Crisi a Cipro: la nave Eni, il gas e la Turchia
- 15 Febbraio 2018

Crisi a Cipro: la nave Eni, il gas e la Turchia

Scritto da Matteo Del Conte, Jacopo Scita

8 minuti di lettura

Reading Time: 8 minutes

L’8 febbraio 2018, Eni ha annunciato[1] tramite un comunicato stampa la scoperta di un nuovo giacimento di gas, raggiunto tramite la perforazione, insieme alla francese Total, del pozzo Calypso 1, situato nel blocco 6 della Zona Economica Esclusiva (ZEE) cipriota, nel Mediterraneo Orientale[2]. Eni è presente a Cipro a partire dal 2013 e detiene interessi in sei licenze (blocchi 2,3,6,8,9 e 11), regolarmente concesse dalla Repubblica di Cipro.

In linea con i diritti di sfruttamento goduti dalla multinazionale italiana, venerdì 9 febbraio la piattaforma di perforazione mobile Saipem 12000 ha cominciato il proprio viaggio verso il blocco 3 con lo scopo di avviare l’attività di ricerca. Tuttavia, a 27 miglia nautiche dal giacimento (circa 50km), la nave italiana è stata costretta a fermarsi sotto ordine della Marina Militare turca. Secondo Ankara, le attività di sfruttamento in quel quadrante marittimo costituirebbero una minaccia per Cipro e per la stessa Turchia, identificando la missione di Saipem 12000 come una provocazione politica e un’interferenza diretta nelle esercitazioni militari effettuate da Ankara a poca distanza dall’area di destinazione della piattaforma Eni. La situazione, a quasi una settimana dal blocco della Saipem 12000, rimane in una complessa fase di stallo[3].

A questo proposito è necessario cercare di approfondire e chiarire quanto più possibile gli aspetti giuridici e quelli politici entro i quali è venuta a crearsi quella che sta assumendo i tratti sempre più evidenti di una potenziale crisi diplomatica tra Turchia, Italia e Unione Europea.

 

Aspetti di Diritto Internazionale del caso Eni

Innanzitutto, come già detto in precedenza, Cipro ha regolarmente concesso ad Eni e ad altre compagnie internazionali le licenze di sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi presenti nella propria ZEE a sud dell’isola. Tale concessione non solo corrisponde ad una precisa volontà del governo cipriota, ma è anche conforme al piano di sviluppo economico di Nicosia, in cui è incluso un piano di investimento estero da parte delle più importanti compagnie petrolifere mondiali.

Dal punto di vista del Diritto Internazionale, la ZEE comprende la zona di mare adiacente le acque territoriali, al quale può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) afferma, all’articolo 56, che lo stato costiero è titolare di diritti esclusivi di sovranità in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse ittiche; ha inoltre giurisdizione in materia di installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture, nonché in materia di ricerca scientifica marina e protezione dell’ambiente, e può adottare leggi e regolamenti in molteplici settori (tra cui rientra il rilascio di licenze di sfruttamento di giacimenti di gas). A ciò si aggiunge quanto stabilito dall’articolo 58 della Convenzione di Montego Bay del 1982 in merito ai diritti e agli obblighi degli stati stranieri sulle Zone Economiche Esclusive. L’articolo in questione afferma che nella ZEE, tutti gli stati, sia costieri che privi di litorale, godono delle libertà di navigazione e di sorvolo, di posa in opera di condotte e cavi sottomarini, e di altri usi del mare, leciti in ambito internazionale, collegati con tale libertà, come quelli associati alle operazioni di navi, aeromobili, condotte e cavi sottomarini. Nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri obblighi nella ZEE straniera, gli stati tengono in debito conto i diritti e gli obblighi dello stato costiero conformemente alle disposizioni della Convenzione e delle altre norme del Diritto Internazionale.

Alla luce di ciò, considerato che la nave Saipem 12000 faceva rotta verso un’area di perforazione compresa nella ZEE cipriota e che Cipro è favorevole all’attività di sfruttamento straniero dei giacimenti presenti nella propria Zona, di cui Eni gode l’80% dei diritti, sembra chiaro che un eventuale caso giuridico sollevato da parte turca non può essere posto in essere. Qualche dubbio in più potrebbe emergere seguendo la linea sollevata da Ankara per cui l’attività dell’Eni andrebbe ad interferire con un’esercitazione militare turca. Tuttavia, la conclusione di tale esercitazione è prevista per il 22 febbraio -e dunque dopo questa data le resistenze turche cesserebbero di avere qualunque ragion d’essere. Inoltre, va ricordato che, nonostante i recenti sviluppi, la Turchia è parte della NATO e come tale muove le proprie forze militari in concerto con quelle degli altri membri dell’Alleanza e non in opposizione a questi.

In buona sostanza appare evidente che la partita si sta giocando sul lato politico. La percezione di una minaccia da parte della Turchia è da ricercarsi nel mindset dei suoi decisori politici e nel loro prisma attitudinale, influenzato da ragioni storiche di conflitto, in primis tra Turchia e Occidente e poi tra Ankara e Nicosia.

 

I diversi fronti di una situazione politica complessa

Come detto, quindi, l’azione posta in essere dal governo turco nei confronti della nave Saipem 12000 ha motivazioni che rientrano nella sfera degli interessi e della simbologia politica. La missione di perforazione di Eni si è trovata al crocevia di almeno tre linee di tensione geopolitica che vedono nella Turchia un protagonista sempre più indipendente e aggressivo, adottando quella che Vittorio da Rold[4] definisce, sul Sole 24 Ore del 14 febbraio, una politica estera dei «molti problemi con tutti i vicini»[5]. Il nodo che incastra la piattaforma Saipem è formato dal nazionalismo spettacolarizzato di Erdogan, dalla complessa disputa su Cipro e da fondamentali questioni di sicurezza energetica.

Recep Tayyip Erdogan governa la Turchia dal 2003, anno in cui, con l’elezione a Primo Ministro, si è posto alla guida di un percorso politico e culturale ormai sempre più evidente e radicale. Sul fronte domestico la linea dell’AKP, il partito di Erdogan, è quella di una progressiva de-laicizzazione della nazione, unita ad una crescente monopolizzazione dei mezzi di comunicazione e del dibattito pubblico. Sul fronte della politica estera, invece, Erdogan sembra essere vittima di quella Sindrome di Sévres -il timore per lo smembramento della nazione turca, come avvenuto con gli Accordi di Sévres del 1920- mai sopita all’interno dei circoli politici di Ankara. La politica estera di Erdogan è sempre più nazionalista e indipendente, e dunque sempre meno legata ai vincoli stabiliti dalla partecipazione alla NATO e alla vicinanza geografica con l’Europa. Lucio Caracciolo[6], su Repubblica del 14 febbraio, legge proprio in questa distanza sempre più evidente dalla politica europea la conferma di un errore interpretativo commesso da quella classe politica che voleva iniziare il processo di integrazione di Ankara nella UE: la Turchia immaginata -e costruita- da Erdogan è fortemente e spettacolarmente nazionalista, dimostrandosi decisa alla difesa dei propri interessi politici e territoriali, piuttosto che alla creazione e alla partecipazione in strutture sovrannazionali. Una proiezione diversa, quindi, rispetto ad un neo-ottomanesimo aggressivo ma per questo non meno complessa dal punto di vista geopolitico: la guerra civile siriana, la questione curda, il rispetto dei diritti umani, i flirt con la Russia e l’Iran nello scacchiere mediorientale e la gestione dei flussi migratori sono, insieme a tanti altri, rebus che creano frizioni tra Ankara e gli stati occidentali, come dimostrano la freddezza e i toni poco concilianti con cui Erdogan è stato accolto nel suo recente viaggio in Italia. In buona sostanza, il blocco della nave Saipem si inserisce in un filone avviato da Erdogan, che è quello di un nazionalismo “narcisista” e di un rinnovato attivismo nella ricercata sfera d’influenza.

Nel clima di generale diffidenza e tensione che vige tra la Turchia e l’Occidente vi è poi un caso specifico, ormai storicamente sedimentato, che riguarda direttamente le operazioni Eni a Cipro. L’isola cipriota, o meglio la sua parte nord, è stata infatti invasa militarmente dalla Turchia nel 1974, a seguito di un colpo di stato militare che aveva deposto il governo allora in carica in favore dell’installazione di un nuovo esecutivo fedele al regime dei colonnelli che all’epoca governava la Grecia. La Turchia intervenne militarmente a Cipro occupando la zona nord dell’isola e formando, nel 1983, la cosiddetta Repubblica Turca di Cipro Nord, uno stato auto-proclamato e tutt’ora non riconosciuto dalla comunità internazionale. Cipro, dunque, è al centro di uno scontro a bassa intensità tra la Turchia e la Grecia -e per estensione l’Unione Europea- in cui il nazionalismo turco e la difesa della minoranza turcofona residente sull’isola si mischiano gli interessi economici ed energetici di Ankara. Come ha ben descritto Umberto De Giovannangeli[7] sull’Huffington Post, Erdogan ha ricentralizzato la questione cipriota con lo scopo di rivendicare la gestione condivisa dei giacimenti di idrocarburi tra la Repubblica di Cipro, lo Stato regolarmente riconosciuto e membro dell’UE, e Cipro Nord, ben conscio della quantità di risorse presente nel quadrante orientale del Mediterraneo. Data la mancanza di riconoscimento internazionale della Repubblica Turca di Cipro Nord, le richieste di Ankara risultano scarsamente rilevanti dal punto di vista giuridico, assumendo una dimensione eminentemente politica che va a risolversi in azioni di disturbo e pressione diplomatica come quella attuata dalla Marina turca nei confronti della piattaforma Saipem 12000.

Di nuovo, le azioni turche, seppur apparentemente figlie di un avventurismo politico, sono inserite in una strategia ben tratteggiata, tra cui spicca il raggiungimento dell’agognata indipendenza energetica e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento[8]. Da sola, la Turchia riesce a soddisfare solo il 26% della domanda di energia nazionale. Per questo motivo, il paese è un importare netto di gas e petrolio. Attualmente la Russia e l’Iran sono i principali fornitori di gas naturale, con rispettivamente il 53% e il 17% delle importazioni totali[9]. Mentre per il petrolio, i principali partner commerciali di Ankara sono l’Iraq (45.5%) e l’Iran (22,3%), con la Russia che si attesta al 12% circa. Ciò considerato, i giacimenti del Mediterraneo Orientale sarebbero una posta molto importante ai fini della sicurezza energetica turca, ma bisogna considerare il gioco politico in cui sono inseriti. In aggiunta, bisogna ricordare che la Turchia è uno snodo strategico per ciò che riguarda il passaggio delle pipeline che legano i paesi produttori di Medio Oriente e Caucaso da una parte, col territorio europeo dall’altra. Solo sul suo territorio passano attualmente la South Caucasus Pipeline (SCP), la Baku-Tbilisi-Erzurum Natural Gas Pipeline (BTE), la Turkey-Greece Interconnector (ITG)[10]. Per la Repubblica turca, il ruolo di snodo è fondamentale anche per avere a disposizione una carta diplomatica da giocare nei confronti dei Paesi dell’Unione Europea.

 

Conclusioni

La vicenda della Saipem 12000 non sembra di facile risoluzione, soprattutto in rapporto ai difficili equilibri che si incrociano nel Mediterraneo e che impegnano in un articolato e talvolta opaco balletto gli interessi turchi, italiani ed europei. Ankara mostra i muscoli in Medio Oriente e nel Mediterraneo, consapevole di una posizione di forza ottenuta grazie ad un membership NATO che, seppur scricchiolante, rappresenta una garanzia minima ma solida contro azioni dirette da parte dell’Occidente.

Allo stesso tempo, però, Erdogan pare incapace di diversificare la propria strategia, indirizzandola verso una gestione meno spettacolarizzata e violenta delle scelte di politica estera. Strategie così spregiudicate -e come nel caso del blocco della piattaforma italiana sostanzialmente contrarie al Diritto Internazionale- possono ripagare nel breve periodo ma diventano di difficile sostenibilità in un orizzonte temporale più ampio.

Per l’Italia, invece, questa vicenda dovrebbe essere l’occasione per ricompattare e investire risorse in un’azione diplomatica decisa ed intelligente. Eni è certamente un attore di primaria importanza nel mercato globale degli idrocarburi e questo aumenta il potere negoziale italiano; potere negoziale nei confronti della Turchia che poggia su importanti rapporti economici e industriali tra Ankara e Roma.

In buona sostanza la risoluzione di questa vicenda appare vincolata alla buona riuscita delle negoziazioni tra le cancellerie e la capacità italiana di capitalizzare nel migliore dei modi il sostegno dell’Unione Europea, la quale, sia direttamente che tramite le compagnie di estrazione dei paesi membri (Total), ha tutto l’interesse di tutelare la sovranità e i diritti acquisiti regolarmente dai propri stati membri.


[1] https://www.eni.com/it_IT/media/2018/02/eni-annuncia-una-scoperta-a-gas-nelloffshore-di-cipro

[2] Si tratta di giacimenti in continuità geografica con il sito di Zohr, antistante le coste egiziane a 190km da Port Said. Il sito di Zohr, scoperto nel 2015 e avviato allo sfruttamento a metà 2017, è il più grande scoperto dall’Eni.

[3]https://www.agi.it/estero/la_turchia_blocca_ancora_la_nave_eni_una_prova_di_forza_di_ankara_-3482431/news/2018-02-13/

[4] Da Rold, V. “Se Ankara fa terra bruciata intorno a sé”, Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2018.

[5] Formula in antitesi con l’originaria “zero problemi con i vicini”, concetto enunciato da Ahmet Davutoglu nella sua opera “Profondità Strategica” del 2001, politologo e consigliere della politica estera di Erdogan. Ministro degli Esteri dal 2009 al 2014 e poi Primo Ministro fino al maggio 2016.

[6] Caracciolo, L. “Il Grande Gioco del Gas”, La Repubblica, 14 febbraio 2018.

[7]http://www.huffingtonpost.it/2018/02/12/turchia-italia-sulleni-si-rischia-la-crisi-diplomatica-di-u-de-giovannangeli_a_23359479/

[8] Strategia riassunta nella pagina web del Ministro degli Esteri Turco, link: http://www.mfa.gov.tr/turkeys-energy-strategy.en.mfa

[9] Dati aggiornati al 2016, tratti dall’EMRA.

[10] Carta di Laura Canali che mostra lo snodo energetico turco, link: http://www.limesonline.com/lo-snodo-energetico-turco-4/95163 . Attualmente sono in cantiere altri due progetti, il (Trans Anatolian Pipeline) TANAP che trasporterà il gas dai giacimenti di Shah Deniz in Azerbaijan fino all’Europa centrale, a cui verrà aggiunta la tratta del Trans Adriatic Pipeline (TAP), che dalla diramazione sud del TANAP farà transitare il gas verso l’Italia, a Melendugno (Lecce).

Scritto da
Matteo Del Conte

Nato ad Ancona nel 1992. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna. Si occupa di Politica e Sicurezza Internazionale, con un taglio multidisciplinare che spazia dalla filosofia alla sociologia agli Studi Strategici, con particolare riferimento ai problemi dell’uso della forza, della sicurezza e dei diritti umani.

Scritto da
Jacopo Scita

Classe 1994. PhD candidate in Government and International Affairs alla Durham University. Le sue ricerche si concentrano principalmente sulla politica estera iraniana, il Golfo Persico e la questione nucleare in Medio Oriente.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici