“Tecnologie dell’impero” di Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri
- 02 Aprile 2025

“Tecnologie dell’impero” di Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri

Recensione a: Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri, Tecnologie dell’impero. AI, quantum computing, 6G e la nuova geopolitica del potere, Luiss University Press, Roma 2024, pp. 208, 18 euro (scheda libro)

Scritto da Samuele Calabrese

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«Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo»[1], scriveva Salvatore Quasimodo nell’ultima lirica di Giorno dopo giorno. Dietro questo appello alla pace, intriso del desiderio di un cambiamento, si cela un leitmotiv: la constatazione della violenza permanente nella storia dell’umanità. Le armi si evolvono, ma l’uomo resta immutabile: questo sembra suggerirci il poeta. Eppure, cosa accadrebbe se la tecnologia divenisse capace di modificare l’umano stesso, migliorandone le prestazioni ma amplificandone la violenza e la crudeltà?

In Tecnologie dell’impero (Luiss University Press), con lucidità straordinaria e sorprendente lungimiranza, Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri si interrogano su questa inquietante possibilità, intrecciando il mutamento del mondo al sorgere di un nuovo possibile totalitarismo: quello delle tecnologie digitali. Queste ultime rappresentano l’albore di una rivoluzione, non soltanto culturale ed economica, ma soprattutto militare. La guerra, infatti, cambia a una velocità esponenziale, con un impulso maggiore di quello dato dal telegrafo, dalla ferrovia, dal motore a combustione o dagli aerei da bombardamento. Ma soprattutto, la guerra si ripresenta come possibile, ritorna come un eco del passato a infestare lo scenario del presente e ad abitare i nostri incubi. Per i due autori, non è più corretto parlare di una semplice guerra economica: viviamo piuttosto in un’economia di guerra, poiché il conflitto globale è una possibilità che gli Stati stanno già prendendo seriamente in considerazione. La corsa alle tecnologie nasconde, dunque, il desiderio di un’egemonia militare. Di conseguenza, l’analisi di ogni conflitto geopolitico non può più prescindere dallo studio della tecnologia, della sua capacità di trasformare e dominare.

Al centro di questa rivoluzione, per gli autori, vi sono gli Stati, ma solo quelli in grado di esprimere consenso e potere. Torna così alla ribalta il confronto tra imperi, che manda in fumo le teorie sulla “fine della storia” e sul “mondo unipolare”, riportando in scena l’antico fantasma dell’imperialismo. Si intravedono, come sottolineano gli autori, molti segnali che ricordano le dinamiche della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma questa volta con un nuovo e inedito protagonista: la Cina. Da una parte, dunque, gli Stati Uniti temono il sorpasso del rivale in tre ambiti chiave – microchip, 5G e intelligenza artificiale – e rabbrividiscono all’idea di una sostituzione delle proprie imprese con quelle cinesi: si veda quanto accaduto con il successo di Deepseek[2]. Dall’altra, la Cina eregge la tecnologia a vocazione nazionale e innalza l’innovazione a una missione collettiva. La strategia cinese rappresenta un cambio di paradigma radicale: un passaggio dal “nascondere le proprie capacità e aspettare il proprio tempo” di Deng Xiaoping al proposito di eguagliare e superare lo Stato più potente del mondo. La Cina si presenta, dunque, come una superpotenza che ha messo in primo piano sé stessa, conciliando l’innovazione con la sovranità.

Per questa ragione, sostengono gli autori, il modello cinese incute timore: nella sua corsa frenetica verso l’egemonia sembra agire machiavellicamente, subordinando all’importanza della propria espansione l’etica dei mezzi. Un esempio emblematico è quello della proprietà intellettuale: secondo gli autori, non si può ignorare l’intento strategico alla base degli investimenti cinesi volti a impadronirsi del know-how, a penetrare negli Stati Uniti per apprendere dalle imprese americane e assorbirne le pratiche. Proprio questa condotta ha fornito il pretesto, prima a Joe Biden e poi a Donald Trump, per imporre misure di embargo contro l’industria cinese. Questi provvedimenti, mirati in particolare ai settori in cui la Cina risultava ancora dipendente dalla tecnologia americana, come quello dei chip essenziali per far operare reti avanzate in modalità slicing, segnano una nuova fase della competizione globale.

Tecnologie dell’impero fornisce, inoltre, molti esempi di come il biologico si integri con il cibernetico. Un caso significativo è quello degli aerei caccia di nuova generazione, piattaforme bio-cyber-fisiche, capaci di prendere decisioni autonome e condividere dati decriptati con stormi di droni. Questo scenario trova un parallelo nelle smart city, dove veicoli a guida umana e veicoli a guida autonoma si muoveranno in modo coordinato. Il parallelismo tra i caccia e le città del futuro ci dimostra ancora una volta l’indissolubile legame che si protende tra tecnologia militare e tecnologia civile. Il campo di battaglia, ad esempio, prenderà dalle città la mappatura 4D, uno strumento utile ad acquisire la posizione spaziale e la collocazione temporale di insiemi di oggetti in modo quasi istantaneo. Questo richiederà una enorme capacità di immagazzinare e ridistribuire i dati, nell’ordine di grandezza degli zettabyte, ovvero mille miliardi di gigabyte, rendendo necessario, dunque, investire nelle reti di comunicazione, come il 5G. Esse, infatti, offrono una latenza significativamente minore rispetto alle tecnologie precedenti, così come una capacità di trasmissione molto superiore. Non sorprende dunque che Huawei sia diventata il bersaglio di un’offensiva totale, con Donald Trump che già nel 2019 emana un Executive Order per bandire le aziende cinesi dalla costruzione di infrastrutture digitali negli Stati Uniti. Tuttavia, il colosso tecnologico cinese non intende cedere terreno alla concorrenza e si rilancia con ambizioni ancora maggiori, puntando sulle nuove tecnologie del 6G. Questa volta, però, la risposta americana seguirà una strategia differente: a guidare la contromossa non saranno solo le istituzioni governative, ma un coordinamento più ampio che coinvolgerà imprese, ricercatori e apparati governativi sotto la supervisione del National Security Council.

Ad ogni modo, ciò che desta maggiore inquietudine dello strapotere di Stati Uniti e Cina è la loro capacità di controllare i cittadini attraverso la tecnologia, impiegando non solo strumenti di biopolitica, ma anche ciò che il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han definisce “psicopolitica”, ovvero il dominio sulle menti. L’intelligenza artificiale, dunque, sembra avere il potenziale di aprire le frontiere della guerra alla manipolazione biologica e cognitiva, ridefinendo il mentale e il materiale per plasmare gli individui a piacimento. La posta in palio si alza: l’intelligenza artificiale promette un dominio illimitato, la creazione di un nuovo invincibile Leviatano. Il combattimento si estenderà a luoghi e orizzonti inediti, superando la terra, il mare e il cielo e puntando direttamente allo spazio extra-atmosferico e alla manipolazione e trasformazione dell’umano. Ciò che gli autori definiscono human enhancement o human augmentation.

Questa rivoluzione tecnologica e militare solleva inevitabilmente una questione inquietante: l’eventuale proiezione nello spazio extra-atmosferico della dottrina colonialista statunitense. Gli Stati Uniti, nazione forgiata sulla colonizzazione delle popolazioni autoctone nordamericane, portano con sé il retaggio di un’idea di “destino manifesto”. Gli autori descrivono così la tendenza statunitense a ritenersi un popolo predestinato a conquistare e colonizzare, che si manifesta ancora oggi nell’aspirazione di Donald Trump di piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte, o nella visione di Elon Musk sul futuro di Starlink. I satelliti di Space X, infatti, aumentano esponenzialmente di anno in anno, suscitando enormi preoccupazioni nei potenziali concorrenti (tra cui il cinese Guowang). Non a caso, il dominio dello spazio è ormai parte integrante dell’agenda strategica cinese, il cui obiettivo principale è quello di interdirne l’uso agli Stati Uniti e ai loro alleati. La progressiva saturazione dell’orbita terrestre si configura così come un problema cruciale, ricalcando la logica dell’annichilimento nucleare: entrambe le superpotenze sviluppano armi antisatellite, ma sono consapevoli del rischio insito nella distruzione delle infrastrutture nemiche. L’energia cinetica sprigionata dalla collisione tra due oggetti di grandi dimensioni, infatti, rilascerebbe una nuvola di detriti in direzioni casuali, capace di distruggere a sua volta altri satelliti. Nel peggiore degli scenari questo potrebbe culminare nella Sindrome di Kessler, una spirale incontrollabile di collisioni che renderebbe l’orbita terrestre inagibile, con conseguenze irreversibili per l’intera umanità.

Per quanto riguarda l’human enhancement, invece, i due autori mostrano svariate sfide future, elencate da un report finanziato dalla National Science Foundation americana. Tra le prospettive più affascinanti e inquietanti si annoverano le tecniche di comunicazione brain-to-brain, le nuove interfacce uomo-macchina e persino metodi avanzati per contrastare l’invecchiamento fisico e mentale. Sono queste le prospettive dell’uomo del futuro, segnate ancora una volta dal dual use, ovvero dalla possibilità di essere impiegate tanto in ambito civile quanto in ambito militare. Non si tratta soltanto della possibilità di migliorare le capacità psicofisiche dei propri soldati, bensì di quella di controllare la mente del nemico, rallentandone i processi cognitivi e decisionali. Questa linea di ricerca, che gli autori definiscono “biotecnologia cognitiva” non è pura fantascienza, ma già oggetto di studio in Cina, Europa e Stati Uniti, e prefigura la nascita di un nuovo tipo di uomo, dotato di facoltà mentali e sensoriali implementate, spinte oltre i limiti della fisiologia. Ma non è tutto: questa manipolazione potrebbe spingersi a orientare le decisioni dell’individuo, erodendo il suo libero arbitrio e il suo diritto a commettere degli errori. Ragionando in termini kantiani, l’uomo potrebbe essere privato della sua autonomia, divenendo succube di un condizionamento esterno della sua volontà. Tutto ciò andrebbe a minare il fondamento stesso dell’azione morale, sancita dalla massima “sii legge a te stesso” stravolgendo così la nostra stessa essenza di essere umani.

Un altro campo cruciale della competizione tecnologica è la produzione di semiconduttori, settore strategico la cui stabilità è seriamente minacciata dalle instabilità geopolitiche. Al centro vi è indubbiamente l’isola di Taiwan, sede della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), dalla cui produzione dipende la supply chain globale. Tuttavia, Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri citano anche la Corea del Sud, diventata negli ultimi anni una superpotenza nell’ambito dei semiconduttori, così come la Cina. La lavorazione del silicio, dunque, ha il suo cuore in Asia e vive una situazione critica per quanto riguarda la sicurezza. La sua vulnerabilità minaccia sia gli Stati Uniti, per il rischio di affidarsi a una regione ad alta instabilità geopolitica, sia la Cina, poiché molte delle tecnologie fondamentali sono ancora nelle mani di fornitori sotto il controllo statunitense. Entrambe le potenze hanno avviato, dunque, processi di decoupling, cercando di divenire indipendenti l’una dall’altra, causando in questo modo una tensione pericolosa tra tutti i Paesi coinvolti, tra cui quelli europei. La ricerca è il primo settore a risentire di questa frattura: le collaborazioni internazionali vengono interrotte e i laboratori di eccellenza riallocati. Ma la guerra dei chip non si fermerà qui: essa è destinata a estendersi al campo delle tecnologie quantistiche. Anche in questo settore, la Cina sembra detenere un vantaggio sul fronte della comunicazione e del criptaggio, avendo già avviato la costruzione di un’infrastruttura per l’internet quantistico. Gli Stati Uniti, invece, dominano la corsa al quantum computing, ovvero nella realizzazione del primo computer quantistico operativo.

In definitiva, Tecnologie dell’impero racconta di una guerra in corso che si protrarrà ancora per molto tempo. Uno scontro epocale che ha come fine il dominio globale e che mobilita scienza, finanza, industria e cultura, mettendo in discussione tanto la natura dell’uomo quanto il potere dello Stato. Una rivoluzione che ridefinisce la globalizzazione, incrinandone gli equilibri e aprendo scenari imprevedibili. L’Europa, prigioniera delle proprie contraddizioni, non può far a meno di ridiscutere il proprio modello, di cercare una nuova via nel “labirinto” del potere politico-istituzionale. Se, come sosteneva Antonio Gramsci, è nel chiaroscuro che nascono i mostri[3], allora la creatura che secondo gli autori domina il nostro tempo è il Minotauro della sovranità: il simbolo di un dilemma irrisolto, quello della rifondazione dello Stato nell’era del multipolarismo e della rivoluzione digitale. Gli Stati si trovano così in bilico tra due imperativi opposti: da un lato, la necessità di diffondere l’intelligenza artificiale nei principali settori strategici, dall’altro il dovere di sorvegliarne l’utilizzo. Tecnologie dell’impero diviene dunque una bussola preziosa, un manuale per orientarsi nel caos del cambiamento e una lettura imprescindibile per immaginare le frontiere del futuro.


[1] Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1995, p. 146.

[2] Sul caso Deepseek si veda, ad asempio: Paris Marx, DeepSeek mette a nudo il fallimento tecnologico statunitense, «Internazionale», 29 gennaio 2025.

[3] La frase è una rielaborazione molto nota di un passaggio dei Quaderni del Carcere: «In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati», Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Einaudi, Torino 1975, p. 311.

Scritto da
Samuele Calabrese

Laureato in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sul concetto di spettacolo nella filosofia del situazionista Guy Debord. Si occupa di storia del pensiero marxista, etica dell’intelligenza artificiale e filosofia queer e transfemminista.

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