Recensione a: Paolo Bricco, Leonardo. Motore industriale e frontiera tecnologica dell’Italia, il Mulino, Bologna 2023, pp. 256, 22 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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Il pendolo del capitalismo italiano ha sempre oscillato più verso il pubblico che il privato. Non solo nella ricostruzione del Secondo dopoguerra, guidata dall’IRI e dal protagonismo degli enti pubblici economici attivi nei settori più strategici, dalla difesa al credito, dall’energia alle comunicazioni, ma anche a seguito della fondamentale transizione degli anni Novanta, che ha visto mutare profondamente la costituzione economica del Paese sotto la spinta dei Trattati comunitari. L’obiettivo di privatizzare i principali gruppi pubblici, dettato dall’esigenza di fare cassa per rispettare i parametri fiscali di Maastricht, nonché in generale di adeguare l’economia ad una infrastruttura giuridica fondata sui principi del libero mercato e della concorrenza, è stato in quegli anni attuato solo in parte: se in una prima fase si è proceduto con discreto successo alla cosiddetta privatizzazione formale, ossia la trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni soggette alle regole del diritto privato comune, nel momento della cosiddetta privatizzazione sostanziale, vale a dire l’effettiva dismissione delle partecipazioni pubbliche, da un lato non si è registrata una vera ritrazione dello Stato, dall’altro nei pochi casi in cui vi è stata i risultati si sono rivelati spesso fallimentari (Telecom, Autostrade). Lo Stato italiano, tramite il MEF o CDP, ha mantenuto spesso partecipazioni di maggioranza relativa, tali da permettere il controllo di fatto delle imprese privatizzande; inoltre, sovente si è riservato una golden share, capace di attribuire all’azionista pubblico poteri speciali, oggi sostituita dallo scudo altrettanto speciale del golden power. Nel complesso, parte delle maggiori imprese pubbliche sono rimaste tali, sostanzialmente, anche a seguito della privatizzazione; ed è indicativo che siano proprio le imprese a partecipazione pubblica a rappresentare oggi la maggioranza del valore della borsa italiana, oltre che ad avere il peso strategico più elevato. Motivo per cui risulta necessario guardare con attenzione a realtà come ENI, ENEL, Leonardo, Fincantieri e molte altre: per la rilevanza economica, tecnologica e geopolitica.
Tra queste, merita particolare attenzione Leonardo, ex Finmeccanica, leader nei settori della sicurezza, difesa e aerospazio. Esempio plastico di impresa pubblica, soggetta a golden power, dall’inevitabile proiezione geopolitica, centrale negli investimenti in R&D e presente in settori ad alta sensibilità. Una galassia, pure con tutte le sue contraddizioni, fondamentale per il sistema-Italia. Per tale ragione, l’ultimo lavoro di Paolo Bricco, saggista e giornalista del Sole 24 Ore, tra i massimi esperti della realtà industriale italiana, dal titolo Leonardo. Motore industriale e frontiera tecnologica dell’Italia, edito da il Mulino, risulta oggi come non mai di massima importanza: per le sfide future in ambito aerospaziale, per la drammatica fase di riarmo generalizzato, per l’automazione, la robotica, la cybersecurity. La maestria della penna di Bricco, solita ad unire una prosa elegante con una documentazione analitica, fatta di dati, numeri e riferimenti storici, è capace di raccontare questa galassia senza sconti, evidenziandone punti di forza e fragilità, sempre però nella consapevolezza che, volenti o nolenti, non si può prescindere dalla strategicità di tale realtà aziendale. Da qui la necessità di scriverne, ripercorrerne la storia, fotografarla per quello che è stata, che è e che potrebbe diventare. Una lettura utile per chiunque voglia conoscere uno dei volti più emblematici del capitalismo italiano.
Nel Secondo dopoguerra i due principali obiettivi immediati erano la stabilizzazione finanziaria e la riconversione industriale dall’economia di guerra all’economia di pace. In questo processo, un ruolo fondamentale lo svolse l’IRI, partorito negli anni Trenta da Alberto Beneduce per soccorrere un capitalismo privato in crisi. In questa cornice, il 18 marzo 1948, sulla base del d.lgs. n. 1420 del 15 novembre 1947, nasce Finmeccanica. Come scrive Bricco, «viene fondata nel Secondo dopoguerra all’interno del paradigma dell’economia pubblica. Serve per ricostruire il Paese che è in macerie. È uno dei perimetri societari e industriali – da subito ha una speciale doppia natura, insieme holding di altre imprese e impresa manifatturiera essa stessa – in cui custodire e fare crescere l’industria sviluppatasi nel nostro Paese fin dall’Ottocento» (p. 9). Sotto il suo controllo confluirono 14 aziende, per un totale di 90.000 dipendenti, tra cui diverse realtà di peso rappresentative del «codice genetico industriale dell’Italia», come Ansaldo, ex campione privato salvato poi dall’IRI (meccanica pesante e industriale e cantieristica), Oto (meccanica bellica) e San Giorgio società industriale (meccanica pesante e industriale): «in maniera erratica e contraddittoria, alternando successi e fallimenti, linee di sviluppo e ripiegamenti, ma secondo una vocazione radicalmente manifatturiera che viene appunto definita e determinata all’atto – anche – della fondazione di Finmeccanica, la placenta societaria all’interno della quale vengono accolti organismi industriali resi macilenti e fragili dalla distruzione della guerra e dai mutamenti di specializzazione produttiva imposti dalle scelte belliche» (p. 23). Quest’ultimo raffinato ritratto della galassia che sin da subito orbitò attorno a Finmeccanica riesce a coglierne gli elementi più profondi, le ombre e le luci, in un percorso che vanta più di settant’anni di storia. Vi sono gli anni del boom economico, impersonificato dallo sviluppo delle automobili e, nel caso di Finmeccanica, dalla scommessa sull’Alfa Romeo, una delle quattordici società conferite nel 1948; quelli del nucleare italiano, all’epoca, specie dopo la crisi di Suez del 1956, considerato come soluzione all’approvvigionamento energetico, che vedono Finmeccanica centrale attraverso la sua controllata Ansaldo, storia fallimentare sul piano interno (sancito dal no al referendum), che ha portato quest’ultima a orientarsi esclusivamente verso i mercati internazionali; oppure, il filo dei rapporti tra Finmeccanica e Fincantieri, dalla scorporazione della seconda dalla prima alle suggestioni su disegni di aggregazione, che non persuadono affatto l’autore; ancora, la storia dell’intreccio industriale e geopolitico alla base dello sviluppo dell’aviazione militare e civile, ossia, scrive Bricco, «la struttura tecnomanifatturiera costante e qualificante di Finmeccanica-Leonardo» (p. 95), assieme all’elettronica e la sistemistica: comparto inizialmente ibernato, stante la sconfitta dell’Italia nel conflitto bellico, vedrà poi un profondo sviluppo in parallelo con l’entrata nella NATO, nella cornice di un rapporto di simbiosi che sarà sempre più pendente verso l’anglosfera, in particolare gli Stati Uniti, come la mancata adesione negli anni Settanta – «causale o razionale, non importa» (p. 159) – al progetto europeo Airbus ha testimoniato.
Vi sono tante altre nicchie, settori, campi di attività che Bricco presenta al lettore, con la consueta attenzione per i dettagli, a partire dalle pagine dedicate all’elettronica e all’aerospazio. Per quanto concerne invece la dimensione più squisitamente d’impresa, è interessante soffermarsi sulla già menzionata transizione degli anni Novanta: anche Finmeccanica, creazione pubblica in seno all’IRI, sarà ovviamente interessata dalle privatizzazioni e, in generale, dalla globalizzazione dei mercati internazionali. Nel 1993, infatti, si apre agli investitori istituzionali con la quotazione alla Borsa di Milano. In questo senso, scrive Bricco, Leonardo diventa «un’impresa connessa ai mercati internazionali e alle piattaforme manifatturiere globali. La parabola della globalizzazione, che negli anni Novanta diventa la forma economica e politica, culturale e civile del mondo con la fine del socialismo reale e con l’imporsi del canone occidentale, coincide con la prima ricomposizione e riorganizzazione della allora Finmeccanica, che inizia ad assumere e a esprimere maggiore autonomia industriale e strategica» (p. 149); in merito, è profondo, ad esempio, il radicamento negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ciononostante, ci tiene a sottolineare l’autore, «è, anche, un’impresa intimamente collegata all’economia e alla società italiane. È un elemento fondamentale del passaggio industriale e nazionale che ormai conta su una struttura produttiva polverizzata nel suo assetto imprenditoriale e beneficia di pochi grandi gruppi che hanno mantenuto in Italia le funzioni strategiche, le attività produttive, la ricerca e l’innovazione. Nella fusione e nella compenetrazione delle due dimensioni – nazionale e internazionale – Leonardo è un tassello del mosaico dell’industria della difesa e della sicurezza e dell’economia della conoscenza più avanzate del mondo occidentale» (pp. 149-150). Da un punto di vista numerico, l’ex Finmeccanica, dal 2017 Leonardo, poteva contare, alla fine del 2021, 106 insediamenti nel mondo, 55 dei quali in Italia, ricavi complessivi per 14,1 miliardi di euro (di cui una quota in media superiore al 10% destinata a ricerca e sviluppo) e 50.000 addetti.
Un profilo, scrive Bricco, che rappresenta l’esito di un percorso scandito in cinque fasi. La prima è la nascita nel 1948, su impulso dell’IRI, per la ricostruzione post-bellica e il rilancio delle prospettive produttive del Paese, con un focus in particolare su termoelettromeccanica e cantieristica. Nella seconda, tra gli anni Sessanta e Ottanta, vi sono le spinte nei settori dell’aerospazio e dell’elettronica da un lato e nel mercato di massa dell’automotive dall’altro. La terza, a cavallo della fine del secolo scorso, vede un consolidamento nell’aerospazio, difesa e sicurezza, con importanti acquisizioni in Italia (Marconi Mobile, Ote, Agusta, Telespazio, Aermacchi e Datamat). La quarta è caratterizzata dall’espansione internazionale, a partire dai mercati anglosassoni. Infine, la quinta, quella attuale, vede una intersecazione tra industria e digitale, per calare gli storici settori strategici di attività nel nuovo contesto tecnologico, tra dati, intelligenza artificiale e cybersecurity.
La penna di Bricco si muove tra le fonti con eleganza, unisce dati e immagini, si sofferma tanto sulle numerose acquisizioni societarie promosse dall’azienda nel corso degli anni quanto sulle storie degli amministratori delegati, passando per inchieste archiviate, frontiere tecnologiche, geopolitica e supercomputer. Un mosaico a tutto tondo di una galassia centrale – e in parte esemplificativa – del capitalismo italiano: il pendolo che oscilla più verso il pubblico, la stagione delle privatizzazioni parziali, il golden power, la leadership nazionale e internazionale, i rapporti con gli Stati Uniti, la capacità manifatturiera, le possibilità tecnologiche, la delicatezza del comparto bellico tra esigenze di difesa e opinione pubblica, la mano della politica, burocrazie manageriali di Stato, interessi privati e collettivi. Una storia di impresa che è in parte anche una storia di Italia. Ancora una volta Bricco, che già aveva egregiamente ritratto la realtà di Cassa Depositi e Prestiti in un suo precedente lavoro, si rivela la penna giusta per raccontarla:
«Leonardo è attraversata dalla storia. Dalle grandi svolte tecnologiche della contemporaneità. Dalle guerre di potere interne al mondo manageriale pubblico romano. Dalle rimodulazioni della geopolitica internazionale e dal suo trovarsi inserita nella macrostruttura industriale dell’anglosfera. Dalla ricostituzione delle classi dirigenti nazionali dopo l’inabissamento della Prima repubblica. Dalle dinamiche dei mercati internazionali. Sono pressioni e tensioni, pulsioni e punti di rottura, forze insieme generanti e distruttive, ricostituenti e corrosive che operano sul corpo industriale di Leonardo formatosi e sedimentatosi in almeno mezzo secolo di attività e che, soprattutto negli ultimi vent’anni, sperimenta una progressiva conformazione manageriale, un affinamento strategico e una maggiore compattezza settoriale. Negli ultimi vent’anni Leonardo cade, ma si rialza. Si affanna, ma ha mete e obiettivi da raggiungere. Ha un rapporto ora minoritario, ora conflittuale, ora moderatamente autonomo dal potere politico, ma non è un suo strumento. Gli uomini e le donne che lavorano nelle sue fabbriche e nei suoi laboratori, che trattano con i fornitori e con i clienti, che negoziano con i consorzi internazionali e con le autorità regolatorie dei Paesi stranieri partecipano a un’opera collettiva dell’ingegno che esiste, in Italia, ma che è anche indipendente dall’Italia» (pp. 160-161).