L’artigianato e le piccole e medie imprese per un nuovo ecosistema. Intervista a Claudio Pazzaglia
- 13 Giugno 2025

L’artigianato e le piccole e medie imprese per un nuovo ecosistema. Intervista a Claudio Pazzaglia

Scritto da Daniele Molteni

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Claudio Pazzaglia è Direttore Generale CNA Bologna.


Qual è il ruolo di CNA Bologna e come opera sul territorio?

Claudio Pazzaglia: Come CNA a Bologna siamo un’associazione presente dal 1945, e quest’anno festeggiamo i nostri 80 anni. Attualmente annoveriamo tra i nostri associati circa 13.500 imprenditori, titolari o soci di impresa. In più abbiamo 9.000 pensionati associati e altri 13.000 cittadini che si rivolgono a noi per i nostri servizi. Siamo un’associazione diffusa in 27 sedi territoriali, che mette al centro la persona, e abbiamo 400 dipendenti che lavorano su servizi per circa 35 milioni di euro. Pur essendo un’associazione che nasce per la difesa, la tutela e lo sviluppo delle imprese artigiane delle piccole imprese, lavoriamo in maniera continuativa in diversi ambiti, stando attenti all’equilibrio socioeconomico, e soprattutto al reticolo sociale dello sviluppo economico che si è creato in questi 80 anni di pace sul territorio bolognese. Per noi non esiste esclusivamente l’impresa che produce reddito e occupazione; l’impresa si deve integrare sul territorio per mantenere in vita il sistema dell’economia di prossimità. Questo affinché la società possa crescere in maniera armonica, avendo a portata di mano, sia nei quartieri periferici della città che nei paesi della pianura e della montagna, tutti i servizi relativi a quell’economia che serve a mantenere un contesto sociale ed economico più sostenibile.

Inoltre, come associazione siamo impegnati nella certificazione ESG, con un’attenzione particolare per quello che riguarda la “S”, quindi relativamente all’aspetto sociale. Siamo impegnati in una serie di collaborazioni con la realtà economica bolognese su tantissimi temi. Prima di tutto l’invecchiamento della popolazione, ma anche l’emarginazione sociale ed economica di tante categorie, che attualmente comprendono anche soggetti impensabili fino a pochi anni fa, come i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi, che non si possono permettere un pasto al giorno, o di avere un’abitazione dignitosa. In una città come Bologna, pur sviluppata, ci troviamo di fronte a questi bisogni sociali, che riguardano anche il difficile ricambio generazionale, la mancanza quindi di nuove generazioni di imprenditori. Assistiamo a una ridotta propensione da parte dei giovani verso l’autoimprenditorialità e, di conseguenza, a un depauperamento del sistema economico.

 

Quali sono le principali collaborazioni che portate avanti?

Claudio Pazzaglia: Una delle collaborazioni riguarda la partecipazione alla piattaforma bolognese “Insieme per il Lavoro”, che è sostenuta dalla Curia bolognese insieme alla Città Metropolitana. In questa piattaforma vengono iscritti tutti quei soggetti in cerca di lavoro che vivono forme di emarginazione, come cittadini stranieri, ex detenuti, o soggetti che hanno perso il lavoro e hanno un’età superiore ai 55 anni. Questo riguarda in particolare i settori lavorativi dell’artigianato e della piccola e media impresa. Collaboriamo, inoltre, con la mensa dell’Antoniano e con le Cucine Popolari offrendo contributi e promuovendo iniziative per raccogliere fondi, affinché queste mense possano continuare a erogare i servizi giornalieri di pasti alle persone bisognose. Si tratta in totale di quasi 1.000 persone al giorno che accedono a questi servizi. Abbiamo anche una forte presenza nel nostro sindacato di tantissimi ex imprenditori, oggi pensionati, che collaborano nel volontariato, ad esempio, attraverso l’insegnamento dei mestieri che si stanno perdendo, sia nelle scuole che in contesti di presenza di persone emarginate. Lavoriamo anche molto sul mondo dell’assistenza agli anziani, per cui organizziamo percorsi formativi, incontri, convegni e viaggi culturali, per un loro reinserimento nella vita sociale. Infine, collaboriamo con il carcere di Bologna per il reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti in libertà vigilata.

 

Rispetto ai temi che ha già citato, come valutate il Piano Metropolitano per l’Economia Sociale di Bologna? Parlando del rapporto tra il mondo dell’economia sociale e il settore for profit, che tipo di interlocuzioni ci sono state e cosa vi aspettate da questo Piano?

Claudio Pazzaglia: Pensiamo che il Piano metropolitano di Bologna sia uno scenario interessante. Intanto lo è dal punto di vista occupazionale in quanto, al di là della di tutti i discorsi di aiuti e di solidarietà, siamo dell’idea che possa contribuire a offrire prospettive di emancipazione e, pragmaticamente, a trovare quelle figure che possano essere reinserite in diversi settori attualmente in difficoltà. Pensiamo ci sia un estremo bisogno di reinserimenti di lavoratori e lo vediamo osservando il fenomeno della carenza conclamata di maestranze nelle piccole e medie imprese. Pur essendoci in questo momento una fase di crisi economica e un’incertezza complessiva dovuta anche agli annunciati dazi degli Stati Uniti, promossi dall’amministrazione Trump, di fatto nelle piccole e medie imprese circa il 50% della domanda di lavoro non viene soddisfatta da figure adeguate. Quindi, in questo contesto, il capitale umano da riconvertire non esclude nessuno. E anche qui, l’economia sociale potrebbe avere il suo valore aggiunto importante, come interazione tra le parti.

Come CNA Bologna siamo stati interlocutori del Piano e siamo stati coinvolti in quanto consapevoli di quanto Bologna sia la città della cooperazione, ma anche della collaborazione fra imprese. Dei nostri 13.000 imprenditori, 6.000 sono imprese individuali molto attente a cooperare fra di loro per creare valore aggiunto, nuovi mercati e nuovi business. Pensiamo che il confine fra profit e non profit sia abbastanza labile. Abbiamo bisogno, in prospettiva, di avere una società bolognese attrattiva, dove ci sia un ricambio generazionale e dove nessuno si senta escluso, e dobbiamo lavorare tutti in questa direzione. Dal punto di vista economico, inoltre, l’aumento dell’emarginazione, della disoccupazione e dell’incapacità di soddisfare i bisogni più basilari, può creare tensioni sociali che influenzano la sicurezza della città.

 

Sui temi più specifici del Piano, come l’abitare, il lavoro equo e il welfare di prossimità, considerando che le piccole e medie imprese sono un fattore rilevante nel tessuto economico e industriale, in che modo potrebbero contribuire a promuovere un miglioramento delle condizioni?

Claudio Pazzaglia: Le faccio alcuni esempi. I nostri imprenditori dell’acconciatura e dell’estetica ogni anno lavorano all’interno del comitato “Acconciatori ed estetisti in strada” di CNA, in un calendario che prevede una serie di feste in vari luoghi, da Castiglione dei Pepoli a San Giovanni in Persiceto, San Lazzaro e così via. Durante le fiere che avvengono in questi paesi, diversi professionisti offrono per una giornata intera la cura della persona con offerta libera e questi fondi vengono poi reinvestiti nelle ONLUS locali. Un altro esempio è la collaborazione con il Policlinico Sant’Orsola e il suo reparto di oncologia, dove offriamo le cure di acconciatori ed estetisti alle persone che hanno problemi di perdita dei capelli dovuti alle cure chemioterapiche, e rischiano di perdere l’autostima dal punto di vista del loro aspetto fisico. Ovviamente non si tratta solo di un servizio di taglio capelli o di estetica, ma di un messaggio di solidarietà. L’economia sociale si basa moltissimo, almeno secondo noi, sul rapporto tra le persone e sulla capacità di mettere a disposizione non solo la propria professionalità, ma anche la capacità empatica di donare tempo agli altri. Siamo un Paese manifatturiero e la nostra forza è anche la capacità personale di offrire un servizio su misura, di dare la giusta attenzione all’altra persona, di donare spazio, tempo e anche parte del valore aggiunto prodotto per creare un contesto che rimanga solidale.

A Bologna sono attive 85.000 imprese e 130.000 imprenditori, quindi su un’area metropolitana che conta circa un milione di abitanti l’imprenditoria diffusa è già di per sé un grande valore aggiunto dal punto di vista dell’economia sociale. Rimangono, tuttavia, irrisolte alcune questioni, e sicuramente il tema dell’abitare è tra queste. Il problema di trovare casa ai lavoratori è uno di quelli più esplosivi di questo periodo per quanto riguarda il mondo imprenditoriale. Molte imprese trovano personale ma non ci sono abitazioni a prezzi accessibili per queste persone. Ci aspettiamo, in questo senso, investimenti sulla riduzione dei costi degli affitti, ma anche il rafforzamento delle collaborazioni produttive tra le associazioni no profit e le nostre imprese. Tra queste collaborazioni, abbiamo alcuni esempi di commesse di lavoro date a ONLUS territoriali per offrire la possibilità a coloro che hanno alcuni tipi di disabilità di poter essere impegnati in attività manifatturiere, produttive, di servizi. Come CNA Bologna, ad esempio, stiamo lavorando anche con una cooperativa per la digitalizzazione del nostro archivio che vanta una storia di 80 anni. Quindi sono tutte attività già presenti ma che dovrebbero anche essere ampliate a diversi ambiti. Tra questi ambiti c’è anche l’altro importante tema della mobilità, per cui attualmente siamo in una fase di cantiere che riguarda, in particolare, il tram e la Città 30 di Bologna. Siamo attenti a questi sviluppi, soprattutto perché il nostro interesse è che l’imprenditoria diffusa possa contribuire alla realizzazione di una società sempre più inclusiva.

 

Abbiamo parlato di come sul territorio bolognese ci sia un un’anima votata alla cooperazione, non solo da parte delle realtà dell’economia sociale. Secondo lei, il Piano potrebbe essere un esempio per futuri sviluppi nazionali?

Claudio Pazzaglia: La città di Bologna, in quanto laboratorio, sicuramente può fornire un esempio importante. Il Piano che è stato scritto, e che abbiamo condiviso con tutti gli stakeholder, penso che sia un bell’esempio di individuazione delle missioni da compiere da qui in avanti. Il tema dell’abitare che ho già citato è uno dei principali, ovviamente, ma anche il tema del welfare di prossimità è fondamentale. Proprio su questo punto, per quanto riguarda le piattaforme nazionali, come associazione cerchiamo di fare in modo che i fornitori di quel tipo welfare siano le micro e le piccole imprese locali, in modo tale da mantenere i consumi in una dimensione locale e dunque di favorire la coesione territoriale. La città di Bologna però ha anche altre sfide che dobbiamo affrontare. Ad esempio, la pressione turistica, che influenza di molto i prezzi delle case e l’accessibilità di determinati tipi di consumi.

Questo piano bolognese ha moltissime ambizioni. Però è stato costruito in modo razionale, e credo che possa essere un ottimo esempio per le politiche a livello nazionale. Sicuramente questi progetti e queste attività dovrebbero avere un piano nazionale per l’economia sociale, perché quelli territoriali sono importanti ma non sono sufficienti. Le risorse di una Città Metropolitana sono limitate e ci sarebbe appunto anche l’esigenza di un coordinamento più ampio, dove tutti i territori possono portare avanti quello che già hanno, rispetto a quello che è il contesto culturale ed economico di riferimento, perché ogni città presenta diverse condizioni economiche. Bologna, ad esempio, è la seconda o terza provincia italiana per PIL pro capite, però sono ancora presenti delle divaricazioni diverse da altri territori. Abbiamo ancora circa il 10% della popolazione che non riesce a soddisfare i bisogni elementari ed è necessario pensare a investire per recuperare questo gap. Perché poi, quando si oltrepassa un certo livello di emarginazione, quando la percentuale aumenta, viene messo a repentaglio anche il sistema democratico. Questo è un po’ il contesto e queste sono le nostre preoccupazioni, per cui nessuno può essere disinteressato ai piani per l’economia sociale. Quello di Bologna ha tanti aspetti che, se ben analizzati, sono anche molto interessanti per lo sviluppo dell’economia, come il tema del giusto salario e non solo. Non dobbiamo vederlo solamente come qualcosa di nicchia, ma come una visione diversa che riguarda tutta l’economia.

 

Qual è e quale può essere il vostro ruolo, più in generale, sul tema della sostenibilità ambientale, che anche il Piano prevede di valorizzare e promuovere?

Claudio Pazzaglia: Noi ovviamente siamo sempre pronti e disponibili a mettere in campo tutto il nostro sistema di assistenza e consulenza e le nostre risorse economiche, e a collaborare in progetti come stakeholder, per creare nuove opportunità anche nel mondo della sostenibilità ambientale. Abbiamo una collaborazione con il progetto “Utile”, che vede il recupero e il riciclo delle lavatrici che vengono portate presso le isole ecologiche, che ci ha permesso, insieme a un’impresa che fa questo tipo di raccolta, di non dismetterle completamente, ma di recuperare quelle parti che sono reimpiegabili e di reimmettere sul mercato delle lavatrici a costo zero da donare alle organizzazioni di sostegno, ai comuni e alle altre ONLUS, che possono donare queste lavatrici per essere riutilizzate. Inoltre, sono stati creati vari posti di lavoro per il recupero e il rimontaggio delle lavatrici. Questo è un altro filone dove noi, insieme alle nostre imprese, siamo molto interessati a collaborare perché si può creare molta occupazione: tutto il mondo delle riparazioni e manutenzioni, del riuso e del riciclo dei beni, dall’abbigliamento ai mobili, agli arredi. Questi discorsi possono sembrare qualcosa di ormai scontato, ma purtroppo non siamo ancora impegnati adeguatamente e in modo concreto per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, che dovrebbe essere vista anche come un’opportunità per creare nuove dinamiche di consumo e di uso dei beni.

Scritto da
Daniele Molteni

Editor di «Pandora Rivista», si è laureato in Relazioni internazionali all’Università Statale di Milano e ha collaborato con diverse realtà giornalistiche, tra cui «Africa Rivista», «Lavialibera» e «Modern Insurgent». Si occupa di politica internazionale, questioni sociali e tecnologia. È membro del collettivo giornalistico “Fuorifuoco”.

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