Scritto da Giovanni Molari
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Giovanni Molari, autore di questo articolo, è il Rettore dell’Università di Bologna.
Da sempre l’Università affronta l’inedito: per storia, per natura, per vocazione, l’Università è costantemente proiettata verso il futuro che si annuncia; ne sa intercettare i segnali e ne sa presentire per tempo l’arrivo, grazie alle conoscenze e alla creatività dei suoi ricercatori. Oggi l’inedito ci viene incontro da più direzioni, con una rapidità sconosciuta alle epoche anteriori. Lo sviluppo sempre più accelerato della tecnologia da una parte, e dall’altra le dinamiche socio-economiche globali, ci pongono dinanzi a sfide inattese, che richiedono anche alla politica – cui spetta il compito di governare e indirizzare le trasformazioni e le innovazioni – un ricorso deciso alle competenze delle Università. È logico e lungimirante, dunque, che l’Emilia-Romagna voglia avvalersi dello straordinario tesoro di saperi custodito dalle Università della Regione, ciascuna secondo le sue diverse dimensioni, la diversa entità e natura delle sue relazioni nazionali e internazionali, le sue specificità scientifiche e formative. È altrettanto logico e lungimirante che le Università desiderino condividere, fra loro e con tutti i soggetti pubblici e privati del territorio, i loro obiettivi e le loro strategie. Ben vengano, dunque, tutti i patti che possono aiutarci a conseguire finalità condivise, mediante azioni condivise, nell’interesse collettivo.
C’è un tema, in particolare, su cui il Patto per il Lavoro e per il Clima ci sollecita e ci esorta a uno sforzo comune. È il tema che lega più strettamente il “lavoro” e il “clima”, e cioè la “sostenibilità”. Da diversi decenni siamo di fronte a uno sviluppo accelerato che mole ruit sua, «crolla sotto il suo stesso peso»; uno sviluppo che ha approfondito le disuguaglianze sociali e mette a rischio il nostro futuro. L’unica risposta, di fronte a questo rischio, è intraprendere tutte le azioni che consentano di mettere la “sostenibilità” al centro della nostra ricerca, della nostra didattica, in generale delle nostre politiche, al fine di assicurare il soddisfacimento e lo sviluppo della generazione attuale senza togliere alle generazioni future la possibilità di realizzare i propri bisogni.
L’Alma Mater è da sempre all’avanguardia sui temi della sostenibilità. Basti ricordare la recente creazione dell’Alma Mater Research Institute on Global Challenges and Climate Change (Alma Climate), che ha lo scopo di coordinare le attività di ricerca interdisciplinare sulle attività di origine antropica sul nostro pianeta; il Centro si fonda sull’impegno congiunto di centinaia di ricercatori afferenti a 26 dipartimenti dell’Ateneo, e rafforzerà ulteriormente il posizionamento internazionale dell’Alma Mater all’interno del dibattito sul mutamento climatico, in termini di ricerca, didattica, innovazione e impatto sulla società civile. Oppure basti ricordare – sul piano della formazione – la creazione della prima cattedra Unesco in Educazione alla cittadinanza globale, che ha l’obiettivo di diffondere i temi legati alla cittadinanza globale a livello universitario, e di rafforzare la rete di cooperazione fra le varie istituzioni universitarie impegnate sugli stessi filoni di ricerca, che comprendono le modalità atte a realizzare uno sviluppo più equo, inclusivo e sostenibile. Sono due esempi fra i molti che attestano l’impegno costante dell’Alma Mater su questi temi; un impegno che ha portato l’ateneo bolognese a conquistare per il quinto anno consecutivo la prima posizione tra gli atenei italiani nel ranking Green Metric, la classifica che valuta le politiche e le azioni green messe in campo dalle università a livello globale. Ma ora abbiamo bisogno di allargare ulteriormente la nostra nozione di “sostenibilità”, per farne un elemento caratterizzante e trasversale di ogni nostra azione, senza limitarla alle implicazioni ambientali, pur rilevantissime, ma declinandola nelle sue diverse dimensioni, a partire da quella sociale ed economica.
In questa prospettiva, la sostenibilità trova una leva cruciale nella trasformazione digitale, che sarà uno dei principali obiettivi dell’Alma Mater nei prossimi anni. La trasformazione digitale è fondamentale per la promozione di politiche efficaci di sostenibilità ambientale, economica e sociale. In particolare, la transizione ecologica e la trasformazione digitale sono considerate ormai, giustamente, due “rivoluzioni gemelle”: è difficile oggi pensare a un processo di innovazione tecnologica che non consideri anche gli impatti ambientali, economici, sociali. Queste transizioni sono talmente complesse e profonde da richiedere una visione strategica: gli sforzi di trasformazione digitale si devono orientare a ricercare e adottare tecnologie digitali che promuovano, sostengano e diffondano la sostenibilità.
La trasformazione digitale ridefinisce le relazioni delle imprese con l’ambiente, ha effetti considerevoli sull’economia, modifica la società. Il ruolo di fattore prioritario di sviluppo sostenibile è legato a una molteplicità di fattori determinati dall’affermazione dell’intelligenza artificiale, dei Big Data e del cloud, della crescente connettività sostenuta dalle reti 5G, dell’Internet of Things (IoT), della robotica e della realtà virtuale, dell’high performance e del quantum computing. Il dibattito sul rapporto tra sostenibilità e trasformazione digitale non è certo nuovo. Tuttavia, se crediamo utile assegnare al digitale il ruolo chiave di abilitatore della transizione verde, è giunto il momento, per un Ateneo come il nostro, di impostare piani di azione che riconoscano le interconnessioni e le sinergie tra le due rivoluzioni. È il momento per una strategia duale che si fondi sulla capacità del digitale di dematerializzare, misurare e migliorare processi di diversa natura, energetici e di consumo. In sintesi, che espliciti con chiarezza le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.
La prima fase è necessariamente quella della consapevolezza necessaria ad un opportuno orientamento di governance dell’innovazione digitale. Pensiamo, ad esempio, ai Big Data: se sul piano economico e ambientale il loro valore è più chiaro, da parte dei cittadini essi sono considerati – come molti altri ambiti digitali – una prerogativa di poche grandi imprese. Occorre invece che essi acquisiscano anche un valore sociale riconosciuto e che la loro condivisione trasparente e sicura, e il loro successivo impiego, possano favorire lo sviluppo di servizi inclusivi e contribuire al benessere della collettività.
Su temi di tale importanza è indispensabile, come dicevo, fare sistema e definire obiettivi strategici comuni. Il Patto per il Lavoro e per il Clima, il Tecnopolo di Bologna (quale hub HPC e Big Data di alto livello), il centro di competenza BIREX e i CIRI – Centri interdipartimentali di ricerca industriale sono strumenti e interlocutori fondamentali per favorire il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità economica, ambientale e sociale e per favorire il trasferimento al territorio delle forti competenze dell’Alma Mater; ciò porterà a un sempre crescente rafforzamento delle relazioni con il territorio stesso. In questo contesto storico l’Università di Bologna può e deve riaffermare il suo forte ruolo culturale e sociale, creando ponti solidi tra ricerca e mondo industriale e governando l’innovazione tecnologica, la generazione di Big Data e il loro impiego attraverso una seria revisione filosofico-culturale riguardo al legame strettissimo tra sostenibilità e tecnologie digitali. A questo obiettivo si giunge anche tramite un maggiore coinvolgimento dei cittadini e delle comunità nella progettazione di ricerche che rispondano ai bisogni reali dei luoghi in cui operiamo.
L’Alma Mater deve favorire lo sviluppo di innovazione ambientale, tecnologica e sociale e la creazione di nuovi spazi e forme di inclusione puntando, ad esempio, sull’interdisciplinarietà e su azioni concrete che permettano di superare gli impedimenti allo sviluppo di politiche sostenibili attraverso la trasformazione digitale. In tal senso, l’Alma Mater può agire su due piani complementari, uno interno e uno esterno. Sul primo piano l’Università di Bologna può intraprendere strategie di adattamento anche infrastrutturale adottando le superleve tecnologiche dell’AI, dei digital twin, dell’IoT ai fini del controllo del consumo e di servizi volti a mettere in atto pratiche sostenibili quali, ad esempio, campagne di incentivo a comportamenti sostenibili attraverso piattaforme digitali specifiche. Sul piano esterno, l’Alma Research Institute for Human-Centered Artificial Intelligence gioca un ruolo fondamentale nel permettere all’Ateneo di posizionarsi in modo credibile come istituzione capace di governare la sostenibilità attraverso la trasformazione digitale. L’Alma Human Artificial Intelligence è un uno dei più grandi centri italiani interdisciplinari su queste tematiche; esso mira ad aggregare e potenziare le attività di ricerca basate sull’intelligenza artificiale presenti in molti dipartimenti dell’Università di Bologna, posizionando l’Ateneo ai primi posti a livello internazionale nella ricerca, nell’istruzione, nell’innovazione e nell’impatto sociale, e promuovendo inoltre un approccio alla ricerca sull’IA da diverse prospettive complementari.
L’Ateneo di Bologna, grazie anche a questo suo centro di ricerca, può diventare una sede d’eccellenza per una rivoluzione digitale “etica”. L’Ateneo di Bologna può diventare portavoce di un nuovo “umanesimo digitale”, al quale concorrano cultura, processi e tecnologia. È un’occasione importante, quella della strategia duale per l’approccio sistemico ai temi del digitale e della sostenibilità, anche per promuovere, come Alma Mater, un maggior coordinamento tra i poli di eccellenza italiani sul digitale, in sinergia con il Tecnopolo e con le politiche regionali.