Scritto da Pasquale Albino, Corrado Cassani, Sebastiano Castellucci, Giuseppe Clemente, Iolanda Cuomo, Francesca Nannetti
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In un’epoca in cui la tecnologia permea ogni aspetto della nostra vita, la gestione dei dati è diventata una questione cruciale di autonomia, sicurezza e sostenibilità. Per provare ad approfondire questa tema abbiamo intervistato Alessandro Cillario: co-fondatore e co-CEO di Cubbit, startup che ha lanciato un abilitatore di cloud geo-distribuito e che oggi è riconosciuta dalla Commissione Europea fra le 30 più importanti scaleup deep tech dell’Unione Europea. Vincitrice del Premio Nazionale Innovazione 2016, Cubbit è stata accelerata presso il fondo di venture capital Primo Miglio. Dal 2016 Cubbit ha raccolto più di 25 milioni di dollari, conta un team di oltre 60 talenti di livello internazionale e serve più di 400 organizzazioni in tutto il mondo.
L’intervista è stata realizzata da Francesca Nannetti, Pasquale Albino, Corrado Cassani, Sebastiano Castellucci, Giuseppe Clemente e Iolanda Cuomo, nell’ambito del corso 2024 della scuola di formazione “Traiettorie. Scuola di lettura del presente”.
Cubbit nasce a Bologna nel 2016 dall’idea di quattro studenti che intendevano fornire alle aziende una nuova modalità di storage dei dati, un servizio che all’epoca era molto caro. Com’è stato inserirvi in un mercato così complesso e competitivo? Com’è avvenuta la strutturazione della vostra idea e quale evoluzione ha avuto nel tempo?
Alessandro Cillario: Cubbit nasce dalla volontà di creare una tecnologia che potesse fornire alle persone il controllo sulla gestione dei propri dati. Quando gli utenti salvano i dati, questi vengono automaticamente caricati in un cloud, che non è altro che un computer, ma di qualcun altro, cioè un server o un datacenter in cui vengono raccolte delle informazioni. Ciò significa che, quando li si archivia, i dati possono essere potenzialmente visionati da altre persone, all’insaputa dei titolari. Questa criticità del sistema è stata il motore di partenza della nostra startup. La nostra idea iniziale è stata quella di creare un sistema che consentisse di ottenere nuovamente questo controllo. Il meccanismo alla base è il seguente: i dati non vengono salvati in un luogo fisico, ma vengono invece frammentati. Questi frammenti, oltre ad essere cifrati, vengono distribuiti su una rete. In questo modo, con Cubbit l’utente può decidere dove collocare esattamente tali frammenti e, poiché solitamente nessun punto della rete è sufficiente per ricostruire interamente i dati salvati, quando si subisce un attacco hacker o qualcuno prova a rielaborarli, i dati rimangono inviolati. Con questo sistema i clienti ottengono un livello di protezione maggiore, nonché la facoltà di decidere dove posizionare geograficamente l’informazione nel web. È chiaro che, rispetto alle evoluzioni geopolitiche degli ultimi tempi, i dati sono diventati un asset fondamentale per le aziende, le organizzazioni pubbliche e private, e non solo. Di conseguenza, poter decidere la loro localizzazione diventa particolarmente rilevante in ambiti come la difesa, ma anche e soprattutto per le cosiddette infrastrutture critiche. In quest’ottica risulta fondamentale immaginare una soluzione verticale sui singoli settori, con una declinazione che sia diversa per la sanità, la pubblica amministrazione, la difesa, le telecomunicazioni o i servizi finanziari; settori che presentano tutti delle proprie specificità.
All’interno di Cubbit sono presenti background professionali e formazioni diverse, accomunate però da un’unica visione, che è stata in grado di attrarre investitori internazionali grazie al suo carattere innovativo. Alla luce di tutto ciò, qual è il valore che attribuite all’interdisciplinarietà?
Alessandro Cillario: Le competenze differenti all’interno del nostro team hanno rappresentato un elemento fondamentale. Nel settore delle startup, o più in generale del mondo tech, nella fase iniziale si dedica sempre molta attenzione alla composizione del team. Ovviamente, alle competenze differenti deve aggiungersi l’alchimia. Fondare insieme un’azienda è come un matrimonio, bisogna assicurarsi che la persona con la quale si compie questo passo non solo non tradisca, ma che condivida anche i valori e le modalità di gestione degli affari. Soprattutto, è fondamentale che ci si dia una mano nelle situazioni di difficoltà, così da poterle affrontare nella maniera più adeguata. Per quanto riguarda le competenze, più queste sono distinte, più spingono ad approcciare i problemi da angolature diverse, in un processo di “over-valorizzazione”. Considerando la nostra storia, ad esempio, io provengo da giurisprudenza, eppure oggi ricopro il ruolo di CEO di un’azienda, nonostante il mio background non sia prettamente economico. Eppure, ho assunto questa responsabilità, così come un fisico si è dovuto prestare ad attività che sarebbero più congeniali al mondo informatico. Questo tipo di complementarietà non solo è fondamentale per il successo di un’azienda, ma è uno degli aspetti a cui gli investitori prestano attenzione quando decidono se investire o meno. Nelle fasi iniziali della vita di una startup del mondo tech, come la nostra, il progetto cambia molte volte nel corso di settimane, mesi o anni. Di conseguenza, è importante comprendere quanto il team possa essere resiliente nel gestire i cambiamenti e se ha un buon intuito nel capire l’evoluzione che il progetto dovrebbe prendere. Offrire una prospettiva da ogni angolatura, che sia tecnologica, economica, giuridica, favorisce la buona riuscita del progetto.
L’ecosistema delle startup in Italia ha un grande potenziale, ma affronta ancora numerose difficoltà che ne provocano un rallentamento. Nonostante gli incentivi degli ultimi anni e i molti incubatori e acceleratori presenti, infatti, le startup italiane faticano ancora a scalare e a competere a livello internazionale. Una volta individuata la vostra idea, è stato complesso ricevere fondi e convincere gli investitori del vostro potenziale di mercato? Quali sono state le principali sfide e come potrebbero l’Italia e l’Europa facilitare gli investimenti per finanziare progetti simili al vostro?
Alessandro Cillario: Una volta concepita l’idea abbiamo attraversato anni molto complessi in termini di ricerca di finanziamenti. Cubbit ha partecipato a circa 120 bandi e progetti pubblici di varia natura, riuscendo a vincerne solo una ventina. Non è male, ma si può immaginare la delusione per tutti gli altri che non sono andati a buon fine. La startup faceva parte di una soluzione cosiddetta “deep tech”, ovvero con molta tecnologia alla base, ma che richiede anche molto tempo per essere sviluppata. La difficoltà principale è stata raccogliere abbastanza fondi per far partire il progetto. Soprattutto in una fase iniziale vengono commessi molti errori di valutazione, tipicamente determinati dalla poca esperienza, per cui è possibile che un buon 60% del capitale raccolto vada “sprecato” per capire realmente quale sia la direzione da prendere. Per questo motivo è importante trovare investitori che accettino un tasso di errore molto alto.
Rispetto a come potrebbero agire Italia ed Europa se confrontate con l’ecosistema statunitense, il tema è il seguente: tutte le più grandi aziende statunitensi che conosciamo oggi come Microsoft o Nvidia sono state finanziate da venture capitalist, quindi da fondi di venture. Si tratta di grandi investimenti su un potenziale tecnologico molto elevato, con la consapevolezza che solo poche aziende scaleranno veramente a grandi livelli, mentre la maggior parte saranno destinate ad essere vendute o a chiudere. In questo contesto, l’accelerazione è molto elevata. La distanza tra Stati Uniti ed Europa è enorme per volume di capitale investito in questo settore. L’Europa compensa da un punto di vista di know-how, ma il tema del capitale è fondamentale in questo ambiente, perché per una Spotify nata in Europa ci sono probabilmente 8-10 aziende simili nate negli Stati Uniti. Il capitale fa sviluppare e crescere sia aziende che valgono miliardi come Apple, sia un gran numero di aziende di piccole dimensioni, su cui l’Europa potrebbe investire. Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività ha stimato che all’Europa mancano circa 800 miliardi di investimento l’anno per raggiungere la controparte statunitense. Ciò non significa che tutti gli 800 miliardi dovrebbero essere destinati a questo settore, perché sarebbe improponibile e irrealistico, ma sarebbe importante che almeno un decimo venisse destinato al mondo tech per poter raggiungere un buon livello di competitività. In questo scenario l’Italia è ancora più indietro: se si considera il tasso di investimento pro capite, cioè per numero di abitanti di un Paese, l’Italia presenta uno degli indici più bassi d’Europa. Tuttavia, i fondi d’investimento internazionali che attuano un vero e proprio scouting, che sono, cioè, alla ricerca di progetti su cui poter investire ad un prezzo conveniente, stanno iniziando ad essere fortemente attratti dalle aziende italiane. Noi abbiamo raccolto capitali internazionali, e come noi molti altri founder di aziende molto promettenti. Fortunatamente, l’Italia si sta muovendo nella giusta direzione, ma bisogna comunque lavorare ancora e molto.
Come sottolineato in apertura, Cubbit dà molto risalto alla tutela della riservatezza e al controllo dei dati. Cosa significa restituire la proprietà dei dati ai legittimi titolari e quali rischi di data breach ci sono? Come è possibile garantire che un alto livello di sicurezza non venga utilizzato in mala fede?
Alessandro Cillario: Il controllo dei dati viene restituito permettendo al titolare di scegliere in autonomia dove poterli salvare. Alcuni clienti li salvano su provider nazionali, altri internazionali, alcuni in una certa regione, e così via. In questo modo viene acquisito il controllo sugli asset, perché grazie alla frammentazione e alla geo-distribuzione dei dati, nessuno oltre al titolare possiede il dato intero e nessun altro può accedervi. L’utilità di un tale servizio diventa evidente quando si pensa soprattutto a dati sensibili come, ad esempio, il genoma di una persona. Per ciò che concerne simili dati è più che ragionevole esigere trasparenza in relazione alle modalità in cui le proprie informazioni vengono conservate e gestite. Riguardo, invece, alla fallibilità del nostro sistema, c’è innanzitutto da ricordare che qualsiasi elemento tecnologico ha un certo grado di fallibilità per definizione. Esistono sempre points of failure in qualsiasi sistema, e negarlo corrisponde a mentire. Quello su cui si agisce è la limitazione dei rischi: nel nostro sistema, la ridondanza, ovvero la distribuzione del dato, aumenta il livello di durabilità dello stesso, rendendo improbabile la sua perdita. La durabilità del dato standard per il cloud è di “11-9” e indica una percentuale di durabilità dei dati del 99.999999999% e una probabilità di perdita di dati estremamente bassa (pari a 0.000000001%); nei sistemi più sofisticati, come il nostro, è possibile raggiungere una durabilità di “16-9”, rendendo ulteriormente improbabile la perdita. Tutto si basa sulla probabilità, ma l’obiettivo della nostra startup è aumentare la resilienza dei dati, che viene restituita offrendo maggiori tutele.
La rivoluzione tecnologica si sta rivelando un’arma a doppio taglio. Se da un lato la conservazione dei dati cloud favorisce un’innovazione senza precedenti, dall’altro ha un elevato costo ambientale di cui spesso si ignora la portata. I data center consumano sempre più energia e hanno una notevole impronta di carbonio. Crede che questa tendenza possa essere invertita? Se sì, quali sono le modalità, considerando che Cubbit tenta di ridurre la sua impronta di carbonio consumando fino al 50% in meno rispetto ad altre risorse IT?
Alessandro Cillario: Purtroppo è molto complesso invertire questa tendenza. Eric Schmidt, in passato amministratore delegato di Google, una volta ha dichiarato che non si può fermare in nessun modo la domanda di energia dei data center che sviluppano l’intelligenza artificiale, e ha aggiunto che questo sarà un problema di cui l’intelligenza artificiale stessa si occuperà. Se la si vuole tradurre con una metafora, è come se ci stessimo lanciando nel vuoto mentre costruiamo l’aeroplano. Il tema è molto serio poiché si tratta di una delle limitazioni sempre più rilevanti riguardo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, il sistema economico in cui viviamo rende impensabile l’idea che possa rallentare nel suo sviluppo, perché ogni azienda, gruppo di interesse o Paese opera per ottenere maggiore competitività. Per ridurre l’impatto sull’ambiente, da un lato bisognerebbe sfruttare meglio le risorse già disponibili e ottimizzarle. Nel nostro caso, questo si traduce nell’uso di strumenti che consentono di utilizzare un nostro cloud che richiede meno hardware.
In relazione all’intelligenza artificiale e alla conservazione dei dati, in passato ha parlato di sovranità digitale. In che modo questo concetto si declina nella sua azienda? Riguardo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, come la utilizzate in Cubbit?
Alessandro Cillario: Cubbit fornisce i dati su cui poi l’intelligenza artificiale si allena, con modalità scelte e controllate dal cliente. È colui che salva i dati a decidere quale intelligenza artificiale allenare, come, dove ecc. Il presupposto sottostante è che Cubbit innanzitutto fornisce un servizio di storage dati, ed esistono ovviamente delle logiche e dei modi secondo cui i dati vengono distribuiti e gestiti. Queste logiche possono essere orchestrate anche attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, ed è qualcosa che stiamo iniziando a considerare. Per quanto riguarda la sovranità digitale, il controllo si declina su due livelli: il primo riguarda le infrastrutture, ovvero i luoghi digitali dove i dati sono salvati; il secondo riguarda i processi attraverso cui ciò avviene. Come dicevo, Cubbit permette agli utenti di decidere l’infrastruttura che preferiscono. Ovviamente, nel momento della decisione, vengono presentate tutte le caratteristiche delle specifiche infrastrutture. Per quanto riguarda il processo, forniamo una serie di strumenti che consentono una gestione accurata e sovrana dei dati. Cubbit non è un provider, non va in competizione con altri data center fornitori di servizi, ma fornisce uno strumento che consente di salvare i dati in modo distribuito, ottenendo controllo in termini di processi e di infrastrutture. Da qui il livello di sovranità digitale più importante per noi: il cliente deve poter aver in mano le “chiavi” per gestire i suoi dati in coerenza con le sue esigenze e le sue politiche. In definitiva, Cubbit non promette il servizio di sicurezza dati più potente al mondo, ma offre l’opportunità al cliente di avere un controllo totale sulla tecnologia che usa e quindi di esserne sovrano, digitalmente parlando.