Scritto da Adriano Cozzolino
5 minuti di lettura
Pagina 3 – Torna all’inizio
Se il testo ha il merito di tenere alta l’attenzione critica intorno al capitalismo neoliberale, d’altro canto esso semplifica, dunque, il neoliberismo riducendolo ad una costellazione di idee in parte sbagliate e/o emendabili – eliminando così dall’orizzonte analitico le relazioni di potere tra Stati a livello internazionale, la dimensione delle relazioni sociali di produzione a livello domestico e internazionale, il neoliberismo come cultura individualista e caratterizzata dalla ossessione della competitività. In secondo luogo, il testo pecca di un eccesso di volontarismo, facendo, a giudizio di chi scrive, un affidamento eccessivo sulla “buona volontà” di chi detiene potere e ricchezza di riformare il capitalismo, cioè in sostanza di auto-riformarsi (accettando ad esempio di pagare più tasse, che lo Stato fornisca più beni pubblici, che il capitale finanziario transnazionale sia al tempo stesso tassato di più e più regolamentato).
Per Crouch, in altre parole, «il futuro del capitalismo democratico può dipendere avvero dalla disponibilità delle grandi imprese transnazionali e dei superricchi ad ascoltare questi organismi transnazionali [FMI, Banca Mondiale, OCSE, etc.] e permettere alle autorità pubbliche di contenere quelle disuguaglianze grazie alle quali essi hanno guadagnato tanto» (p. 92). Eppure, proprio la storia del welfare-state occidentale insegna che tutte le conquiste sociali e politiche raramente sono state concesse da sovrani o potenti illuminati. Esse, piuttosto, sono il frutto dell’interazione conflittuale tra soggetti politici organizzati, e del pervenire ad una posizione egemonica, nella società, di determinate visioni del mondo (come del resto lo è quella neoliberale).
In conclusione, il capitalismo neoliberale è già in crisi irreversibile a causa delle sue contraddizioni di fondo. Saranno i superricchi “riformisti” e le corporazioni multinazionali, in concerto con le istituzioni internazionali, a salvare il capitalismo neoliberale da disuguaglianze e neo-nazionalismo come auspicato da Colin Crouch nel suo ultimo libro? O, invece, andremo incontro a nuove forme di nazionalismo con caratteri neoliberali, come nel caso della politica economica di Donald Trump?
I prossimi anni saranno cruciali per capire in che direzione nuove forme politiche emergeranno, se regressive – ciò che in sostanza sperimentiamo oggi – o progressive, possibilmente ridefinendo le caratteristiche del nostro modello economico-sociale unendo mobilitazione politica e sociale, battaglia egemonica e azione istituzionale.
Vuoi aderire alla nuova campagna di abbonamento di Pandora? Tutte le informazioni qui