Le sfide dell’aerospazio: la storia di Curti. Intervista a Alessandro Curti
- 22 Luglio 2024

Le sfide dell’aerospazio: la storia di Curti. Intervista a Alessandro Curti

Scritto da Giacomo Bottos

9 minuti di lettura

Reading Time: 9 minutes

Alessandro Curti è Amministratore delegato di Curti Costruzioni Meccaniche.


Oggi Curti Costruzioni Meccaniche è un’azienda specializzata nella produzione di macchine automatiche e in lavorazioni complesse al servizio di diverse applicazioni industriali. A partire da un insieme di competenze nel settore meccanico Curti opera nel settore aerospace, ma anche in ambiti come il packaging, il wire processing, la circular economy e il co-engeneering. Come è arrivata a essere quella che è oggi? Quali sono i passaggi fondamentali della storia di questa realtà aziendale?

Alessandro Curti: Curti nasce nel 1955 dallo spirito di intraprendenza degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, in un contesto in cui si avvertiva fortemente la necessità di ricostruire il Paese e superare la miseria del conflitto. In particolare, l’azienda nacque dall’impegno di mio padre, che trascorse tre anni di prigionia negli Stati Uniti dopo essere stato catturato in Libia dalle truppe anglo-americane e che per il suo grado di sottotenente ebbe l’opportunità di studiare, in quanto ufficiale, nel Massachusetts. Nonostante provenisse da una famiglia molto povera e avesse trascorso gli anni dell’adolescenza in orfanotrofio con il fratello, possedeva già una notevole cultura relativa alla meccanica e il periodo negli Stati Uniti rafforzò le sue competenze. Tornò in Italia con una formazione arricchita sia in ambito meccanico che culturale, e trovò lavoro presso l’azienda Cogne a Imola, una succursale della Cogne della Val d’Aosta, nota per la produzione di acciaio e di armi nel periodo bellico, appena ricostruita dopo le distruzioni causate dai bombardamenti. Alla Cogne mio padre lavorò per diversi anni, collaborando con l’allora direttore generale, un ex capo partigiano, l’ingegnere Carlo Nicoli, e insieme ad altri colleghi contribuì alla ricostruzione dell’azienda, che divenne un’impresa di rilievo e un laboratorio di innovazione con sistemi di welfare avanzati, simili a quelli della Olivetti. Tuttavia, cambiamenti politici e di conseguenza anche gestionali interni all’azienda lo portarono poi a licenziarsi, seguito da molti altri dipendenti licenziati poco dopo dalla proprietà. Queste persone furono le fondamenta del successivo sviluppo dell’industria a Imola che, grazie a questa “gemmazione”, divenne una città prospera. Molti intrapresero percorsi diversi e nacquero anche numerose cooperative all’avanguardia, rendendo la città un esempio quasi unico al mondo e paragonabile forse solo alla regione dei Paesi Baschi in Spagna. In questo periodo, mio padre iniziò con la produzione di fibbie per borse e cinture insieme a mio zio. Ma i due fratelli decisero di separarsi, seguendo una pratica tipica della Romagna: uno divideva il patrimonio in parti e l’altro sceglieva quale parte prendere, garantendo così equità. Con una somma modesta nel 1955 mio padre fondò un’azienda di accessori per macchine tessili, che si espanse agli accessori per macchine agricole e, nel 1968, passò alla produzione di macchine automatiche e a operare anche nel settore della difesa, trasferendosi a Castel Bolognese. L’azienda crebbe rapidamente in termini di personale e di tecnologia, grazie alla capacità di lavorare materiali complessi e agli studi di mio padre negli anni di prigionia – periodo a testimonianza del quale restano molti libri nella nostra biblioteca –, e si dotò di macchine a controllo numerico e di strumenti di misura avanzati, prosperando fino alla prematura scomparsa di mio padre nel 1976, a soli 56 anni. Forte di validi collaboratori che provenivano anche dall’esperienza della Cogne, l’azienda riuscì a continuare a crescere, trasformandosi da piccola impresa artigiana a media società per azioni. Quando mia sorella e io completammo gli studi universitari ci trovammo pronti a cercare di gestirla e ad affrontare le nuove sfide. Nel 1989, assunsi il ruolo di amministratore delegato e decidemmo di ampliare la gamma dei nostri prodotti, puntando su una produzione propria. Questo fu un passaggio fondamentale per l’azienda.

 

Quali sono state le principali trasformazioni avvenute successivamente, anche rispetto al settore aeronautico?

Alessandro Curti: Inizialmente eravamo un’officina che lavorava per conto terzi, prevalentemente per la carpenteria, con saldature di qualità, montaggi e lavorazioni nel settore delle macchine automatiche, delle macchine tessili e anche di robot antropomorfi e cartesiani. Quindi avevamo le competenze necessarie a costruire un prodotto proprio. Mancava solo la progettazione specifica. Abbiamo lavorato per la difesa terrestre ma per poco tempo, poiché già dal 1983 l’Italia decise, per scelta politica, di disinvestire da questo settore. Abbiamo allora spostato la nostra attenzione sugli elicotteri e sui componenti di aerei come i Boeing, per cui realizzavano componenti per gli alettoni che servono in fase di frenata. Siamo poi diventati fornitori del Gruppo Finmeccanica (l’attuale Leonardo), lavorando con Agusta, e nel 1990 ci siamo concentrati sugli elicotteri passando alla saldatura prevalentemente del titanio e al montaggio di questi materiali difficili da lavorare, con numerosità basse ma con difficoltà intrinseche importanti. Non è facile avviarsi su certi settori e anche se numerose imprese oggi stanno provando a orientarsi nella direzione dell’aeronautica e dell’aerospazio, va tenuto presente che è necessario un lavoro di preparazione lungo e complesso e sono richieste numerose certificazioni. Servono tanto studio e risorse – economiche, finanziarie e umane – e l’azienda deve conoscere esattamente il processo e come deve essere configurato: la conoscenza è fondamentale in questi campi. 

 

Come accennava, c’erano le condizioni in azienda per realizzare un prodotto proprio. Come è avvenuta la trasformazione?

Alessandro Curti: Sono passati più di vent’anni da quando abbiamo avviato la nostra trasformazione. Oggi siamo leader di mercato a livello globale per le macchine destinate alle lavorazioni del cavo elettrico, e siamo riconosciuti tra i migliori in questo settore. Nel tentativo di diversificare il nostro portfolio prodotti, abbiamo esplorato anche l’opzione di entrare nel mercato degli elicotteri con un nostro modello. Non posso ancora dire se questa sia stata un’idea vincente perché, nonostante gli sforzi messi in campo negli anni, i risultati commerciali non sono ancora ottimali. Per diversificare l’offerta abbiamo deciso di convertire gli elicotteri in droni. Parlando di droni è cruciale sfatare un mito che li riguarda: i droni, infatti, spesso sono considerati soltanto come strumenti utilizzati in contesti di guerra – come accade oggi in Ucraina e Palestina – ma in realtà ne esistono di numerosi tipi, che si prestano a svariati usi. In passato sono stato aeromodellista e il drone che oggi è più popolare era inizialmente un aeromodello radiocomandato, un dispositivo volante pilotato da terra che eseguiva acrobazie aeree. Nei nostri droni attuali possiamo trasportare fino a 250 kg, generalmente strumenti ma anche beni di prima necessità, medicinali, cibo e materiali di ogni tipo. Come tutti i droni, anche i nostri possono essere, e nel nostro caso sono, destinati a usi civili con applicazioni molteplici. Questa tecnologia sta diventando sempre più integrata nella nostra società e sarà impiegata in una vasta gamma di attività, dal trasporto organi per i trapianti alla sorveglianza dei boschi per prevenire incendi. Attualmente esiste una percezione distorta, influenzata dal clima geopolitico, ma è importante ribadire che l’uso dei droni non si limita al solo ambito militare ma trova numerose applicazioni in campo civile, medico, della sorveglianza e della prevenzione dei disastri climatici sempre più frequenti.

 

In questa fase diverse aziende che operano in settori correlati all’automotive e al racing stanno guardano con interesse all’aerospazio come settore per diversificare le proprie attività. Quali sono le potenzialità e quali gli ostacoli penso ad esempio alla questione delle certificazioni?

Alessandro Curti: Le aziende che oggi operano nell’automotive in linea di principio utilizzano già tecnologie molto simili a quelle impiegate nel settore aeronautico o aerospaziale, e questo può facilitare la transizione. Queste imprese tendono a essere concentrate sul prodotto, sulla produzione e sui processi speciali. È essenziale però prestare grande attenzione alla fase iniziale di transizione, anche se può essere scoraggiante, perché è irrealistico aspettarsi di entrare immediatamente sul mercato senza una preparazione adeguata. Noi abbiamo impiegato diversi anni per raggiungere i risultati attuali, cui siamo arrivati gradualmente e attraversando diverse crisi, inclusa quella causata dalla pandemia di Covid-19. Detto questo le prospettive sono senz’altro interessanti. Tra i valori fondanti di Curti vi è sempre stata la libertà: riteniamo che tutto ciò che facilita il movimento delle persone avrà sempre più successo, considerando anche l’aumento della popolazione mondiale. Le aziende devono avere fiducia perché, nonostante la presenza di sacche di povertà, il benessere generale è migliorato e le persone desiderano vivere meglio e conoscere sempre di più il mondo, con Internet che gioca un ruolo fondamentale in questo. 

 

Nel territorio emiliano-romagnolo, se si prescinde da alcune realtà di eccellenza, non c’è una grandissima tradizione nel settore aerospaziale. Come è possibile far crescere in questo contesto un nuovo ecosistema? 

Alessandro Curti: Questa è l’essenza del problema. In Italia ci sono solo due grandi aziende che operano in questo settore: Leonardo e Thales Alenia Space, che è comunque partecipata da Leonardo che ne possiede il 33%, ed è più focalizzata sullo spazio che sull’aeronautica. Mi limito a parlare dell’Italia perché ogni Paese, anche se europeo, ha le sue caratteristiche, ed è difficile fare un discorso unico in una fase in cui l’Unione Europea vive una situazione di particolare difficoltà. Le due grosse aziende che ho menzionato operano in territori dove hanno le proprie sedi ma anche dove si concentrano le reti di imprese fornitrici. Questi territori si trovano principalmente in cinque regioni: Puglia, Campania, Lazio, Lombardia e Piemonte. La presenza di queste grandi imprese sul territorio sarebbe cruciale per creare una rete di subfornitura che possa attingere e beneficiare delle competenze, tipiche anche del settore automotive, soprattutto dove vi è competizione. Si potrebbe dire che, in un certo senso, una macchina volante non è altro che una “automobile ribaltata” e le competenze necessarie sono analoghe. La Regione e, in particolare, l’assessore Vincenzo Colla si stanno impegnando molto nel coinvolgere i grandi player del settore. Quando si iniziò a discutere di tali questioni, ormai quattro anni fa, si è subito intuito che, indipendentemente dal futuro dell’elettrico, ci sarebbe stata una crisi della meccanica tradizionale legata al settore automobilistico e quindi la necessità di aprire nuove direzioni. Ci vorrà molto tempo, sono necessari investimenti significativi sul territorio e la presenza di uno di questi grandi gruppi, e sarà fondamentale che anche gli imprenditori locali investano importanti risorse. È essenziale recuperare il tempo perso, perché in passato all’estero ci sono stati investimenti miliardari in questi settori e al momento in Italia non abbiamo la capacità di raggiungere rapidamente chi ha iniziato dieci o più anni fa con tali risorse. Tuttavia, possiamo contribuire con la nostra intelligenza e la nostra capacità imprenditoriale.

 

Quali sono gli attori che hanno investito in maniera consistente in questo ambito?

Alessandro Curti: Francia, Germania, e ancor più Stati Uniti e Cina, che operano in un contesto completamente diverso. Se desideriamo che il nostro Paese progredisca, è fondamentale creare lavoro e le condizioni migliori affinché le aziende possano operare efficacemente. La prosperità dipende in parte da loro, ma è essenziale che la Nazione fornisca un contesto adeguato, altrimenti affermare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro risulta solamente ipocrita. Nonostante l’Italia abbia tutte le competenze e una lunga tradizione in questi settori, manca di visione, di lungimiranza e degli investimenti necessari per sostenere la crescita. Leonardo e Thales Alenia Space possiedono eccellenti competenze a livello mondiale, ma senza un sistema-Paese che offra adeguato supporto, è difficile che il settore e l’ecosistema possano avanzare. Questo non è un settore in cui si può progredire in modo frammentato ma è necessario procedere uniti, con la collaborazione di università, centri di ricerca, imprese, fondi di investimento e di tutti coloro che possono promuovere la crescita e la nascita di nuove imprese. Però il problema di un Paese come l’Italia, con tante piccole e medie imprese, è che serve comunque la grande impresa che faccia gli investimenti. Purtroppo, durante la storia industriale italiana sono state sprecate molte occasioni che avrebbero potuto mantenerci commercialmente ai livelli dei Paesi più all’avanguardia.

 

Questa necessità di coordinamento per superare i limiti ha contribuito alla nascita di consorzi come ANSER (AeroNautics and Space in Emilia-Romagna), che è dedicato all’aerospazio. Qual è la sua logica e come nasce?

Alessandro Curti: ANSER rappresenta un’iniziativa regionale mirata a promuovere la visibilità internazionale della filiera, anche attraverso strategie di marketing. Il consorzio è un’opportunità per consolidare alleanze e accedere ai mercati esteri ed è chiaro che per competere efficacemente con giganti del settore come Airbus o Boeing è necessario raggiungere una dimensione critica che possa soddisfare tutte le esigenze dei vari mercati. Per questo motivo, stiamo cercando di aggregare diverse aziende con competenze complementari nell’aeronautica, nello spazio, nella progettazione e nella ricerca, al fine di accrescere la nostra attrattività sul mercato globale. La nostra priorità è creare valore aggiunto, sfruttando le competenze delle persone e incentivando una maggiore collaborazione tra industria, università e ricerca. La ricerca, infatti, deve essere orientata verso risultati concreti, non limitata alla mera pubblicazione accademica, perché in un contesto di risorse limitate è essenziale focalizzare gli investimenti su progetti applicativi che forniscono dati empirici per guidare le decisioni strategiche. Il nostro recente sviluppo nel settore degli elicotteri, in particolare con il brevetto del sistema di paracadute accettato nell’Unione Europea e in fase di valutazione anche negli Stati Uniti e in Cina, testimonia il nostro impegno verso l’innovazione tecnologica e il riconoscimento globale dell’Italia da un punto di vista delle competenze e della cultura tecnica, fondamentali per il progresso di un Paese.

 

In un’impresa come la vostra, che lavora in settori e in ambiti diversi facendo lavorazioni di frontiera con materiali particolari, come nascono le idee e l’innovazione? Che tipo di interazioni esistono tra i vari settori in cui operate?

Alessandro Curti: Mi piacerebbe che ci fossero più interazioni, perché questa è la strada che dovremmo prendere. È evidente che ci sia un impegno in questa direzione ma sarebbe necessario un maggiore coordinamento, un’attenzione alla lettura approfondita dei fenomeni globali, alla partecipazione a fiere e convegni e all’ascolto dei clienti. Manca una politica strutturata per le idee ma c’è anche un elemento di casualità positivo, perché non sempre il caos è dannoso. Spesso le cose nascono da contesti informali, e il vero problema è trovare poi il modo di formalizzare ciò che è informale. Noi siamo innovatori in molti ambiti, come quello della fusione nucleare in cui attualmente stiamo sviluppando progetti per misuratori di temperatura per i tokamak, reattori nucleari al cui interno si raggiungono temperature di milioni di gradi rendendo impossibile l’uso di termometri tradizionali. Questo progetto è estremamente complesso, ma stiamo collaborando attivamente con il CNR di Roma e con ufficio di progettazione lombardo (L.T. Calcoli). Collaboriamo come capi commessa perché da soli non avremmo mai avuto le competenze complete: il CNR porta l’esperienza di calcolo, mentre noi contribuiamo con le competenze di costruzione. Questa cooperazione ha portato alla realizzazione di un prodotto che stiamo vendendo anche negli Stati Uniti e che ha ottenuto risultati nettamente superiori a quelli raggiunti dagli stessi produttori statunitensi, tanto che dopo il primo prototipo acquistato ne sono seguiti altri e siamo fiduciosi che possa diventare un nuovo filone di business. In conclusione, è fondamentale unire le forze, anche se allo stesso tempo è evidente quanta fatica ancora si faccia a farlo.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici