Recensione a: Massimo Faggioli, The Liminal Papacy of Pope Francis. Moving toward Global Catholicity, Orbis Books, Maryknoll – NY 2020, pp. 224, 27 dollari (scheda libro)
Scritto da Antonio Ballarò
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Quello di papa Francesco è un pontificato che può essere letto in molti modi, e ciò malgrado non si sia concluso né duri da troppo tempo. Di esso si potrebbe dire quanto lo storico britannico Eric Hobsbawm disse del secolo scorso, il «secolo breve»[1]: una soluzione di continuità ridotta ma intensa, che per Hobsbawm andava dallo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, al crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991. La breve intensità del pontificato ha tratti sia teologici sia politici: l’idea di chiesa in uscita, il coraggio di affrontare questioni che si ritenevano chiuse per sempre, la consapevolezza delle tensioni tra legge e vangelo e del bisogno di una rinnovata dimensione collegiale e sinodale, la capacità di non opporre unità e diversità (pp. 18-19), ma anche il fallimento della primavera araba, i disordini in Medio Oriente, il successo populista in America Latina, la crisi dell’Unione Europea e il caso Brexit, la diffusione del nazionalismo in Occidente, l’ascesa di vari strongmen alla guida di diverse potenze globali (pp. 158-159). A questa mappa religiosa e politica fa riferimento The Liminal Papacy of Pope Francis, l’ultimo libro di Massimo Faggioli, storico e teologo, docente alla Villanova University di Filadelfia.
Il libro, la cui versione italiana arriverà l’anno prossimo, è dichiaratamente «parte dello sforzo collettivo di comprendere questo momento della vita della comunità cattolica e della famiglia umana» (p. XI), attraversato, frattanto, dalla pandemia di Covid-19, assente nel testo perché posteriore alla sua pubblicazione ma non per questo fuori contesto. Il libro, infatti, ruota intorno all’intuizione che quello attuale sia un papato di soglia: storica, geografica, teologica.
L’elezione di Jorge Mario Bergoglio, del resto, non può fare a meno di una valutazione delle circostanze del tutto originali che l’hanno contraddistinta: le dimissioni di Benedetto XVI non meno della loro recezione sul piano della chiesa globale, le quali sono diventate, in qualche modo, il segno di una «transizione incompiuta» (p. 1), anche a causa della difficoltà di elaborare una certa «uccisione del padre» (p. 2) tipica del conclave. L’elezione di Francesco giunge durante una crisi della storia che richiede una ricongiunzione «non tradizionalista» tra chiesa e tradizione, seppur nella consapevolezza dei suoi confini non solo religiosi che il cattolicesimo contribuisce a mostrare. In un cattolicesimo il cui patrimonio storico rischia di alimentare la «monumentalizzazione» e la «musealizzazione» (p. 3) o nell’«alienazione tra storia e teologia» che affligge i seminari, infatti, si riflette l’ampiezza di una crisi che riduce la storia a «narrazione» utile solo a rinsaldare l’identità di gruppi specifici (p. 4). Nel caso della chiesa, tuttavia, il processo storico in atto riguarda più precisamente anche «il ruolo a lungo sottovalutato del papato romano» per interpretare i cambiamenti ecclesiali e globali (p. 92).
In effetti, oltre a biografie, i papi hanno anche geografie spirituali e intellettuali (p. 73), spesso speculari. Questa convergenza consiste, in Francesco, in un marcato accento sui margini e le periferie, che ha comportato una ridefinizione teologica e politica dell’ecclesiologia e un esercizio etimologico del proprio ruolo di pontifex, ovvero il ricorso a «una nuova mappa del mondo globale al tempo dello sconvolgimento della globalizzazione» (p. 3). Giunto a Roma «dalla fine del mondo», papa Francesco incarna, secondo Faggioli, un nuovo senso dello spazio – incluso lo spazio digitale, il cyberspazio cattolico – che si realizza simbolicamente nella «decisione di non abitare nell’appartamento papale» (p. 74) e nella vicinanza, anche fisica, «agli scenari dimenticati del dramma umano» (p. 77). Papa Francesco ha rivisitato l’atlante cattolico, reinterpretando «i confini in quest’epoca di nuovi muri» (p. 81). Ciò si vede dal raffronto con gli Stati Uniti, paese in cui l’autore vive dal 2008 e che rappresenta il palcoscenico più importante di una sfida sferrata all’ecclesiologia del papa argentino, in particolare tramite opzioni che prevedono un «ritiro radicale dalla scena pubblica allo scopo di fondare comunità cristiane di tipo neo-monastico o comunque settarie» e in controtendenza rispetto alla loro presenza nel cyberspazio – un caso tutto da studiare, che conferma il bisogno di pensare la chiesa «in termini di “dove”» prima che «in termini di “chi”» (p. 86).
Storia e geografia rivestono dunque un ruolo centrale in The Liminal Papacy of Pope Francis, così che delineano un preciso modo di fare teologia: una teologia in contesto, cosciente che la filosofia non possa più essere la sua unica interlocutrice, specie durante questo pontificato. La globalizzazione, infatti, ha riaffermato che le teologie sono plurali e che una teologia della e nella globalizzazione «ha bisogno di riscoprire e aggiornare la teologia conciliare e del XX secolo» elaborando «una teologia delle migrazioni nel mezzo della crisi dello stato nazionale; una teologia della cultura nella crisi del multiculturalismo; una teologia della scienza e della conoscenza in quest’epoca di scetticismo globale che affianca i nuovi fondamentalismi religiosi» (p. 109). A essere decisivo qui è il «senso cattolico e post-europeo dell’universalità della chiesa» (p. 110) caratteristico di Francesco, cioè il modo con cui Francesco pensa e affronta il processo di globalizzazione e la sua crisi. Per il papa, è la categoria di popolo a fare la differenza, in quanto strettamente connessa a una forma sinodale di chiesa. Francesco elabora una teologia della fraternità e della sororità ecclesiali (p. 119) – tema cui è dedicata la nuova enciclica Fratelli tutti[2].
Le linee storiche, geografiche e teologiche del testo di Faggioli compongono però una cornice più ampia. In esso non vi sono soltanto il papato o il papato di Francesco, ma i papati precedenti, alla cui luce quello del papa gesuita rappresenta «una continuazione e un’evoluzione della globalizzazione del papato iniziata nel XIX secolo» (pp. 29-30) oltre a recepire il bisogno, avvertito sin dal XX, «di lasciarsi alle spalle parte dell’eredità teologica e istituzionale della cristianità europea» (p. 26). Il libro valuta per questo il ruolo di Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nella gestione dei rapporti tra cattolicesimo e identità occidentale, riservando a Giovanni XXIII una comparazione con il pontificato di Francesco. Le due figure presentano infatti diversi punti di convergenza, che l’autore riassume nella loro visione spirituale della riforma della chiesa; nel loro messaggio di apertura della chiesa al rinnovamento; nel dovere di affrontare una macchina burocratica disfunzionale in Vaticano e nella particolare situazione geopolitica della chiesa cattolica di ieri e oggi (pp. 40-41). Il legame tra Roncalli e Bergoglio emerge inoltre dal loro rapporto con il Vaticano II, in senso sia teologico sia storico, come dimostra l’importanza attribuita da Francesco ai sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015, oltre che al concilio stesso (p. 17). Nel libro, il concilio ha un peso fondamentale per la comprensione dell’attuale pontificato ma anche dello stato della chiesa degli ultimi anni, segnata da una successione tra un papa, Benedetto XVI, la cui intenzione generale era chiaramente «di rivisitare il Vaticano II e la sua recezione e applicazione nella vita della chiesa» (p. 51), e un altro, Francesco, che «percepisce il Vaticano II non come oggetto da reinterpretare o limitare, ma piuttosto da implementare e ampliare» (p. 54).
Da papa “figlio” del concilio, Francesco non tematizza troppo il Vaticano II, ma tutto il suo pontificato mostra che non è stato «un’anomalia nel funzionamento del cattolicesimo» (p. 69). Il libro vede in Francesco un «cattolico globale» e nel Vaticano II un «concilio globale»: è un filo rosso che indica il modo con cui l’autore conduce la propria riflessione, andando da Francesco al concilio e dal cattolicesimo alle sue istituzioni. Faggioli ricostruisce l’ecclesiologia della globalizzazione di questo pontificato (pp. 121-128), che denuncia e in parte rompe un sistema clericale ancora inaccettabilmente pervasivo. Avvalorando l’aspetto ecclesiale e non gerarchico della missione, infatti, il papa concorre a rivedere «la distinzione organizzativa e simbolica tra clero e laici, e quella interna al laicato», il che ha conseguenze, ovviamente, sul «governo centrale della chiesa cattolica» (p. 128). A quest’ultimo tema è dedicata la parte finale del libro, la quale stabilisce un asse tra governance della chiesa cattolica e presenza del papato nel quadro geopolitico e di crisi della globalizzazione, il cui banco di prova più importante è la crisi di abusi sessuali, che ha travolto il cattolicesimo sul piano istituzionale e globale oltre che spirituale e teologico (pp. 129-179).
Il libro di Faggioli non può ritenersi concluso. È un libro aperto che sviluppa alcune intuizioni sul papato di Francesco e l’attuale momento ecclesiale e politico, attento a traiettorie diverse che ne illustrano la complessità. Non è un libro ottimistico né partitico, ma seriamente realista, che si unisce a una prima riflessione sul pontificato, pubblicata un anno dopo l’elezione[3], con cui lo studioso italo-americano avviava la sistematizzazione di opere e parole di un papa il cui impatto era immaginabile già la sera del 13 marzo 2013. Con questo testo, gli osservatori a vario titolo ricavano un nuovo punto fermo in vista della storicizzazione del papato.
[1] E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1941-1991: l’era dei grandi cataclismi, Milano, Rizzoli, 1995. È interessante che lo stesso Francesco abbia definito «breve» il suo pontificato.
[2] Francesco, Lettera enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020.
[3] M. Faggioli, Papa Francesco e la chiesa-mondo, Armando Editore, Roma 2014.