“Gobi Express” di Gabriele Battaglia
- 24 Ottobre 2025

“Gobi Express” di Gabriele Battaglia

Recensione a: Gabriele Battaglia, Gobi Express. Un viaggio fotografico su rotaia, Mimesis, Milano 2025, pp. 188, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Clara Galzerano

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Sul treno Pechino-Ulan Bator scorrono steppe, deserti e città in trasformazione: è da qui che Gabriele Battaglia, in Gobi Express. Un viaggio fotografico su rotaia, ripercorre oltre dieci anni di vita nella Repubblica Popolare Cinese e di viaggi in Asia. Con una scrittura incisiva e ironica, supportata da fotografie evocative, Battaglia compone un mosaico di storie e volti, esplorando quei luoghi che, per lungo tempo, hanno animato l’immaginario occidentale dell’esotico “Oriente”.

Il suo racconto si colloca però lontano dalla tradizione europea di letteratura di viaggio che, per decenni, ha fatto della Transiberiana e, seppur in minor misura, della Transmongolica il fulcro della narrazione. In quelle opere, il viaggiatore-narratore ambiva a raccontare e interpretare la realtà ospitante, sebbene la conoscenza di culture e società fosse talvolta limitata a ciò che si poteva cogliere “dal finestrino”, reale e simbolico, dei propri spostamenti.

Battaglia, al contrario, non adotta un tono didascalico, ma privilegia un atteggiamento empatico, centrato sulla relazione con luoghi e persone, e guidato da un costante tentativo di comprensione dell’Altro, senza avere la presunzione di fornire risposte definitive alle domande che sorgono lungo il percorso. Al centro del suo sguardo vi è la «componente sociale» delle realtà visitate, grazie alla quale è possibile riflettere su quella che l’autore definisce la «biodiversità umana» e sui fenomeni storici che hanno segnato una parte del continente eurasiatico, accompagnando il lettore dalle metropoli cinesi alle zone rurali, dallo Xinjiang al Kirghizistan, utilizzando una prospettiva transtemporale e transnazionale (pp. 16 e 148). Il giornalista non adotta quindi categorie interpretative di matrice occidentale nell’analisi delle diverse realtà asiatiche, privilegiando una visione del continente come insieme di spazi interconnessi ma autosufficienti, non necessariamente definiti dalla loro relazione con i Paesi occidentali. Questo approccio richiama le prospettive postcoloniali dello studio della storia dell’Impero cinese, oggi rivalutato come sistema dinamico e multiculturale, in netto contrasto con l’immagine di chiusura e autoreferenzialità a lungo trasmessa dalla storiografia europea. Anche sul piano temporale, Battaglia adotta uno sguardo di lungo periodo, in sintonia con la prospettiva cinese, che interpreta la contemporaneità come parte integrante di una più ampia cornice storica.

Il viaggio «reale e figurato, geografico e mentale» proposto da Battaglia intreccia ricordi e aneddoti con il racconto del percorso della prima tratta della Transmongolica (p. 17). La narrazione è arricchita dall’uso sapiente delle fotografie, che diventano il pretesto per indagare la condizione umana e sociale dei Paesi toccati durante il percorso. Ogni immagine è accompagnata da didascalie che non si limitano a descrivere il soggetto, ma inseriscono lo scatto in un contesto preciso, quello delle dinamiche storiche e sociali dei luoghi rappresentati. Le fotografie cercano di cogliere l’essenza della “biodiversità umana” e ritraggono soprattutto persone comuni, colte nelle loro attività quotidiane, ma anche scorci di paesaggi, città e grandi progetti infrastrutturali.

Oltre alla componente umana e sociale, l’altro grande protagonista del reportage è il treno. Passando tra Cina e Mongolia si compie un viaggio non solo geografico, ma anche simbolico, che trasporta l’individuo da una dimensione collettiva a una personale. Il giornalista sceglie allora di utilizzare il treno lento per effettuare la tratta Pechino-Ulan Bator, perché è «il mezzo migliore per compiere la transizione», favorendo il passaggio «dallo stato attivo a quello contemplativo», grazie al quale si apre lo spazio per la riflessione (pp. 37-39). Il treno è il luogo in cui avviene il distacco dall’incalzante modernizzazione cinese, che trasforma interi ecosistemi urbani e rurali, e al tempo stesso rappresenta l’avvicinamento a una realtà più umana, quella mongola, in cui spazio e tempo si dilatano. Nel racconto di Battaglia, il treno è dunque anche una metafora universale della condizione umana e delle varie fasi della vita stessa.

Dalla trattazione emerge anche la forte valenza storica e simbolica delle ferrovie nella Cina popolare. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la dinastia Qing guardava con sospetto alla tecnologia ferroviaria: preoccupata di mantenere l’ordine interno, temeva che i treni potessero favorire eventuali invasioni straniere. Oggi, al contrario, la rete ferroviaria ad alta velocità è divenuta uno dei simboli della modernizzazione accelerata della Cina contemporanea; basti pensare alla Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative o Yi Dai Yi Lu), emblema della proiezione internazionale di Pechino. Questi due poli, la Cina che si preserva e si chiude, e la Cina che vuole cavalcare la storia, rappresentano bene una delle contraddizioni che tutt’oggi attraversano il Paese (pp. 47-50 e pp. 93-96).

Nella prima parte, ampio spazio è dedicato proprio alla Repubblica Popolare Cinese e ai Paesi confinanti, legati a essa da rapporti politici, economici e culturali intensi, ma non privi di tensioni e criticità. Quello di Battaglia è un viaggio multidimensionale, che restituisce al lettore i molteplici volti della Cina, un Paese in cui dieci anni sembrano equivalere a «ere geologiche». Si legge della Cina «in continua costruzione» dei primi anni Duemila, lanciata nella corsa alla modernizzazione; di quella dei primi anni Dieci, quando alle sue porte si affacciavano orde di visitatori stranieri curiosi di scoprirla; e infine della Cina austera e chiusa del periodo pandemico. Le immagini contribuiscono a restituire questa stratificazione: dalla Cina «polverosa» del 2006, alle megalopoli scintillanti degli anni Dieci, fino ai paesaggi delle province dello Xinjiang e dello Yunnan, che riflettono la pluralità della realtà cinese (pp. 20-34). Perché, se la Cina è in continua trasformazione e non un monolite immutabile, le “Cine” sono molteplici anche sotto il profilo geografico. Battaglia riesce a integrare questi diversi livelli di pluralità in un quadro unico ma molteplice, mettendo in luce, in particolare, l’esistenza di un rapporto dialogico ma altalenante e contraddittorio tra le diverse periferie e il centro / i centri.

L’ultima parte del libro è dedicata alla Mongolia, un Paese dove, come scrive l’autore, «si sta giocando una partita che tiene insieme dimensione ecologica e sociale»: lo sfruttamento intensivo delle risorse sconvolge l’economia nomade e, per i pastori, riconvertirsi alla vita sedentaria significa rinunciare a sé stessi. Per questo motivo, l’alcolismo costituisce una piaga sociale nel Paese, che va a sommarsi a problemi strutturali come l’inflazione e a nuove forme di disuguaglianza (pp. 131-182).

Il continuo divenire cinese si intreccia con il vissuto personale di Gabriele Battaglia, che sembra riflettere la stessa fluidità. Milanese di origine, Battaglia ha vissuto a Pechino per oltre dieci anni prima di rientrare in Italia, nelle campagne toscane del Chianti, poiché stanco della vita alienante delle megalopoli, ma, ammette, anche (o soprattutto?) esasperato dal controllo sempre più stringente delle autorità cinesi, ma anche da quello delle redazioni occidentali, ossessionate dal “pericolo giallo”. La scelta è stata quella di sperimentare un nuovo stile di vita (pp. 9-17).

A Mondeggi Bene Comune – Fattoria Senza Padroni (Bagno a Ripoli), la più grande occupazione di terra in Italia, Battaglia prende parte a un progetto collettivo volto a restituire i terreni alla cittadinanza attraverso la democrazia diretta e il lavoro condiviso, rigenerando spazi logorati da anni di sfruttamento intensivo. È una vita comunitaria, agli antipodi rispetto alla condizione dell’expat, che è invece spesso consegnata all’individualismo e all’estraniazione (pp. 9-17).

Il passaggio improvviso da Pechino alla provincia fiorentina, dal vivere per sé al vivere per una comunità, può sembrare audace, quasi contraddittorio; eppure, come il viaggio dalla Cina alla Mongolia, rivela un senso profondo, un legame sottile tra il percorso intrapreso e la ricerca, nel senso più ampio del termine, di soluzioni politiche e risposte a domande esistenziali. Nel suo precedente libro, Massa per velocità, Battaglia aveva già confessato di amare «l’incoerenza semantica ripetuta all’infinito» della realtà cinese. Inoltre, in un’intervista rilasciata a Pandora Rivista nel novembre del 2023, spiegava, infatti, che il suo trasferimento in Cina era stato motivato da una questione per lui decisiva: «la contraddizione tra dimensione collettiva e dimensione individuale». Nell’«Oriente allargato» di impronta confuciana, percepiva come le due dimensioni fossero strettamente intrecciate, poiché l’individuo si realizzava solo all’interno della comunità.

Pur non trovandosi più al centro di questo «Oriente allargato», in quello che definisce «il luogo più dinamico del mondo», Battaglia continua a esplorare sé stesso, ma non utilizzando la prospettiva individualistica del viaggiatore che si “riscopre” in luoghi lontani. La sua ricerca, invece, si definisce sempre in relazione con l’Altro, che diventa sia oggetto di studio che realtà necessaria affinché l’individuo trovi compimento. È proprio ri-radicandosi a Mondeggi che il giornalista riesce a preservare la tensione politica che lo aveva spinto fino all’altro capo del mondo, raccontando «la “biodiversità umana” ed esplorando alternative possibili alla modernità occidentale e capitalista» (pp. 15-16).

In definitiva, il libro di Battaglia non è soltanto un reportage di viaggio, ma il tentativo di interrogarsi sul rapporto tra individuo e collettività, tra centro e periferia, tra Nord e Sud globale. La sua esperienza personale, intrecciata alle storie e ai paesaggi incontrati lungo il tragitto, restituisce un’Asia plurale, lontana dagli stereotipi, e allo stesso tempo costituisce una riflessione sulla possibilità di immaginare alternative alla modernità capitalista. Così, tra le steppe mongole e le campagne toscane, Gabriele Battaglia sembra compiere lo stesso movimento che racconta: un viaggio che attraversa confini geografici e temporali, ma soprattutto la soglia sottile tra l’essere individuo e l’essere parte di una comunità.

Scritto da
Clara Galzerano

Assegnista di ricerca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia delle istituzioni e del pensiero. Dal Medioevo all’Età contemporanea presso l’Università degli Studi di Trieste e si è laureata in Lingua e cultura cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente le relazioni politiche, economiche, culturali sino-europee e la storia dei media nella Cina contemporanea.

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