Fornire energia nello spazio: i supercondensatori di Novac. Intervista a Alessandro Fabbri
- 22 Luglio 2024

Fornire energia nello spazio: i supercondensatori di Novac. Intervista a Alessandro Fabbri

Scritto da Daniele Molteni

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Alessandro Fabbri è chief information officer di Novac.


Qual è la storia di Novac e come è nata l’idea di sviluppare supercondensatori per la mobilità elettrica?

Alessandro Fabbri: Il team di Novac nasce da quattro ragazzi provenienti da altrettante città diverse, che si sono incontrati a Modena per la laurea magistrale in ingegneria frequentando corsi diversi: io e Matteo Bertocchi veniamo da ingegneria del veicolo, Aldo Girimonte da ingegneria dei materiali e Loris Bruzzi da ingegneria elettronica. L’occasione per incontrarci è stato il programma Training for Automotive Companies Creation (TACC), un corso interdipartimentale aperto a studenti di tutte le facoltà, che prevede una selezione iniziale di quaranta ragazzi da ingegneria, economia, giurisprudenza, management e non solo. A questi studenti veniva offerto un corso di preaccelerazione, una sorta di preincubatore, che insegnava come creare una startup nel settore automotive. Durante il corso, gli studenti si dividono in team per sviluppare un’idea di business, portando avanti i loro progetti in parallelo con le lezioni frontali comuni. È in questo contesto che noi quattro ci siamo conosciuti e abbiamo sviluppato l’idea, che inizialmente era un po’ astratta e consisteva nel distribuire l’energia su forme non convenzionali sulla carrozzeria delle automobili. Nel corso degli anni, attraverso un processo di pivoting e affrontando le questioni tecniche, siamo arrivati a sviluppare il concetto del supercondensatore a stato solido. Successivamente abbiamo lavorato sulla modellabilità e sull’integrazione di queste tecnologie in forme personalizzate, affinando l’idea fino ad arrivare al concetto attuale.

 

Quali sono le principali caratteristiche che differenziano i vostri supercondensatori rispetto alle batterie tradizionali e agli altri supercondensatori presenti sul mercato?

Alessandro Fabbri: Rispetto alle batterie, i supercondensatori sono dispositivi di potenza. In questo senso, per semplificare, paragoniamo spesso la batteria a un maratoneta e il supercondensatore a un centometrista. I supercondensatori rilasciano tutta la loro energia in pochissimi secondi e sono ideali per colmare i picchi di potenza, mentre le batterie forniscono una grande quantità di energia nel tempo. I nostri supercondensatori si differenziano da quelli oggi sul mercato principalmente per la loro modellabilità, perché mentre i competitor sviluppano celle standard, cilindriche o prismatiche, noi realizziamo forme e superfici personalizzate in base alla geometria specifica del veicolo del cliente, in modo tale da non occupare volume all’interno del veicolo o del satellite che può così essere utilizzato per altro. Inoltre, i nostri componenti sono multifunzionali: possono sostenere carichi meccanici, fungere da copertura per componenti esterni e accumulare e rilasciare energia elettrica. Al momento stiamo anche sviluppando una tecnologia a stato solido, che ci distingue ulteriormente dai supercondensatori sul mercato che invece utilizzano tecnologie a stato liquido. Questo comporta un livello di sicurezza molto più elevato poiché, in caso di incidenti, non c’è nessun liquido infiammabile che possa fuoriuscire e incendiarsi.

 

Quali opportunità di applicazione e utilizzo offrono in condizioni ambientali estreme come quelle spaziali?

Alessandro Fabbri: Grazie all’introduzione dei supercondensatori, quindi non solo i nostri ma in generale, puntiamo a diminuire le dimensioni delle batterie presenti nei satelliti, che spesso sono dimensionate per colmare il picco di potenza. Aggiungendo i supercondensatori possiamo permetterci di ridurre le dimensioni delle batterie risparmiando peso e volume, perché i supercondensatori non occupano ulteriore spazio potendo essere integrati nelle componenti esterne. Questo rappresenta un notevole vantaggio da un punto di vista dello stato solido, che è fondamentale perché uno dei principali problemi delle batterie nel settore aerospaziale è la presenza di elettroliti a stato liquido infiammabili, che rappresentano un rischio significativo in caso di fuoriuscite. Questo rischio ha portato all’adozione di numerose misure precauzionali, come la gestione termica delle batterie e la realizzazione di batterie sempre più piccole per limitare la quantità di liquido che potrebbe fuoriuscire in caso di guasto. Con i supercondensatori a stato solido questi problemi vengono eliminati, poiché non esiste il rischio di fuoriuscite, come dicevo. Il settore aerospaziale richiede soluzioni che minimizzino il peso e occupino il minor volume possibile e i supercondensatori modellabili offrono un grande valore aggiunto per rispondere a questa esigenza. Tuttavia, è fondamentale identificare casi d’uso specifici in cui l’utilizzo dei supercondensatori sia sensato perché, se un carico richiede energia costante per lunghi periodi, i supercondensatori sono meno utili. Al contrario, se il carico richiede frequenti picchi di potenza per brevi periodi, è qui che i supercondensatori danno il loro massimo contributo.

 

Quali sono le principali applicazioni dei vostri supercondensatori e quali benefici hanno apportato in termini di efficienza, performance e sostenibilità?

Alessandro Fabbri: Come use case specifici stiamo trovando una nicchia nei synthetic aperture radar (SAR), una tecnologia di comunicazione che richiede correnti molto elevate con un ciclo on-off per trasmettere dati e immagini. Questa è un’applicazione perfetta per i supercondensatori, perché, come dicevo prima, agisce con degli impulsi brevi. Una batteria dovrebbe essere molto grande per riuscire a sostenere quel picco di corrente e il risultato sarebbe un sistema molto più ingombrante del necessario per quanto riguarda l’autonomia, e quindi una zavorra di peso e volume che viene pagata a caro prezzo durante il suo utilizzo, perché portare ogni chilo nello spazio costa decine di migliaia di euro. Altri tipi di applicazioni includono la movimentazione di attuatori o pannelli solari, quindi meccanismi impulsivi di attuazione e meccanismi di separazione pirotecnici che richiedono impulsi di corrente. Ad esempio, nei casi dei razzi resistojet, quindi thruster, c’è la necessità di riscaldare i gas per la propulsione in pochi secondi, per far sì che siano pronti per essere bruciati e creare propulsione; quindi, ci sono dei riscaldatori che richiedono tanta corrente in poco tempo per scaldare velocemente questi gas. Dal punto di vista della sostenibilità i supercondensatori sono migliori rispetto alle batterie poiché non contengono materie prime critiche al loro interno, ma sono basati su materiali carboniosi e cellulosa, quindi sostanzialmente carta. Inoltre, il fatto che abbiano milioni di cicli di vita, rispetto alle migliaia delle batterie, fa sì che il processo di smaltimento e manutenzione sia molto più semplice.

 

La vostra tecnologia proprietaria è coperta da brevetti. Può spiegarci in che modo questi brevetti garantiscono un vantaggio competitivo e quali standard di sicurezza offrono i vostri prodotti? 

Alessandro Fabbri: Per quanto riguarda la sicurezza, la nostra soluzione brevettata è la tecnologia allo stato solido, che stiamo sviluppando sia per i nostri supercondensatori che per il mercato delle batterie. Il prodotto finale è sempre un elettrolita allo stato solido; quindi, non è necessariamente più sicuro di altri che utilizzano la stessa tecnologia. Tuttavia, il nostro approccio presenta vantaggi a livello di produzione, consentendoci di avere piani efficaci per lo scaling e la produzione industriale.

 

Invece, in termini più generali, quanto è importante il contesto della mobilità spaziale per il vostro lavoro, per la vostra attività e quali opportunità vedete nel futuro del settore dello spaziale per voi?

Alessandro Fabbri: Quello aerospaziale è un settore molto importante su cui stiamo cercando di spingere molto, anche se entrarci non è per niente facile. La prima barriera all’ingresso è avere flight heritage, ovvero aver dimostrato la tecnologia in volo, cosa che ancora non abbiamo fatto ma che prevediamo di realizzare entro il terzo trimestre dell’anno prossimo. Siamo già in contatto con diversi hosting di payload per validare la tecnologia in orbita, e questo sicuramente ci aiuterà ad avviare nuove collaborazioni. Al momento siamo molto focalizzati su studi di fattibilità e stiamo riscontrando un grande interesse nell’applicazione e negli use case che ho citato prima. Il principale interesse di chi sviluppa questi sistemi integrati di energy storage è ridurre il peso e il volume, e farli lavorare in un range di temperatura operativa sempre più ampio senza necessitare di sistemi di riscaldamento ad hoc. Dato che lavoriamo su entrambi questi problemi e offriamo soluzioni che, negli use case appropriati, portano un grande vantaggio, siamo molto fiduciosi nel potenziale di questo mercato. Siamo ovviamente anche spinti dall’ondata della new space economy e dall’espansione del settore dei CubeSat, con satelliti sempre più piccoli e in maggior numero grazie alle costellazioni in via di sviluppo. In questo senso vediamo una buona opportunità di business, poiché i lanci aumenteranno esponenzialmente nei prossimi anni, rendendo l’accesso allo spazio più economico e disponibile non solo per i mega satelliti e i razzi delle grandi compagnie, ma anche per tante altre aziende di minori dimensioni.

 

Recentemente siete entrati nel programma di incubazione ESA-BIC/ASI, avete partecipato al programma di accelerazione Space it Up a Houston, ed entro la fine dell’anno darete avvio alla produzione industriale. Come stanno influenzando queste iniziative lo sviluppo di una startup come Novac e quali opportunità vedete nel futuro del settore aerospaziale?

Alessandro Fabbri: Da un lato la partecipazione a programmi come ESA/BIC (Business Incubation Centre), che offre un supporto costante alle startup incubate per accompagnarle nel loro ingresso sul mercato aerospaziale, ha un valore molto alto per noi perché ci permette di avere a che fare con figure di primo piano della space economy che ci aiutano a capire quale direzione prendere, come funzionano le dinamiche in questo settore e altri aspetti fondamentali. Il programma Space It Up a Houston, dall’altro lato, è stato molto utile per capire nello specifico le dinamiche del mercato americano relativo a questo settore, che sono comunque dinamiche molto particolari e diverse da quelle che possiamo trovare qui in Europa. Trovare la strada giusta per far entrare il proprio business negli Stati Uniti è complicato, non solo nel settore aerospaziale, soprattutto perché difficilmente lavorano con startup estere o comunque in generale con aziende che non siano americane. Però questa esperienza ci è servita per capire come agire e come muoverci in questo mercato in futuro. Nel caso un giorno i nostri piani dovessero portarci in quella direzione, l’idea potrebbe essere quella di creare un’azienda locale sul territorio statunitense per poi passare dai subcontractor, come per esempio quelli della NASA, e così entrare nei progetti. Il percorso dell’industrializzazione, invece, lo stiamo portando avanti attraverso altre strade, a partire dallo scale up della produzione che riguarda anche altri settori nei quali siamo attivi, come quello automotive, ed è un binario parallelo più orizzontale rispetto al settore aerospaziale.

 

A proposito di questo, quali sono le principali differenze che avete notato tra il contesto europeo e quello americano? 

Alessandro Fabbri: Da un punto di vista culturale ci sono molte differenze che riguardano l’approccio alle persone. Negli Stati Uniti quando ti confronti con le aziende sembrano sempre entusiaste e aperte a tutte le possibilità, salvo poi magari non rispondere alle mail. È come se ci fosse una posa di facciata poco chiara che rende complicato il business, perché nella prima chiacchierata la risposta è sempre positiva e propositiva. Quando si presentano tematiche che davvero gli stanno a cuore, oppure se hanno un problema impellente da risolvere, le cose diventano più facili e rapide, anche se questa cosa non è possibile capirla subito. In Italia e in generale in Europa è diverso perché, se un progetto non interessa, è più facile rendersene conto in tempi rapidi così da risparmiare tempo e sforzi. Questa è la differenza principale che abbiamo notato ma non avendo ancora all’attivo un progetto concreto non abbiamo un punto di vista tale da entrare nel merito operativo.

 

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro e come vedete evolversi il ruolo dell’Emilia-Romagna nel settore aerospaziale?

Alessandro Fabbri: L’evoluzione dell’Emilia-Romagna è evidente perché le istituzioni regionali si stanno impegnando molto per partecipare a un settore che è in forte crescita, e soprattutto lo stanno facendo tramite una buona base di aziende locali con cui abbiamo avuto modo di entrare in contatto a partire dallo scorso anno partecipando alla missione a Houston, insieme all’assessore Vincenzo Colla e al presidente Stefano Bonaccini. In questa occasione abbiamo scoperto un ecosistema di aziende che lavorano concretamente nel settore aerospaziale e che da quella missione si è poi sviluppato ulteriormente. Basti pensare a realtà come Poggipolini, che ha aperto da poco una sede a Houston tramite un contatto nato grazie a quella missione. Ma rappresentano degli sviluppi importanti anche la collaborazione di aziende come Dallara e Barilla alla missione Axiom AX-3 che dimostra la forte presenza di aziende emiliano-romagnole nel settore e in missioni importanti. Questo fa capire che c’è tanto interesse e sicuramente ci sarà una spinta molto forte anche nel prossimo futuro. L’aerospazio ad oggi non è il settore più rilevante da un punto di vista dell’export dell’Emilia-Romagna, ma sono sicuro che se ci sarà una continua spinta come quella attuale, anche attraverso i bandi regionali, diventerà uno dei settori più importanti nell’arco dei prossimi dieci anni.

Scritto da
Daniele Molteni

Editor di «Pandora Rivista», si è laureato in Relazioni internazionali all’Università Statale di Milano e ha collaborato con diverse realtà giornalistiche, tra cui «Africa Rivista», «Lavialibera» e «Modern Insurgent». Si occupa di politica internazionale, questioni sociali e tecnologia. È membro del collettivo giornalistico “Fuorifuoco”.

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