Recensione a: Mauro Gallegati, Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, Prefazione di Francesco Saraceno, LUISS University Press, Roma 2021, pp. 126, 16 euro (scheda libro)
Scritto da Enrico Saltari
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Le libertà del mercato.
A proposito di un libro di Mauro Gallegati
La linea di ricerca di Mauro Gallegati, di cui questo agile libro rappresenta l’evoluzione più recente (Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, LUISS University Press 2021), ha al suo centro l’analisi della solidità dei fondamenti della teoria economica oggi dominante e la necessità di costruirne una alternativa. È una linea di ricerca che ha condiviso con economisti di fama internazionale: Joseph Stiglitz, premio Nobel 2001 per l’economia, ne è forse l’esempio più illustre. Una ricerca apparentemente astratta e lontana dai temi economici ma che in realtà riguarda i problemi che tutti noi vorremmo fossero affrontati e risolti, come le disuguaglianze, la disoccupazione o anche la crescita della produttività. È il rimprovero consueto che viene mosso agli economisti: come potrebbero non dico risolvere ma anche solo comprendere problemi concreti quando per abitudine si muovono in mondi astratti fatti di teoremi, modelli e formule matematiche? Uno dei pregi di questo libro di Gallegati è di mostrarci quanto questa distanza degli economisti dal mondo concreto sia in realtà solo apparente. Per fornire suggerimenti a chi decide gli interventi di politica economica, è necessario avere un quadro di riferimento complessivo che ci aiuti a capire come funziona l’economia. È qui che le astrazioni entrano in gioco perché una mappa 1:1 del sistema economico, oltre a non essere realizzabile, sarebbe di assai scarsa utilità. Le astrazioni perciò non possono essere evitate. Si tratta però di vedere quali sono accettabili e quali no nel costruire la mappa. Ed è a questo proposito che nasce il problema sollevato da Gallegati di cui si diceva all’inizio a proposito della solidità dei fondamenti della teoria economica oggi prevalente.
Prima di affrontarlo, è utile esaminare brevemente la struttura del libro perché in questo modo ci si può formare un’idea del percorso di ricerca intrapreso e di come esso sia maturato. Ad un primo sguardo, la prima impressione che si ricava è che questa struttura sia alquanto sbilanciata. Il motivo è che la parte per così dire distruttiva del libro, quella che mira a mostrarci quanto sia fallace la teoria dominante, occupa oltre due terzi del libro. Alla parte costruttiva, che ha lo scopo di illustrare quali siano e quanto siano fondate invece le basi teoriche che Gallegati ci propone, è riservato lo spazio residuale. Ma si tratta di uno squilibrio solo apparente che a ben vedere è più che giustificato ed è, in un certo senso, nella natura delle cose. Certo, si potrebbe sostenere che lo sbilanciamento deriva dal principio, valido anche per le teorie economiche, per cui demolire è assai più facile che costruire, e che quindi è ovvio che la parte polemica abbia più spazio. Non solo. La critica della teoria dominante e delle varie forme che essa ha assunto è un esercizio a cui gli economisti hanno riservato molto tempo ed energie, e che quindi conoscono meglio. Il lettore stesso, ne siamo certi, si troverà più a suo agio in questa prima parte.
Ma queste osservazioni non colgono il punto. Lo squilibrio tra le due parti, tra quella critica e quella propositiva, è in realtà una virtù del libro. Il motivo è che la critica che Gallegati rivolge alla teoria dominante non è fine a sé stessa ma fa parte del processo di costruzione della nuova teoria: essa ci mostra come proprio su di essa si possa erigere una teoria in grado di superare gli ostacoli che l’impianto tradizionale non è riuscito a oltrepassare. E perché è una manifestazione, in parte anche ingenua, delle mille difficoltà in cui ciò che è nuovo si deve dibattere al momento di nascere. La parte demolitiva ha come bersaglio principale il neoliberismo, o per meglio dire quelle che Gallegati chiama le bugie del neoliberismo. Una visione che ha dominato gli ultimi quaranta anni della scena economica, non solo nelle università ma soprattutto nelle banche centrali e nei ministeri dell’economia. Una visione per cui è il mercato a fornire la soluzione ai nostri problemi, a condizione che lo si lasci operare liberamente senza imbrigliarlo con inutili, quando non dannosi, interventi dall’alto. È quasi superfluo osservare che se si accetta questo approccio il campo d’azione della politica economica è, se non annullato, quanto meno fortemente limitato. Il percorso che Gallegati ci invita a seguire, con modi tra il divertente e il divertito, è come sia accaduto che quello che era sostanzialmente un precetto pratico colbertiano della fine del Seicento – il laissez-faire – sia divenuto la conclusione di un assai elaborato sistema teorico. Ciò accade quando l’economia politica dei Classici – quella di Smith, Ricardo e Marx per intenderci – viene abbandonata. Al suo posto si inizia a costruire a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la teoria economica divenuta oggi dominante, dove l’aggettivo “politica” è scomparso e si parla soltanto di economics.
Questa mutamento ovviamente non è solo nominale ma riflette la pretesa che l’economia sia divenuta scienza scevra da giudizi di valore, in grado sì di indicarci le azioni migliori da intraprendere (attraverso la soluzione di problemi di ottimo) ma senza esprimere valutazioni sul fine perseguito. In questo modo, l’economia passa da scienza morale a semplice teoria delle scelte di consumo-risparmio da parte delle famiglie o di produzione-profitto da parte delle imprese. Il punto centrale di questa trasformazione è, secondo Gallegati, l’adozione da parte dell’economia degli stessi principi metodologici della fisica di Newton. Perché il mercato sia l’unico meccanismo in grado di coordinare in modo efficiente le azioni individuali, occorre che l’individuo sia ridotto a singolo agente economico che effettua scelte ottimizzanti e perciò stesso razionali, e che entra in contatto con gli altri agenti soltanto per il tramite dello scambio. Di più: in questo schema l’unico scambio possibile è quello che si verifica in equilibrio; un equilibrio che può essere perturbato solo da shock esogeni, da mutamenti esterni al sistema economico considerato, e quindi avere una sua dinamica in un tempo che scorre logicamente ma non storicamente.
La spiegazione sta nel fatto che per ipotesi il mercato possiede meccanismi autocorrettivi in grado di riportare l’economia sul suo percorso “naturale” una volta che si verifichi una qualche deviazione da questo sentiero. Ne segue che le crisi possono essere scatenate soltanto da fattori esogeni, la cui origine non può essere rintracciata all’interno dell’economia. Per fare un esempio, la crisi finanziaria del 2007-2008 che ha travolto i sistemi economici avrebbe potuto difficilmente essere prevista in un mondo in cui si assume che i mercati finanziari siano efficienti perché i prezzi delle attività, finanziarie e reali, rispecchiano i fondamentali dell’economia, o per meglio dire le aspettative sui fondamentali futuri. In un mondo siffatto le bolle speculative possono verificarsi ma hanno durata limitata, non possono dar luogo ad una crisi vera e propria. Il fallimento su larga scala non è nemmeno concepibile. Guardando proprio alle crisi più recenti, si può aggiungere che il mercato non ci ha affatto reso più liberi, almeno non nel senso liberista per cui affidarsi alle libertà di scelta individuali fa sì che la “mano invisibile” possa agire manifestando appieno la propria efficacia. Al contrario, sono stati necessari interventi di politica monetaria e fiscale sempre più massici e poderosi perché il mercato possa riprendere ad operare.
Insomma, l’individuo è l’atomo di una società in cui il problema economico della scelta si riproduce immutato nel tempo senza che vi sia mai apprendimento o interazione con gli altri individui al di fuori dello scambio. Dall’equilibrio generale walrasiano statico e deterministico di fine Ottocento a quello dinamico e stocastico, come quello dei modelli DSGE nati all’inizio di questo secolo, la teoria mainstream si è progressivamente raffinata, aggiungendo laddove ritenuto opportuno elementi considerati rilevanti, come imperfezioni e frizioni, ma lasciando al contempo intatto il nucleo appena descritto. Se si accetta questa visione – secondo cui il comportamento aggregato è riconducibile alla somma di quello dei singoli, il riduzionismo appunto – la suddivisione dell’economia in micro e macro non ha più senso.
Non si può certo riassumere in poche righe il contenuto di un’argomentazione molto articolata e ricca di sfumature e varianti, fortunatamente non tutte pericolose. Ma si può certamente affermare che quanto abbiamo appena visto è lo snodo cruciale in cui si colloca la critica di Gallegati. Ciò che si nega è che il funzionamento dell’economia sia deducibile da quello dei singoli proprio per l’esistenza di interazioni che emergono quando si guarda all’aggregato. Le interazioni a loro volta derivano dal fatto che gli individui non sono tutti uguali come di fatto accade nella teoria prevalente con l’uso di agenti rappresentativi. Uno degli elementi di questa diversità tra agenti può derivare ad esempio dalla presenza di informazione asimmetrica, dal fatto cioè che alcuni agenti possiedono informazioni a proposito di ciò che scambiano che gli altri agenti non hanno.
L’eterogeneità tra individui è l’elemento costitutivo del modello alternativo proposto da Gallegati (un modello che tecnicamente fa parte della famiglia più ampia degli agent-based models). Accenniamo molto sinteticamente ai principali risultati che derivano dall’utilizzo di questo modello per indicare come essi capovolgano quelli della teoria oggi prevalente. Gli individui eterogenei popolano i sistemi complessi, in cui non esiste un coordinatore centrale come il mercato, ma forme di auto-organizzazione dal basso. Nascono così nuove istituzioni (come la Banca centrale) con finalità di coordinamento ma che a loro volta influenzano il comportamento individuale. Questi sistemi sono perciò strutturalmente instabili e caratterizzati dallo squilibrio piuttosto che dall’equilibrio; il loro stato presente dipende dal percorso seguito in passato, sicché il tempo scorre in senso storico. L’interazione presente nei sistemi complessi implica inoltre non-linearità con un’importante conseguenza: se il sistema è non-lineare, non può più essere ridotto alla somma delle parti che lo compongono.
Un’avvertenza finale. Questo libro di Gallegati non si propone di fornire una risposta alle tante domande che avanza, alle tante questioni che solleva. Va inteso piuttosto come una benefica riflessione sullo stato di salute della teoria economica e come un tentativo, per quanto “immaturo” come ammette lo stesso Gallegati, di costruire un paradigma alternativo.