Cooperazione e sviluppo territoriale. Intervista a Emanuele Monaci
- 13 Giugno 2025

Cooperazione e sviluppo territoriale. Intervista a Emanuele Monaci

Scritto da Giacomo Bottos

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Emanuele Monaci è Presidente Associazione Generale Cooperative Italiane (AGCI) Emilia-Romagna.


L’economia sociale viene spesso indicata come un’alternativa sostenibile all’economia puramente for profit. Dal punto di vista delle cooperative aderenti ad AGCI Emilia-Romagna, quali ritenete siano i tratti distintivi dell’economia sociale? Ritiene che sia una categoria efficace per indicare il vostro modo di operare?

Emanuele Monaci: L’economia sociale, con i suoi principi fondanti come la centralità della persona, la partecipazione democratica, la solidarietà e la sostenibilità, rappresenta per le cooperative aderenti ad AGCI Emilia-Romagna non solo una definizione coerente, ma anche una cornice valoriale che rispecchia profondamente il nostro modo di operare. Questi tratti distintivi non sono semplici enunciazioni di principio, ma orientano concretamente le scelte quotidiane delle nostre imprese: nella progettazione dei servizi, nella gestione dei rapporti di lavoro, nella costruzione di relazioni con il territorio. La cooperazione, infatti, è innanzitutto un atto di fiducia collettiva: è mettere in comune risorse, competenze, responsabilità e visione, per generare valore condiviso e risposte efficaci ai bisogni delle persone. Le nostre cooperative agiscono con l’obiettivo di creare occupazione dignitosa, promuovere l’inclusione e rafforzare la coesione sociale, ponendosi come interlocutori attivi e affidabili nei percorsi di sviluppo locale. In questo senso, l’economia sociale non è solo una categoria utile a descrivere ciò che facciamo, ma è anche il campo in cui si misurano concretamente le possibilità di un’economia diversa: più giusta, più resiliente, capace di rimettere al centro la comunità e il bene comune. Per noi, parlare di economia sociale significa riconoscere e dare valore a un modo di fare impresa che non separa la dimensione economica e quella sociale, ma le tiene insieme, in un equilibrio dinamico che alimenta innovazione, partecipazione e sostenibilità.

 

Il Piano Metropolitano per l’Economia Sociale di Bologna si prefigge l’obiettivo di proporre un cambio di paradigma, riconoscendo l’economia sociale come direttrice di sviluppo, in una prospettiva di co-progettazione e co-programmazione. Quale giudizio date del percorso che ha portato a questo documento? Qual è stato il vostro contributo?

Emanuele Monaci: «Soli siamo invisibili, insieme siamo imbattibili». Questa frase di Juan Antonio Pedreño, Presidente di Social Economy Europe, pronunciata alla European Social Economy Conference di San Sebastián, esprime con forza il significato profondo della partecipazione nel movimento cooperativo. È proprio a partire da questa convinzione che abbiamo scelto di contribuire attivamente alla redazione del Piano Metropolitano per l’Economia Sociale di Bologna. Per noi, partecipare a questo processo non è stato solo un atto formale, ma un’occasione concreta per riaffermare il valore della cooperazione come strumento collettivo di trasformazione. Il percorso che ha portato alla stesura del Piano è stato infatti segnato da un metodo di lavoro autenticamente partecipativo, in cui cooperative, associazioni, enti pubblici e cittadini sono stati chiamati a confrontarsi in modo aperto, paritario e costruttivo. Questa pluralità di voci, esperienze e saperi ha permesso di dare forma a un documento che non è semplicemente una sommatoria di contributi, ma una vera e propria sintesi condivisa delle istanze e delle aspirazioni di una comunità. La dimensione della co-progettazione non si è tradotta solo in un approccio metodologico, ma ha rappresentato il segno concreto di un cambio di paradigma: quello in cui l’economia sociale non viene considerata un comparto marginale, ma una delle direttrici principali di sviluppo per il territorio. Lavorare insieme alla costruzione del Piano ha significato rafforzare legami, consolidare alleanze, ma soprattutto generare visioni. Il nostro contributo si è inserito in questo quadro con spirito propositivo e con la consapevolezza che solo unendo le forze si possono affrontare con efficacia le grandi sfide del presente: la transizione ecologica e digitale, l’inclusione sociale, la coesione dei territori. Il Piano, oggi, è uno strumento vivo, che parla di futuro, ma che nasce da un processo profondamente radicato nella realtà, nelle relazioni e nella volontà collettiva di non limitarsi a subire il cambiamento, ma di guidarlo insieme.

 

Nel ripensare i modelli di welfare, il Piano valorizza la prossimità. Qual è il ruolo delle cooperative sociali in questo senso e quali le potenzialità esistenti o da attivare nei territori? 

Emanuele Monaci: Le cooperative sociali rappresentano un modello imprenditoriale che coniuga creatività e cambiamento per rispondere ai bisogni emergenti delle comunità. La loro capacità di innovare non si limita all’erogazione di servizi, ma si estende alla progettazione di soluzioni che generano inclusione sociale e occupazione. Attraverso l’osservazione diretta delle esigenze locali, le cooperative sociali sviluppano interventi che anticipano le trasformazioni sociali. Questa proattività si traduce in iniziative che non solo soddisfano le necessità immediate, ma promuovono anche lo sviluppo di nuove competenze e opportunità lavorative. Inoltre, le cooperative sociali svolgono un ruolo cruciale nel rafforzare il tessuto sociale, creando reti di solidarietà e promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini. Questo approccio integrato favorisce la costruzione di comunità più resilienti e coese, capaci di affrontare le sfide contemporanee con maggiore efficacia. La vera potenzialità delle cooperative risiede nelle persone che vi lavorano. La loro capacità di ascoltare i bisogni delle comunità e di confrontarsi con le sfide quotidiane è fondamentale per generare servizi innovativi e sostenibili. Attraverso l’impegno e la professionalità degli operatori, le cooperative sociali non solo rispondono alle esigenze del territorio, ma creano anche nuove opportunità economiche e occupazionali, contribuendo allo sviluppo di un’economia più inclusiva e solidale.

 

Uno degli assi portanti di questo documento è il diritto all’abitare. Le cooperative di abitanti sono pronte a raccogliere questa sfida? Quali esperienze già attive possono fare da apripista e quali criticità devono essere superate?

Emanuele Monaci: Il diritto all’abitare è oggi una delle sfide più urgenti e complesse, soprattutto in contesti urbani come Bologna, dove l’accesso a soluzioni abitative dignitose e sostenibili è sempre più difficile per ampie fasce della popolazione. Nel contesto attuale, caratterizzato da un aumento dei costi abitativi e da una crescente precarietà lavorativa, è necessario sperimentare e avere il coraggio di ripensare l’abitare, coniugando la partecipazione attiva dei residenti e la creazione di comunità solidali, anche per combattere i fenomeni di degrado urbano. Le cooperative di abitanti, storicamente impegnate nel garantire l’accesso alla casa per lavoratori e famiglie, sono pronte a raccogliere questa sfida proponendo modelli innovativi di abitare che coniugano inclusione sociale, sostenibilità economica e rigenerazione urbana, a patto che siano messe nelle condizioni normative, finanziarie e amministrative di operare secondo la loro missione. Il Piano per l’Economia Sociale (PES) propone strumenti utili in questa direzione: l’attivazione di piattaforme metropolitane di housing sociale e collaborativo, l’introduzione di modelli di abitare solidale e intergenerazionale, la promozione di progetti di rigenerazione urbana a base cooperativa, il riconoscimento delle cooperative di abitanti come soggetti di interesse generale. Numerose sono le esperienze già attive che possono fungere da apripista: i cohousing cooperativi, in cui si coniugano soluzioni abitative con spazi condivisi e servizi di comunità; i progetti di autocostruzione e autorecupero, che valorizzano il protagonismo degli abitanti; le azioni integrate di abitare e welfare, che mettono in relazione la casa con i servizi di cura, educazione e assistenza; le iniziative di rigenerazione partecipata promosse da cooperative in collaborazione con enti locali e associazioni. Tuttavia, per generalizzare e consolidare queste esperienze è necessario superare alcune criticità: la mancanza di fondi strutturati dedicati all’abitare cooperativo, soprattutto per le fasi di progettazione e di startup; l’insufficienza di misure urbanistiche e strumenti attuativi nei PUG e nei regolamenti edilizi favorevoli all’abitare collaborativo; l’assenza, a livello normativo, di un riconoscimento pieno delle cooperative di abitanti come soggetti erogatori di servizi di interesse economico generale (SIEG). AGCI propone che il diritto all’abitare venga integrato nella cornice dell’economia sociale, come diritto complesso che richiede alleanze tra politiche urbane, sociali, sanitarie e ambientali, e in cui le cooperative possano agire non solo come costruttori di alloggi, ma come attivatori di comunità.

 

Uno dei punti fondamentali è anche quello del lavoro dignitoso come motore per ridurre le disuguaglianze. Il mondo cooperativo può garantire occupazione inclusiva, equa e stabile, soprattutto per i giovani e nei territori più fragili? Quali sono i principali punti di forze e le principali criticità in questo senso?

Emanuele Monaci: Il lavoro dignitoso rappresenta oggi una delle leve più potenti per contrastare le disuguaglianze e costruire una società più giusta e inclusiva. In questo scenario, il mondo cooperativo si dimostra un attore credibile e strategico, capace di offrire occupazione stabile e di qualità, soprattutto nei contesti più fragili e tra le fasce della popolazione maggiormente esposte alla marginalità. Le cooperative, per la loro natura e per il modello valoriale che le guida, pongono al centro la persona, promuovendo ambienti di lavoro improntati all’ascolto, all’accoglienza e alla valorizzazione delle competenze di ciascuno. Questa attenzione si traduce in opportunità reali per giovani, donne, migranti, persone con disabilità e per tutti coloro che faticano a trovare uno spazio nel mercato del lavoro tradizionale. Ma la forza della cooperazione non sta solo nella capacità di includere: sta anche nella sua vocazione a innovare, a leggere i mutamenti sociali ed economici e a costruire risposte nuove, anche quando il contesto è difficile. In un tempo segnato da precarietà diffusa e insicurezza, molte cooperative hanno scelto di rafforzare le tutele, qualificando i contratti di lavoro e affermando un modello occupazionale fondato sulla dignità, sulla giusta retribuzione, sulla stabilità. Si sono assunte la responsabilità di essere un punto di riferimento nei settori in cui operano, contribuendo a tracciare una rotta possibile anche per altri attori del mondo produttivo. Tuttavia, garantire un’occupazione dignitosa non basta. L’inclusione lavorativa, per essere davvero efficace, deve essere accompagnata da politiche integrate che tengano insieme lavoro, casa, formazione, servizi sociali. Non è sufficiente avere un impiego se non si ha un luogo dove vivere, se non si ha accesso a percorsi formativi, se mancano reti di supporto. Da questo punto di vista, il Comune di Bologna rappresenta un’esperienza virtuosa a livello nazionale. Le sue politiche di coesione sociale, costruite anche in dialogo con la cooperazione, hanno dimostrato come sia possibile favorire un’inclusione piena, non solo lavorativa, ma esistenziale. È proprio in questa capacità di costruire legami tra dimensioni diverse – economica, sociale, abitativa, educativa – che si misura oggi la sfida dell’economia sociale. Una sfida che il mondo cooperativo è pronto ad affrontare, con responsabilità e visione.

 

Il rafforzamento dell’economia sociale passa anche dallo sviluppo di competenze adeguate, legate all’ambito lavorativo. Quali sono i bisogni formativi prioritari per accompagnare la trasformazione in atto?

Emanuele Monaci: Il rafforzamento dell’economia sociale passa anche, e forse soprattutto, attraverso lo sviluppo di competenze adeguate. La trasformazione che stiamo vivendo, accelerata dalla transizione digitale e dai cambiamenti demografici e sociali, impone alla cooperazione un investimento serio e continuativo nella formazione delle persone. Solo così sarà possibile garantire risposte qualificate ai nuovi bisogni, valorizzando al tempo stesso le capacità individuali e collettive che animano le nostre imprese. Diventa quindi prioritario puntare sull’acquisizione di nuove professionalità, in particolare quelle legate all’uso consapevole e strategico delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale. Non si tratta di rincorrere le mode, ma di dotarsi degli strumenti per leggere in modo predittivo i fenomeni sociali, anticipare i bisogni e orientare le scelte con maggiore efficacia. Le cooperative devono sapersi attrezzare per riconoscere, validare e certificare le competenze che emergono in un mercato del lavoro sempre più fluido, dando dignità e valore anche ai percorsi non formali e alle esperienze maturate sul campo. Questo significa ripensare il rapporto tra formazione e lavoro non come una semplice trasmissione di saperi, ma come un processo continuo di crescita e adattamento. Un nuovo paradigma formativo che tenga insieme l’innovazione tecnologica e la qualità delle relazioni umane, mantenendo saldi i valori fondanti della cooperazione: l’inclusione, la solidarietà, la partecipazione. In questo scenario, la cooperazione può e deve assumere il ruolo di fucina di competenze: un luogo in cui si coltiva l’innovazione sociale, si promuove l’apprendimento permanente e si costruisce un’economia capace di includere e generare opportunità per tutti. Solo così sarà possibile affrontare con coraggio e visione le trasformazioni in atto, restando fedeli alla propria identità ma pronti a reinventarsi ogni giorno.

 

Nell’ottica della co-progettazione come leva per l’innovazione amministrativa, quali ostacoli persistono nel rapporto tra cooperazione e pubbliche amministrazioni? E quali buone pratiche esistono per dare piena attuazione al principio di sussidiarietà? 

Emanuele Monaci: La co-progettazione si conferma una leva strategica per l’innovazione amministrativa, capace di promuovere una collaborazione autentica tra settore pubblico ed economia sociale. Non si tratta semplicemente di mettere in comune risorse o strumenti, ma di costruire una visione condivisa dello sviluppo, orientata al benessere delle comunità e alla capacità di generare risposte complesse a bisogni altrettanto complessi. Esperienze come la redazione partecipata del Piano per l’Economia Sociale (PES) mostrano con chiarezza che, nel rispetto dei ruoli istituzionali e delle responsabilità reciproche, è possibile consolidare un’alleanza duratura tra amministrazioni pubbliche e mondo cooperativo. In Emilia-Romagna, questa sinergia ha radici profonde. Ha già prodotto risultati concreti, come nel caso dei servizi per l’infanzia a Bologna: grazie all’utilizzo dello strumento del project financing, sono stati realizzati asili nido che hanno migliorato la qualità dell’offerta educativa e, nello stesso tempo, inciso concretamente sull’aumento dell’occupazione femminile. Un esempio virtuoso di come si possano tenere insieme esigenze sociali e innovazione dei servizi, mettendo al centro le persone e il territorio. Tuttavia, il percorso non è privo di ostacoli. Permangono ancora resistenze culturali all’interno della pubblica amministrazione, dove il passaggio da una logica di mera esternalizzazione a una logica di partnership vera e propria fatica a radicarsi. La frammentazione normativa, l’assenza di linee guida chiare e uniformi a livello nazionale e la carenza di competenze specifiche per gestire processi di co-progettazione articolati sono fattori che rischiano di frenare questa evoluzione. A ciò si aggiunge la difficoltà di definire sistemi di valutazione condivisi, che siano in grado di misurare l’impatto reale delle azioni sulla comunità e di offrire così legittimazione politica e sociale ai processi partecipati. Nonostante queste criticità, in diversi contesti stanno emergendo pratiche promettenti. Sempre più spesso si sperimentano percorsi di formazione congiunta tra funzionari pubblici e operatori del sociale, utili a costruire un linguaggio comune e a condividere strumenti operativi. Nascono laboratori territoriali che accompagnano non solo la fase di progettazione ma anche quella di monitoraggio e adattamento degli interventi, interpretando il territorio come uno spazio di innovazione. L’adozione di patti di collaborazione e di nuove forme di governance partecipata dimostra che è possibile uscire da schemi rigidi per costruire modelli più agili e capaci di cogliere i bisogni emergenti. Alla base di tutto questo, però, c’è un elemento fondamentale: l’idea di comunità. Un’idea che non può essere imposta dall’alto, né costruita in solitudine. È qualcosa che si genera solo se esiste una visione condivisa, se le istituzioni e le realtà sociali si riconoscono come corresponsabili di un percorso comune. Le azioni complesse – quelle fatte di tanti passaggi, che mettono insieme competenze e prospettive diverse – sono proprio quelle che riescono a generare un cambiamento duraturo. E non lo fanno solo attraverso i risultati, ma anche attraverso il modo in cui vengono costruite. Il lavoro fatto con il PES va proprio in questa direzione: ha consentito di riconoscere nella cooperazione un soggetto che non si limita a erogare servizi, ma che è capace di abitare le sfide del presente, contribuendo alla costruzione di un’identità collettiva. Ha promosso una cultura della corresponsabilità in cui la pubblica amministrazione non si limita a gestire o delegare, ma si mette in gioco in prima persona. Ha dato concretezza al principio di sussidiarietà, trasformandolo da enunciato costituzionale a prassi viva, quotidiana, partecipata.

 

Dal punto di vista delle cooperative, come valutate il rapporto tra il modello italiano di economia sociale e le politiche europee? Ci sono criticità normative o culturali che ostacolano un pieno riconoscimento del vostro ruolo a livello europeo? Come sta cambiando lo scenario con l’avvicendamento politico interno alle istituzioni dell’Unione?

Emanuele Monaci: Il rapporto tra il modello italiano di economia sociale e le politiche europee sta vivendo una fase di crescente valorizzazione e riconoscimento reciproco. L’Unione Europea ha intrapreso iniziative significative, come il Piano d’Azione per l’Economia Sociale e la recente Raccomandazione del Consiglio del novembre 2023, che mirano a creare condizioni favorevoli per lo sviluppo dell’economia sociale in tutti gli Stati membri. Queste politiche hanno permesso alle diverse realtà dell’economia sociale europea di conoscersi e condividere esperienze, favorendo la costruzione di una rete di collaborazione transnazionale. In questo contesto, il modello cooperativo italiano, con la sua lunga tradizione e il suo radicamento territoriale, rappresenta un esempio virtuoso di economia che mette al centro le persone e il benessere delle comunità. Tuttavia, permangono alcune criticità che ostacolano un pieno riconoscimento del ruolo delle cooperative italiane a livello europeo. Tra queste, la mancanza di una definizione univoca di economia sociale nei trattati europei e la diversità delle normative nazionali che regolano il settore. Queste differenze possono creare incertezze e difficoltà nell’accesso ai finanziamenti e nella partecipazione alle politiche europee. L’avvicendamento politico all’interno delle istituzioni dell’Unione Europea rappresenta un’opportunità per rafforzare ulteriormente il sostegno all’economia sociale. È fondamentale che le nuove leadership riconoscano il valore delle cooperative e delle imprese sociali come strumenti efficaci per promuovere la coesione sociale, l’occupazione di qualità e lo sviluppo sostenibile. In questo scenario, è essenziale che l’Unione Europea continui a promuovere politiche che favoriscano l’economia sociale, sostenendo le imprese cooperative e riconoscendo il loro ruolo centrale nella costruzione di un’Europa più equa e solidale. Solo così sarà possibile contrastare le tendenze nazionaliste e rafforzare l’identità europea basata sui valori della cooperazione, della solidarietà e della partecipazione.

 

In un contesto in cui l’economia sociale acquista centralità, quale rapporto deve avere il mondo cooperativo con l’economia for profit?

Emanuele Monaci: Il rapporto tra il mondo cooperativo e l’economia for profit non è solo possibile, ma può rappresentare una leva strategica per lo sviluppo sostenibile dei territori. La cooperazione, forte della sua identità fondata su valori di mutualità, partecipazione e attenzione al benessere collettivo, è chiamata a dialogare con il mondo profit in modo complementare, senza rinunciare alla propria missione sociale. In Emilia-Romagna, questo dialogo si traduce in esperienze virtuose di collaborazione, dove le cooperative e le imprese for profit si uniscono in consorzi e reti per affrontare insieme le sfide del mercato e del territorio. Queste sinergie permettono di mettere a sistema competenze diverse, creando filiere produttive integrate che generano valore economico e sociale. Il meticciamento delle competenze tra cooperazione e imprese for profit favorisce l’innovazione, la competitività e la resilienza dei sistemi economici locali. Attraverso la condivisione di know-how, risorse e obiettivi, si possono sviluppare nuovi modelli di business capaci di coniugare efficienza economica e impatto sociale positivo. In questo contesto, la cooperazione mantiene la sua identità distintiva, fungendo da ponte tra economia e società, e contribuendo alla costruzione di un’economia più inclusiva e sostenibile. La sfida è quella di continuare a valorizzare queste collaborazioni, promuovendo una cultura imprenditoriale aperta al dialogo e alla co-creazione, per affrontare insieme le trasformazioni in atto e costruire un futuro più equo e solidale.

 

Guardando avanti, quali sono le priorità da mettere al centro dell’agenda per sostenere lo sviluppo dell’economia sociale e cooperativa?

Emanuele Monaci: Guardando avanti, ci si chiede quali siano le vere priorità da mettere al centro dell’agenda per sostenere e rilanciare lo sviluppo dell’economia sociale e cooperativa. “Abbiamo bisogno di un futuro che sappia parlare di speranza, non solo di emergenze”. Questa riflessione, raccolta da un cooperatore di AGCI Emilia-Romagna durante gli incontri che hanno accompagnato il percorso del Piano per l’Economia Sociale, racchiude con lucidità la sfida più urgente del nostro tempo: restituire fiducia e visione in un presente segnato da troppe incertezze. Per costruire questo futuro non bastano dichiarazioni d’intenti. Serve un impegno concreto delle istituzioni a riconoscere l’economia sociale come leva strategica per una crescita inclusiva, sostenibile e capace di generare coesione. Un primo passo fondamentale riguarda il rafforzamento del quadro normativo e istituzionale, affinché vengano pienamente riconosciute le specificità delle imprese sociali, delle cooperative, delle associazioni che animano i territori con azioni di prossimità e innovazione. Accanto a questo, diventa essenziale ampliare l’accesso a strumenti di finanziamento dedicati. Misure come le agevolazioni promosse dal MIMIT per sostenere la diffusione e il consolidamento dell’economia sociale rappresentano segnali importanti, ma non ancora sufficienti. È necessario lavorare per semplificare i percorsi, rendere accessibili le risorse anche alle realtà più piccole, accompagnare chi ogni giorno prova a costruire risposte nuove, spesso senza disporre delle strutture necessarie per affrontare da solo burocrazia e complessità amministrative. Non meno centrale è il tema delle competenze. Se vogliamo che la cooperazione sia davvero protagonista di un nuovo modello di sviluppo, dobbiamo investire in formazione. Formazione non solo tecnica, ma capace di integrare dimensioni gestionali, sociali, relazionali. Servono percorsi che aiutino le persone a interpretare i cambiamenti, a leggere i bisogni, a innovare i servizi e a costruire leadership cooperative capaci di guidare processi complessi. Allo stesso tempo, non possiamo rinunciare alla sfida dell’innovazione. Favorire la transizione digitale e l’adozione di strumenti tecnologici adeguati può amplificare l’impatto delle cooperative e renderle ancora più capaci di coinvolgere, dialogare, partecipare. La digitalizzazione non deve essere percepita come un fine in sé, ma come un mezzo per rafforzare i legami di comunità, migliorare la qualità dei servizi, valorizzare la partecipazione delle persone. Dare piena attuazione a questi indirizzi significa costruire un’agenda che guarda lontano, che sa tenere insieme concretezza e visione, e che riconosce nel protagonismo delle cooperative un patrimonio da cui ripartire per affrontare le trasformazioni in corso. Ancora una volta, tutto torna all’idea di comunità: una comunità che cresce se sa investire su se stessa, se sa rigenerarsi, se sa mettere al centro il valore della cooperazione come strumento moderno per costruire futuro.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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