fu l’autorità religiosa che accompagnò Giovanni Paolo II nella sua famosa visita alla moschea di Damasco nel 2001.
Qual è il reale peso di questi legami? Spesso è ignoto, ma sono canali di comunicazione che rendono il mondo musulmano molto più unito di quanto appaia guardando una carta geografica. I legami e le alleanze politiche non corrono seguendo solo gli interessi nazionali, ma anzi spesso esulano da essi. I grandi personaggi della storia del Medio Oriente sono connessi tra loro da fili orizzontali che trascendono i confini statali: essi viaggiano, parlano, agiscono in un insieme di paesi accomunati da simili interessi, storia e destino. Grazie anche alla comune lingua araba le idee hanno un bacino di espansione ampio e così persino i ribelli, gli eterodossi, gli apostati che non hanno pace nel proprio Stato sono in grado di trovare rifugio in un altro, sia esso l’Egitto di inizio Novecento per gli intellettuali panarabi, o lo Yemen del X secolo per gli eretici Zayditi, meglio noti oggi sotto il nome di Houthi, impegnati dal 2015 in una sanguinosissima guerra civile cui partecipa anche l’Arabia Saudita.
Emblema di questa estrema mobilità di uomini e idee è Soleyman Effendi, l’uomo che ha rivelato i segreti degli alauiti al mondo. Fu un grande sapiente nato ad Antiochia nel 1834. Padre mercante, passò la gioventù ad Adana, oggi Turchia, dove fu iniziato ai segreti alauiti. Presto abbandonò la propria fede per passare all’islam sunnita, salvo accorgersi, dopo tre mesi, delle «falsità e bugie» contenute nel Corano. Divenne quindi cristiano di rito greco-ortodosso, poi ebreo, infine cristiano protestante, il tutto viaggiando tra Adana, Latakia, Damasco e Beirut.
Rivelò i segreti dei riti e delle preghiere alauite in un libro chiamato Kitab al majmou, Il libro della raccolta. Gli imam alauiti non glielo perdonarono, sebbene da poco si fosse riconvertito all’alauitismo: lo uccisero seviziandolo e seppellendolo vivo.
Fu un personaggio emblematico nella vita e nella morte: in un mondo connesso e coeso come quello del Medio Oriente è, più che altrove, necessario che i segreti vengano mantenuti.