Scritto da Federica Greco
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Non è una vacanza: l’altra faccia del turismo
In base alla definizione della Treccani, per turismo sanitario si intende il «viaggio intrapreso da chi necessita di interventi medici non disponibili nel proprio luogo di residenza», un concetto che si declina tanto a livello internazionale quanto, nella fattispecie italiana, a livello regionale. Il tema si estende dalla ricerca di interventi chirurgici o cosmetici a basso costo in Paesi con un tariffario vantaggioso, fino alla impellente necessità di recarsi nell’unico centro clinico che offre una specifica prestazione salvavita; così il turismo sanitario abbraccia un bacino di pazienti non indifferente, con un mercato globale che si prevede raggiungerà i 239,37 miliardi di dollari entro il 2029[1].
A livello internazionale sono India, Thailandia, Messico e Turchia a spiccare tra gli Stati in testa alla classifica. Ad attirare è in primis il rapporto costo-efficacia, trattandosi di Paesi in grado di offrire un’assistenza sanitaria di qualità medio-alta a prezzi notevolmente inferiori alla media europea. La tendenza, in questo caso, riguarda prevalentemente le prestazioni di chirurgia estetica. Tuttavia, anche mantenendoci nei confini europei, il turismo sanitario non manca di premiare le strutture che mettono a disposizione tecnologie innovative, di nuovo, a prezzi accessibili. In Europa, si fanno quindi strada Paesi dell’Est, quali Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca e Croazia[2] che guadagnano la fiducia dei pazienti stranieri con servizi specializzati, anche in terapie delicate come quelle oncologiche. A premiare queste mete si aggiunge, poi, la possibilità di raggiungere i centri medici a costi relativamente bassi, sia per quanto riguarda i trasporti che per il conseguente soggiorno[3].
Spostandoci nel contesto italiano, il turismo a scopo sanitario si esplica sia nella migrazione dei pazienti da una regione all’altra, tendenzialmente dal Sud verso il Nord, che nell’accoglienza di pazienti stranieri nei grandi centri ospedalieri italiani. Dopo lo stop obbligato del 2020, a causa della pandemia, il turismo sanitario ha ripreso il suo andamento a ritmi sostenuti, vedendo un costante flusso interregionale dei cittadini. I dati Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) confermano che il numero di ricoveri in mobilità ha visto un ritorno alla crescita già dalla seconda metà del 2020. Nel 2023 la spesa ha addirittura superato l’ultimo anno pre-Covid, con 2,88 miliardi di euro contro i 2,84 miliardi del 2019[4]. Ma chi sono i soggetti attivi della migrazione? Il report del Censis Migrare per curarsi[5] ci riporta che a muoversi dalla propria residenza per accedere a cure migliori e più tempestive sono principalmente i pazienti pediatrici e adolescenti. Ogni anno il numero di pazienti minori che si spostano per motivi medici (interventi di chirurgia o terapia) raggiunge circa le 71.000 persone.
Non desterà grande stupore che questa forma di turismo sia rivolta in maniera sostanziale verso le regioni più ricche, i cui fondi ingenti sono spesso destinati a manovre di sostegno medico, laddove il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non riesca a coprire tutte le spese. È questa una nota manovra politica, spesso adottata dai Presidenti di Regione, i quali decidono di riservare ai propri cittadini l’accesso con piena rimborsabilità a cure che il Servizio Sanitario non potrebbe permettersi di garantire su tutto il territorio, per motivi economici e di sostenibilità del sistema, portando dunque a un’inevitabile – e inaccettabile – disparità tra cittadini, che si vedono divisi in regioni di serie A e di serie B.
Ad aggravare il quadro è il paradossale autoalimentarsi del fenomeno: a titolo di esempio, secondo il Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali[6], la Lombardia è in vetta alle destinazioni, il che ha consentito alla regione stessa di maturare in dieci anni 6,176 miliardi di euro di introito per il solo turismo sanitario[7]. L’effetto è chiaramente quello di un cane che si morde la coda, con regioni in principio ricche che, mettendo a disposizione dei cittadini strumenti e prestazioni medico-diagnostiche all’avanguardia, attirano pazienti da fuori regione, diventando sempre più ricche. Dall’altro lato, le regioni con difficoltà finanziarie hanno prestazioni inferiori, minore afflusso di pazienti e minori fondi investiti. Vien da sé che per quanto riguarda, invece, la meta di partenza, i cittadini dello Stivale si spostano principalmente da regioni del Sud, prime fra tutte la Campania e la Calabria. Secondo la Corte dei Conti, tale disparità e, dunque, «la maggiore o minore attrattività dipende principalmente dalla maggiore qualità e quantità dei servizi sanitari erogati, oltre che da altri fattori che incidono in misura minore quali l’andamento dell’economia, che porta a un trasferimento della popolazione verso le regioni più ricche, e la presenza di centri universitari di eccellenza. Non è un caso che le regioni con maggiore capacità attrattive siano posizionate nei primi posti nel punteggio complessivo assegnati per la valutazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza) relativi all’anno 2019»[8]. La conseguenza del turismo della salute è la creazione della cosiddetta “sanità patchwork”, in cui l’accesso alle cure non è omogeneo, viene meno la fiducia nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale ma soprattutto si generano inevitabili disagi ai cittadini, incidendo negativamente sull’impatto finanziario delle regioni più in difficoltà.
Sono dieci gli ospedali italiani che, concentrati nelle grandi città del Centro e del Nord, accolgono circa il 25% dei pazienti che migrano per curarsi. Tra le aree specialistiche a maggiore attrazione troviamo quella oncologica (soprattutto nei centri di Milano e Aviano), ortopedico-traumatologica (Bologna) e pediatrica (Roma e Genova). Le motivazioni che più spingono a spostarsi sono le liste d’attesa troppo lunghe o l’accesso a cure che non sono disponibili nel proprio territorio. In generale, in tutta l’area del Nord e del Centro Italia, i malati si dirigono verso ospedali delle regioni limitrofe. Tutt’altra storia è quella dei pazienti meridionali che non trovano le cure di cui hanno bisogno neanche nelle regioni adiacenti. In base ai dati del Censis, curarsi in regioni molto lontane dalla propria mina la stabilità emotiva ed economica dei pazienti, già enormemente destabilizzati dalla malattia. Sarebbero circa 90.000 i nuclei familiari in grande difficoltà. Gli accompagnatori o caregiver, pur di sostenere i propri cari, sono soliti dormire sulle panchine o in macchina accanto all’ospedale, non potendosi permettere un alloggio per dei soggiorni spesso molto lunghi[9].
Sulla base di un dato così impattante, emerge la necessità di monitorare con attenzione la realtà delle strutture di accoglienza per pazienti minori, in particolare nelle città che risultano di maggiore attrattiva sul territorio nazionale, ovvero Milano e Roma. Tra le iniziative di questo genere, quella dell’associazione CasAmica ODV ha avuto tra i riscontri più positivi da parte dei pazienti. CasAmica offre, dal 1986, accoglienza ai malati che decidono di curarsi lontano da casa e ai loro familiari o ai caregiver che li accompagnano. Nel 2022, l’Associazione ha dichiarato di aver accolto 5.000 persone nelle sue strutture di Milano, Roma e Lecco, per un totale di 40.000 notti di ospitalità.
Nonostante l’importanza di questi interventi, è difficile differenziare, a livello giuridico, il turismo sanitario da quello vacanziero e ludico. Come riportato da Stefano Gastaldi, Direttore di CasAmica: «Le case di accoglienza per i migranti sanitari non hanno un riconoscimento giuridico ma sono inserite nella stessa categoria delle case vacanza. A volte capita anche che un comune richieda la tassa di soggiorno per gli ospiti che, però, non sono turisti. I migranti sanitari sono ancora un fantasma per il servizio sanitario: sinergie tra privato e sociale, ospedali e istituzioni consentirebbero, tra l’altro, di crescere nell’offerta di servizi di umanizzazione»[10]. Secondo il Censis, il privato sociale riesce ad aiutare solo il 10% dei pazienti migranti. Per privato sociale si intendono le associazioni che offrono gratuitamente un alloggio locato in prossimità del luogo di cura, sia al malato che all’accompagnatore, per l’intera durata della terapia o dei controlli[11].
Come in ogni fenomeno, non manca chi gioisce degli spostamenti obbligati dei pazienti. Numerosi sono i siti web che consentono ricerche geolocalizzate di centri di ricerca e ospedalieri che offrono le prestazioni richieste e non è raro trovare strutture alberghiere nei pressi dei maggiori ospedali che rincarano i propri prezzi, sfruttando una fortunata posizione strategica. Sicuramente il futuro prevede un mercato in crescita nel settore, per cui la sfida più grande sarà quella del sistema sanitario italiano che, in fede al proprio ruolo sociale e politico e al netto dell’eticità del tutto, dovrà inevitabilmente farsi carico dei pazienti più svantaggiati, con l’obiettivo di aumentare l’omogeneità nelle prestazioni e nell’accesso.
[1] CLUST-ER Tourism, L’ascesa del turismo medico: un mercato globale in espansione.
[2] Tomas Mainil, Eke Eijgelaar, Jeroen Klijs, Jeroen Nawijn e Paul Peeters – DIRECTORATE-GENERAL FOR INTERNAL POLICIES, Policy Department for Structural and Cohesion Policies
Transport and Tourism, Research for TRAN Committee – Health tourism in the EU: a general investigation, giugno 2017.
[3] SEF – Surgical European Facilitator, Turismo Medico, panorama globale dell’assistenza sanitaria, 17 Dicembre 2023.
[4] AGENAS – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Programma Nazionale HTA Dispositivi Medici 2023-2025, 14 aprile 2025.
[5] Censis – Centro Studi Investimenti Sociali, Migrare per curarsi, gennaio 2017.
[6] Redazione cronaca, Il turismo sanitario spacca l’Italia in due: un quarto di chi si sposta viene a curarsi in Lombardia, «Il Giorno», 12 febbraio 2025.
[7] Riccardo Castrichini, I dati del “turismo sanitario” nel 2024: dove vanno a curarsi gli italiani, «QuiFinanza», 6 giugno 2024.
[8] Riccardo Castrichini, I dati del “turismo sanitario” nel 2024: dove vanno a curarsi gli italiani, «QuiFinanza», 6 giugno 2024.
[9] Censis – Centro Studi Investimenti Sociali, Ospedali&Salute – 21° Rapporto annuale 2023, 27 marzo 2024.
[10] Riccardo Castrichini, I dati del “turismo sanitario” nel 2024: dove vanno a curarsi gli italiani, «QuiFinanza», 6 giugno 2024.
[11] Censis – Centro Studi Investimenti Sociali, Migrare per curarsi, gennaio 2017.