Digitale e cooperazione: il caso del territorio bolognese. Intervista a Rita Ghedini
- 04 Dicembre 2025

Digitale e cooperazione: il caso del territorio bolognese. Intervista a Rita Ghedini

Scritto da Giacomo Bottos

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La trasformazione digitale sta imponendo nuove riflessioni e sfide normative e organizzative anche al settore cooperativo, dove partecipazione e sostenibilità sono valori fondamentali. Con la crescente integrazione che riguarda anche soluzioni di intelligenza artificiale, il mondo della cooperazione è sempre più chiamato ad applicare il proprio approccio distintivo.

Con Rita Ghedini, Presidente di Legacoop Bologna, abbiamo parlato dell’impatto delle innovazioni in numerosi settori e di come la cooperazione sta promuovendo riflessioni e progetti per governare questi cambiamenti in modo democratico e inclusivo.


Nel territorio bolognese, con una lunga tradizione e un’elevata presenza di imprese cooperative a carattere innovativo, quando è iniziata la riflessione sul digitale? Da un punto di vista storico, qual è stato l’approccio di Legacoop Bologna rispetto al rapporto tra digitale e cooperazione?

Rita Ghedini: Definire l’inizio del processo di digitalizzazione è piuttosto difficile, perché, se volessimo fare un’analisi storico-filologica, dovremmo tornare indietro di diversi decenni. Tuttavia, per offrire un riferimento temporale più concreto, possiamo collocarci nel quinquennio precedente alla pandemia da Covid-19, quindi nella seconda metà degli anni Dieci di questo secolo. In quel periodo, sia a livello nazionale che territoriale, uscivamo dalla crisi finanziaria del 2007-2008 e il mondo cooperativo affrontava le conseguenze più gravi nel settore dell’edilizia e nelle filiere ad essa collegate. È in quel contesto che ha iniziato a emergere una riflessione sul digitale, spinta da cambiamenti nelle procedure operative di alcune attività imprenditoriali e dai tentativi di rilanciare strategicamente interi comparti. Nel settore delle costruzioni abbiamo assistito all’introduzione e al rafforzamento di tecnologie digitali già esistenti, che hanno permesso di ripensare l’approccio alla progettazione e allo sviluppo. Penso, ad esempio, all’utilizzo sempre più strutturato di strumenti come i sistemi di progettazione digitale, già presenti da diversi decenni nel campo della progettazione architettonica e industriale. Il cambiamento significativo, però, non è stato tanto nell’uso di questi strumenti, quanto nel passaggio dalla progettazione digitale alla gestione digitale dei progetti lungo tutto il ciclo di vita delle infrastrutture e degli immobili. La trasformazione ha coinvolto non solo i processi produttivi, ma anche le modalità di relazione con i committenti e con tutta la filiera. Questo ha comportato un’importante evoluzione anche nelle interfacce tra pubblico e privato.

 

Questa evoluzione ha interessato solo il settore delle costruzioni o anche altri ambiti produttivi cooperativi?

Rita Ghedini: Un’evoluzione analoga si è verificata nella manifattura, dove si è consolidato l’uso di strumenti digitali per la progettazione, la gestione della produzione e la manutenzione predittiva, che erano già presenti alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila. Si è passati all’utilizzo di software capaci di governare l’evoluzione dei processi, arrivando a integrare in modo sempre più profondo progettazione, produzione e previsione. Un altro ambito in cui il digitale ha avuto un impatto rilevante è stato quello agroalimentare, spesso considerato esterno a queste dinamiche, ma in realtà profondamente coinvolto, in relazione all’evoluzione tecnologica a supporto delle ottimizzazioni produttive e per affrontare il cambiamento climatico. Gli agricoltori hanno iniziato a registrare fitopatologie legate alla globalizzazione dei mercati e alla crescente mobilità delle merci, e questo ha portato a un’evoluzione anche nel loro approccio alla tecnologia. Negli ultimi decenni, con l’introduzione dell’agricoltura di precisione, il settore ha iniziato a utilizzare nuove tecnologie per migliorare la produttività: macchine dotate di sistemi di guida digitale, sensori IoT, raccolta e analisi di dati direttamente dalle macchine agricole e dal campo. Questi dati non servivano soltanto a migliorare la programmazione agricola, ma hanno cominciato a essere utilizzati per fare predizione, ovvero anticipare fenomeni e prendere decisioni più rapide e informate. In tutti e tre i settori che ho citato – costruzioni, manifattura e agroalimentare – si è verificato quindi un passaggio fondamentale verso il governo dei dati. I dati, che prima servivano per la programmazione, ora sono alla base della predizione e della trasformazione dei processi. Grazie all’evoluzione dei sistemi di elaborazione è stato possibile un salto enorme dal tecnologico al digitale in senso pieno.

 

L’evoluzione digitale che ha descritto si colloca nel periodo immediatamente precedente alla pandemia. In che modo la crisi del Covid ha influito su questa riflessione e sui percorsi che stavate avviando?

Rita Ghedini: La pandemia – come abbiamo detto molte volte, per motivi diversi – è stata percepita come uno spartiacque. Ma se guardiamo ai processi con attenzione, ci rendiamo conto che sono processi in continuità, che però compiono dei salti, spinti soprattutto dall’andamento esponenziale delle capacità di elaborazione dei big data da parte delle grandi infrastrutture tecnologiche. Durante il Covid, per noi è iniziato un percorso di riflessione molto importante, che in realtà affonda le radici già nel 2019. È in quell’anno che, su sollecitazione di Patrizio Bianchi – all’epoca Assessore della Regione Emilia-Romagna e Presidente dell’Associazione Big Data – abbiamo cominciato a ragionare su possibili interazioni tra il mondo cooperativo del nostro territorio e ciò che si stava sviluppando a livello scientifico e tecnologico attorno al progetto del Tecnopolo. L’Associazione Big Data riuniva allora 16 università a livello globale, e l’obiettivo era duplice: da un lato costruire grandi reti internazionali di ricerca capaci di approfondire gli sviluppi dell’era digitale e le loro implicazioni per l’impresa; dall’altro, avviare una riflessione concreta sul rapporto tra big data, intelligenza artificiale e innovazione d’impresa, che proprio in quella fase si stava configurando come asse centrale dello sviluppo del Tecnopolo. Patrizio Bianchi, oltre al ruolo istituzionale in Regione, aveva anche un profilo accademico e un ruolo di coordinamento scientifico che ha dato forza a questa prospettiva. 

Quella riflessione si è intensificata anche per effetto diretto dell’impatto che il digitale ha avuto sulla vita quotidiana e lavorativa delle persone. Il Covid ha imposto un’accelerazione tecnologica, cognitiva e organizzativa, che ci ha spinti a consolidare il nostro impegno, concretizzato nell’adesione, nell’autunno del 2022, alla Fondazione IFAB, di cui siamo stati tra i primi soci. La decisione di entrare in questo organismo nasceva da un’intuizione, più che da un progetto definito nei dettagli. Da un lato, l’idea che lo sviluppo del Tecnopolo e delle infrastrutture digitali potesse produrre ricadute positive sul piano strategico per le nostre imprese. Nei primi due anni, si parlava quasi esclusivamente di dati; solo successivamente è emersa con forza anche la questione dell’intelligenza artificiale. Dall’altro lato, c’era la convinzione che un modello d’impresa come quello cooperativo, democratico e partecipativo, non potesse restare ai margini di questa evoluzione. Al contrario, doveva interrogarsi su come tradurre in chiave cooperativa l’uso e il governo dei dati, tenendo insieme le due anime che sono costitutive della cooperazione: la finalità economica e quella sociale.

 

Rispetto alla vostra partecipazione e all’ingresso in IFAB, quali sono stati i progetti sviluppati successivamente? Su cosa avete lavorato – e state lavorando – all’interno di questa cornice?

Rita Ghedini: Dunque, va premesso che sia noi che le nostre cooperative associate abbiamo impiegato almeno un anno e mezzo per orientarci davvero, cioè per capire come tradurre concretamente le potenzialità offerte da IFAB in progetti, anche sperimentali, ma comunque operativi e realizzabili. Le difficoltà iniziali erano diverse: culturali, organizzative e anche pratiche. Ad esempio, uno degli ostacoli più grandi è stato, e continua a essere, la carenza di basi dati strutturate e qualificate, che sono il prerequisito per l’avvio di qualsiasi progetto serio, soprattutto in ambito di ricerca o sperimentazione. Nel confronto con le altre imprese presenti nel board, è emerso chiaramente che i due grandi ostacoli sono: da un lato, l’ostacolo cognitivo, cioè l’acquisizione della consapevolezza che questa dimensione digitale è reale, urgente e va integrata attivamente nei processi; dall’altro, formativo, ma non nel senso di formazione tecnica su singole tecnologie, bensì come formazione legata alla comprensione del mutamento profondo delle categorie mentali, organizzative e cooperative, a livello sia individuale che collettivo. Non è stato semplice. Per fortuna o, meglio, per l’intuizione lungimirante in particolare di un collega, Piero Ingrosso, attualmente presidente della Fondazione Pico, il Digital Innovation Hub di Legacoop Nazionale, avevamo già avuto una sorta di “palestra”, sviluppatasi parallelamente a questa riflessione, anche se era partita un po’ prima.

 

Qual è stato il primo contesto in cui avete cominciato a sperimentare concretamente un approccio alla trasformazione digitale?

Rita Ghedini: È stato un contesto apparentemente lontano dalle dinamiche tecnologiche, ma in realtà molto sensibile, ovvero l’ambito educativo, che è uno dei settori in cui operano molte cooperative sociali. Alcune di queste sono state tra le prime realtà a porsi il problema di come affrontare il digitale nelle scuole e nei servizi rivolti a bambini e ragazzi. Hanno compreso molto presto che non era possibile adottare un approccio di rifiuto, né tantomeno censorio o punitivo, ma che bisognava lavorare su una pedagogia dell’interazione con il digitale. Abbiamo così co-progettato, insieme al Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, un corso per educatori di due cooperative sociali – Open Group e Cadiai – sull’educazione al digitale. Era nato come un corso sperimentale, rivolto a 25 educatrici e educatori, ed è poi diventato un corso di alta formazione. 

Entrati in IFAB, abbiamo cominciato a ragionare su come sviluppare progettualità più ampie, partendo da un’esigenza molto concreta: ogni operatore cooperativo – nei vari settori – si deve confrontare con una grande quantità di dati, ma senza formazione pragmatica e senza banche dati strutturate, è difficile fare il salto verso la valorizzazione. Abbiamo quindi lavorato sulla qualità delle basi informative, per poter avviare progetti che usufruiscano delle grandi capacità computazionali oggi disponibili. Attraverso questo percorso, noi e le cooperative associate abbiamo imparato ad approcciare la qualificazione dei dati, delle basi informative, capendo come si organizzano e come si possono utilizzare. Da lì abbiamo iniziato a sviluppare progetti nei quattro ambiti dove la trasformazione era già in corso o più matura: il sociale, l’agroalimentare, la manifattura e, più recentemente, la logistica e i trasporti. 

Un altro progetto importante, come già accennato in precedenza, riguarda le proposte di Academy che l’Università di Bologna ha avviato nell’ambito della terza missione. Un progetto che in tre edizioni successive è cresciuto molto sia nei numeri dei partecipanti che nella dimensione didattica, aprendo a iscrizioni raccolte su base nazionale.

Infine, ci stiamo concentrando, con il supporto di IFAB, sulla formazione all’uso degli strumenti di intelligenza artificiale negli ambiti della gestione dei processi aziendali di supporto. Stiamo partendo con un progetto di 3 classi da 40 partecipanti ciascuna e abbiamo una lista d’attesa per almeno 4 classi aggiuntive. È un progetto doppio, pensato per la formazione degli operatori delle cooperative in ambito amministrazione e finanza e in ambito risorse umane, sull’uso degli strumenti di intelligenza artificiale nei processi gestionali. Abbiamo già testato due “piloti” rivolti al personale interno, e ora siamo pronti a una fase di scalabilità operativa.

Per quanto riguarda i progetti rivolti agli ambiti produttivi di interesse delle cooperative associate, alcuni progetti sono già conclusi, altri sono in corso. Uno è nell’ambito della ricerca oncologica, relativamente ai cancerogeni ambientali. Nell’agroalimentare stiamo lavorando su tutta la filiera, dalla produzione agricola alla trasformazione industriale e alla distribuzione, con progetti finanziati anche dal Fondo per la Repubblica Digitale. Se nella prima fase i progetti erano concentrati sull’uso dei dati e sull’estrazione di informazioni utili alla produzione, oggi siamo in una seconda fase, in cui praticamente tutti i progetti prevedono l’utilizzo di intelligenza artificiale generativa, non solo per migliorare la produttività, ma anche per produrre strumenti e, in alcuni casi, veri e propri nuovi prodotti. È il caso, ad esempio, di un progetto sul packaging sostenibile. Tutti i nostri progetti, fin dall’inizio, sono guidati da un approccio che tiene insieme innovazione tecnologica e sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. Questo è un punto fermo.

 

Invece, per quanto riguarda il suo ruolo in Legacoop nazionale, state portando avanti delle riflessioni specifiche sul tema del rapporto tra lavoro e trasformazioni digitali?

Rita Ghedini: Sì, certamente. La questione dell’impatto della trasformazione digitale, dell’uso delle tecnologie e del digitale sul lavoro è già, in parte, regolata da norme esistenti. È entrata anche nei contratti collettivi per quanto riguarda gli obblighi di informazione e consultazione tra le parti sociali e con le rappresentanze dei lavoratori, nel momento in cui vengono introdotti processi che utilizzano tecnologie digitali e che impattano sul lavoro delle persone. All’interno di Legacoop è attiva una Commissione nazionale, cui partecipano tutte le rappresentanze territoriali e settoriali, che ha svolto di tempo in tempo riflessioni sui diversi provvedimenti normativi in elaborazione. Quello che ci interessa in particolare è sviluppare una riflessione più ampia, più profonda, che riguarda il rapporto tra partecipazione dei lavoratori e uso delle tecnologie digitali – dai dati all’intelligenza artificiale – all’interno di organizzazioni cooperative, in particolare nella cooperazione di lavoro. Questo approccio è coerente con la natura stessa della cooperazione, dove il lavoro non è solo una funzione da regolare, ma è parte di un processo partecipativo e trasformativo, che richiede un’attenzione specifica a come il digitale ne modifica i contorni, le responsabilità e le relazioni.

Stiamo anche partecipando attivamente alla Commissione del CNEL dedicata al rapporto tra lavoro, dati e intelligenza artificiale, coordinata da Ivana Pais, che a fine luglio ha pubblicato il suo primo rapporto, a cui anche noi abbiamo contribuito. Ora vorremmo proseguire questo percorso all’interno di Legacoop, attivando da settembre un gruppo di lavoro interno, che colleghi la riflessione degli esperti del diritto e dell’organizzazione del lavoro, della normativa societaria in ambito cooperativo e mutualistico con gli esperti che lavorano sull’innovazione digitale. L’obiettivo è affrontare la transizione come un’occasione per una trasformazione attiva e creativa, alla quale devono contribuire tutte le componenti dell’organizzazione cooperativa.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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