Scritto da Gabriele Giudici
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Il tema dell’innovazione emerge con sempre maggiore frequenza all’interno del dibattito pubblico e permea una molteplicità di settori che vanno dai meccanismi di produzione del valore alle forme della rappresentanza politica, arrivando al welfare e al mondo della cultura. Nelle prossime pagine proveremo dunque a discutere il paradigma dell’innovazione culturale mettendolo in relazione ad uno dei fattori che più ne influenza l’evoluzione e la diffusione, ovvero: lo spazio urbano.
Volendo poi fornire una certa concretezza alle riflessioni che di seguito verranno proposte, si intende utilizzare il caso della città di Milano in quanto esempio di come lo sviluppo di diverse tipologie di spazi urbani, unito ad un’attenta amministrazione cittadina e ad un tessuto economico-produttivo fortemente dinamico, abbiano segnato in maniera profonda il volto della città. La dimensione più specificatamente culturale può così diventare anche un’interessante punto d’osservazione per discutere in maniera critica l’evoluzione dell’intera comunità urbana e ricercare quelle ambiguità o contraddizioni insite in un processo di trasformazione tanto profondo come quello che ci si accinge a presentare.
Per prima cosa è bene definire cosa si intenda per “innovazione culturale” e, più in generale, per innovazione. Per alcuni filosofi come Martha Nussbaum[1] l’innovazione è la capacità di elaborare emozioni conflittuali, come rabbia e rancore, nei confronti dell’ordine delle consapevolezze attuali; per altri pensatori innovazione significa radicamento di convinzioni profonde volte a liberarsi dalla mancanza di punti fermi. Per come la si possa pensare sul processo tramite il quale si sviluppa l’innovazione, essa è sinonimo di cambiamento critico, dettato tanto da un rifiuto dell’ordine attuale quanto da una sua rivisitazione improntata alla sintesi.
Da qui possiamo definire “culturale” lo sviluppo di nuove forme di pensiero, dettate da un dato cambiamento sociale. Questi cambiamenti modificano la filosofia, l’arte e la scienza, ovvero i pilastri identificativi e culturali di una società; aumentando la loro diffusione queste impostazioni di pensiero diventano impostazioni metodologiche, si convertono in prassi e finiscono per permeare una molteplicità di gruppi e ambienti dando così vita a quello che si usa definire come un “nuovo paradigma”, cioè un modo diverso di ricombinare gli elementi che già si possiedono o di inserirne di differenti all’interno di un ecosistema sociale tradizionale.
Rispetto alle modalità attraverso cui questo nuovo paradigma dell’innovazione culturale entri nella dimensione urbana, innescando anche qui processi considerati innovativi, molto utile risulta essere il testo di Ilaria Giuliani intitolato La città culturale: spazi, cultura e lavoro a Milano, dove l’autrice apre la ricerca affermando in maniera molto chiara come: «L’innovazione culturale può essere considerata molto più come fenomeno urbano che come un’evoluzione pura del tessuto culturale di per sé. In quanto tale, essa va analizzata nelle sue relazioni con le dinamiche della società e del contesto locale, in termini di politiche urbane, di rigenerazione urbana, di nuove figure lavorative e professionali, ovvero in quanto tasselli di un più ampio processo, appunto, urbano»[2].
L’assunto di partenza deve così essere riconosciuto nel fatto che parlare di innovazione, e nello specifico di innovazione culturale, significhi parlare di un fenomeno altamente articolato che intreccia elementi spaziali, economici, politici, abitativi, civili, ma soprattutto riguarda un fenomeno di lungo periodo che possiede sia radici profonde che collegamenti contemporanei. Questo dovrebbe fornire una ragione ulteriore per la scelta di dedicare così tanta attenzione a Milano, una delle poche realtà italiane nella quale tutti questi aspetti assumono una configurazione tale da renderla un vero e proprio caso studio di interesse internazionale.
Guardando anche alla storia delle città, è innegabile che i cambiamenti urbanistici e architettonici appaiano da sempre legati ad un cambiamento di prassi, costumi e cultura di carattere prettamente cittadino. Città medioevali ristrette, caotiche, compatte, si discostano dalle città di stampo rinascimentale di pochi secoli dopo, come queste si scostano da quelle settecentesche e così via[3].
È altrettanto vero però che ci sono momenti in cui il fermento culturale diventa visibilmente più marcato, tanto da segnare il passo e il cambiamento non solo della città ma di tutto il territorio circostante, arrivando ad influenzare anche vaste comunità o intere culture nazionali, come la Firenze rinascimentale o la Parigi della Belle Époque.
L’aspetto economico costituisce poi un altro dei fattori di maggiore spinta alla trasformazione sia urbana che culturale[4]: così come l’aumento dei traffici commerciali e bancari europei, a partire dall’XI secolo, fecero la fortuna dei piccoli centri signorili italiani, allo stesso modo un cambio di regia economica porta a inevitabili conseguenze nelle città odierne.
Sotto questo aspetto Milano, come rimarca ancora Ilaria Giuliani, ha costruito la sua fortuna grazie anche ad un solido substrato di artigianato e design, storicamente affermatosi a partire dagli anni Cinquanta, che ha proiettato la città stessa nel fiorente settore della moda e del design internazionale.
Ma ciò non basta a spiegare la fortuna della città, né l’emergere di quella grande molteplicità di sperimentazioni culturali che le forniscono oggi un ulteriore tratto distintivo; le cause sono più profonde e vanno ricercate in dinamiche di carattere europeo e internazionale.
Il focus della questione perciò resta: quali fattori scatenanti si pongono al centro di questa marcata rivitalizzazione? Questo fenomeno prevalentemente urbano come modifica la città e con essa la società? Per rispondere bisogna adottare una prospettiva che guarda a processi più ampi e articolati che oltrepassano la dimensione cittadina intrecciandosi a dinamiche di lungo corso e di portata societaria, relativi all’evoluzione del sistema di produzione, ai cambiamenti interni all’industria culturale e alle trasformazioni che interessano le forme di governance locali.
Tale consapevolezza permette sia di criticare le posizioni assolutistiche di esaltazione di certe progettualità culturali “innovative”, le quali fanno dell’innovazione una semplice maschera per nascondere processi di produzione di valore che replicano le logiche dominanti dell’economia di mercato, sia di analizzare i risvolti positivi che questo fenomeno culturale ha introdotto e nel quale ha coinvolto molti altri soggetti pubblici, privati e cittadini.
L’insieme dei processi appena accennati acquistano forme del tutto peculiari nel materializzarsi all’interno delle fitta rete di relazioni che intrecciano spazi urbani e progettualità culturali, in particolare viene assegnato grande valore e rilevanza in termini socio-economici alla classe dei cosiddetti “creativi” o cultural innovators, tanto cari a Richard Florida[5] e per un periodo simbolo di una presunta imminente rivoluzione che avrebbe fatto della creatività il principale strumento di emancipazione. Inoltre si deve prendere in considerazione anche la presenza di determinate visioni politiche relative all’amministrazione cittadina, che possono o costituire fattori di sviluppo e incentivo di tali processualità creativo-culturali, o porsi invece come forza frenante e disinteressata verso esse.
La sfida che emerge richiede dunque una riformulazione, in quanto il punto non è tanto lo schieramento a favore o contro il “paradigma dell’innovazione culturale”, piuttosto è il chiedersi come la politica, in primis nella sua dimensione locale, può inserirsi in questi nuovi percorsi di innovazione culturale fornendone allo stesso tempo un supporto e una guida. In questo modo, l’entità amministrativa cittadina deve diventare quel soggetto, proprio perché politico, in grado di osservare e intervenire su quanto viene a crearsi nel tessuto urbano. Solo l’amministrazione è potenzialmente in grado di incanalare le trasformazioni in un sentiero culturale specifico, accogliendo le nuove sensibilità artistiche e architettoniche, arrivando a progetti di rigenerazione urbana di pregio, che tramutandosi in poli attrattivi possano fornire una nuova identità culturale e comunitaria del quartiere e della città.
Proprio qui emerge un ulteriore aspetto critico che è possibile individuare nel complesso problema che riguarda la disuguaglianza che si viene a creare tra città e periferie: se la rivitalizzazione culturale deriva tanto dalla concentrazione di persone e mezzi, quanto dalla possibilità concreta di investimenti e coordinamenti pubblici, è facile osservare come le realtà più piccole e marginali siano automaticamente tagliate fuori, il che spiega come anche sul piano economico ciò abbia portato ad una crescita esponenziale della Città di Milano, con un ritmo quasi doppio se paragonata alla media dell’economia nazionale[6].
Di riflesso, tutto ciò può essere una buona chiave di lettura per spiegare i recenti mutamenti nella società e nella città di Milano: i grandi progetti di riqualificazione urbana sono sì dettati da un’economia in moto, ma l’arte, la progettazione urbana, l’architettura sono più che mai espressione di una società in costante trasformazione, derivanti dalla cultura del luogo e del momento.
La ricerca di una estetica nuova, di una qualità della vita migliore, che metta al centro la persona e la vivibilità dei luoghi e della città per essere anche stimolo di un’ulteriore e ritrovata vitalità, sono l’aspetto concreto e pratico nel quale una nuova fase del capitale muta la città nella parte concreta (edifici) e sociale (qualità della vita e sensibilità differente).
Il ritrovato dinamismo economico che ha proiettato Milano, più che altre parti della Regione e del territorio nazionale, fuori dalla crisi economica; il movimento culturale che ha investito e trasformato la città con opere urbanistiche di grande portata[7] (La riqualificazione della Darsena, la zona di Piazza Gae Aulenti, il quartiere di Citylife, Portello, i progetti in corso sugli scali ferroviari e gli studi sulla riapertura dei Navigli solo per citarne alcuni), sono perciò dettati da una molteplicità di fattori di scala globale, oltre a un certo substrato fertile valorizzato da istituzioni che hanno agevolato la spinta cittadina, sfruttando anche le opportunità legate a un grande evento come Expo, riqualificando intere parti di città e attraendo la creatività del mercato.
In quanto esempio strettamente legato alla fase di fermento culturale che dall’inizio del decennio ha caratterizzato la città, contribuendo a portare la cultura in luoghi non tradizionali e più informali, vi è sicuramente l’esperienza di BASE, che nasce proprio da un fenomeno di innovazione culturale-sociale, ossia come risposta istituzionale all’occupazione della Torre Galfa da parte di Macao nel 2012.
Questa scintilla fa innescare da parte dell’Amministrazione cittadina un processo di trasformazione degli spazi ex-Ansaldo per dare un luogo a tutti i diversi settori della cultura milanese, e inserendovi luoghi per laboratori e co-working: producendo spazi ibridi, facendo impresa, portando crescita.
Questo progetto che ha modificato una parte importante di città, anche dal punto di vista della produzione culturale, ha portato ad una modifica delle manifestazioni culturali e commerciali, che hanno dato il via ad un susseguirsi di progetti urbani e architettonici che hanno portato alla valorizzazione della zona di Tortona, migliorandone lo spazio urbano oltre all’offerta dei servizi. Ecco quindi come un processo di innovazione culturale sui generis, abbia condotto ad uno sviluppo urbano considerevole che ha cambiato volto ad un intero quartiere.
C’è però da chiedersi, in maniera più approfondita, cosa questi processi che hanno rivitalizzato economicamente e culturalmente Milano abbiano portato alla popolazione, in termini di miglioramento della coesione ed equità sociale.
Se è vero che l’innovazione culturale trova le cause della sua crescita nel capitale e nelle città, è altrettanto vero che essa porta a dei risvolti economici che non possono essere relativi alla mera produzione di beni, poiché la cultura è parte attiva e non passiva di un’innovazione economica.
Come afferma Emanuele Braga in Rivista Macao: «nel passato, tutti i movimenti artistici e culturali, propriamente intesi, si sono sviluppati a partire da un sentimento sovversivo, perché ogni cosa, ogni volontà di rottura, nasce da un desiderio a sua volta figlio di un’esigenza. Ed è proprio questo il centro della questione che ci permette di dirimere l’ambivalenza sulla positività o meno dell’innovazione culturale a Milano, ovvero la consapevolezza che elementi propri della produzione artistica si siano trasformati in forme di organizzazione del capitale, motivo per il quale ciò che l’arte in questo momento deve sovvertire è la forma del valore»[8]. Pur essendo l’innovazione culturale-cognitiva della nuova rivoluzione industriale legata a dettami economici, volti all’estrazione di valore dai processi di produzione; la cultura, per sua stessa natura, poiché mai neutrale, tende a sovvertire l’ordine della precarietà per ristabilire il suo ruolo storico.
In questo processo, considerando che l’innovazione culturale stessa è parte integrante del sistema economico e urbano (e non solo un semplice corollario), essa porta ad una consapevolezza maggiore e più trasversale delle condizioni sociali, arrivando ad una risposta che si sviluppa trasversalmente anche in ambito di elaborazione politica.
In altre parole la cultura, intesa come rivoluzione sociale ed economica del nostro tempo, non è limitata, all’interno di questa fase economica, alla sola creazione di valore. Essa si pone invece come produzione critica del sistema stesso in cui è inserita, producendo elaborazione politica, la quale deve essere necessariamente raccolta dalle istituzioni cittadine, per evitare a tali progettualità culturali di ricadere nel vortice del capitale e del precariato cognitivo, cercando di resistere restando all’interno del sistema.
Il trait d’union dello scontro, la soluzione dell’ambivalenza, è quindi individuata nella ricostruzione di un ponte tra processi culturali e politica, dove essa deve saper raccogliere le esperienze culturali di sovversione, creando un terreno fertile per una proposta culturale che passa dalla politica e dalla cittadinanza, cercando di risolvere i problemi del precariato sociale, culturale ed economico.
Come è avvenuto con BASE, la stessa cittadinanza si sviluppa a partire da un’esigenza manifestata che porta le istituzioni ad adeguare il proprio agire per dare risposte a questi bisogni, modificando così il proprio indirizzo politico complessivo a favore di una determinata situazione, agendo, di conseguenza, tramite la modifica della città fisica.
[1] Martha Nussbaum, Not for Profit. Why Democracy Needs the Humanities, 2010
[2] Ilaria Giuliani, La città culturale: spazi, cultura e lavoro a Milano, 2018
[3] Silvia Malcovati, Michele Caja, Martina Landsberger, Tipologia architettonica e morfologia urbana, 2012
[4] Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro, 2014
[5] Richard Florida The Rise of the Creative Class, 2002
[6] www.istat.it
[7] Antonella Bruzzese e Luca Tamini, Servizi commerciali e produzioni creative. Sei itinerari nella Milano che cambia, 2014
[8] Emanuele Braga, Il futuro e il suo doppio, Rivista Macao, www.macaomilano.org