Scritto da Luca Picotti
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«In un mondo organizzato in Stati, confini e relative giurisdizioni, una nuova lente di osservazione, quella della geografia giuridica della globalizzazione, illumina gli intimi meccanismi degli scambi globali in una fase storica segnata da diverse fratture. Catene del valore, dazi, triangolazioni commerciali, sanzioni finanziarie, multinazionali, infrastrutture digitali, dati: tutto si muove in uno scacchiere composito, percorso da linee invisibili. Bisogna allora capire dove si trovano queste linee, quando si attivano, come scompongono e plasmano la realtà».
In Linee invisibili. Geografie del potere tra confini e mercati (edito Egea nel 2025), Luca Picotti – giurista, avvocato, saggista e membro dell’Osservatorio Golden Power – offre una lettura della presente e delle sue trasformazioni che prova a mettere in luce i meccanismi giuridici, economici e politici che danno forma all’attuale fase della globalizzazione.
Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore Egea, un estratto del libro tratto dal capitolo La prospettiva necessaria.
La prospettiva necessaria
Le sanzioni sono diventate parte integrante del sistema globale, sino a permeare in modo strutturale i rapporti commerciali tra le imprese. Difatti oggi non è possibile muoversi tra i mercati globali senza vagliare i settanta programmi sanzionatori americani, il quadro normativo europeo (che dal 1993 al 2021 ha portato all’utilizzo delle misure restrittive in quasi cinquanta casi), così come i diversi regimi specifici di ogni Paese. A emergere è un panorama in cui in ogni dimensione geografica vi è il rischio di affacciarsi a sistemi sanzionatori, non solo nei casi più conosciuti come Russia, Iran, Siria, Corea del Nord o Cuba, ma anche per vari Paesi dell’Africa, come Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica di Guinea, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan. Oligarchi russi, membri del governo di un Paese dell’Africa centrale, terroristi, imprese petrolifere iraniane, società cinesi (circa 1.200 società cinesi sono state inserite in questi anni negli elenchi americani), varie filiali e rami secondari: tutto può essere in qualche lista, americana o europea o di altri Paesi, se è richiesto di rispettarne la giurisdizione. L’incremento di tali apparati sanzionatori negli ultimi anni è evidente, a partire dall’articolato armamentario varato dai Paesi occidentali contro un soggetto grande come la Russia. Ormai simile strumentazione è parte integrante della globalizzazione.
Anche in prospettiva futura, bisogna dunque adottare la lente giusta per cogliere il funzionamento di questo strumento, tra potenzialità e limiti che dipendono dalle linee invisibili della geografia giuridica. Sanzionare un’impresa o tutte le imprese di un Paese terzo significa rivolgersi alle proprie imprese, localizzate nella propria giurisdizione, e prescrivere loro un certo comportamento. Ed esse sono obbligate a adempiere, perché altrimenti incorrono in sanzioni penali e/o amministrative concretamente eseguibili dalle autorità sovrane per il tramite dei propri corpi (tribunali, amministrazioni, polizia – la cosiddetta struttura effettiva). Il destinatario diretto della prescrizione è l’impresa soggetta alla giurisdizione dello Stato che adotta la sanzione; l’obiettivo indiretto è l’impresa o le imprese appartenenti al Paese sanzionato.
È da questa prospettiva che bisogna guardare a ogni misura restrittiva, che siano sanzioni finanziarie o divieti sull’export o import. Quando l’Unione Europea decide di disporre l’esclusione delle banche russe dalla piattaforma di messaggistica bancaria Swift, sta sostanzialmente prescrivendo a quest’ultima (società di diritto belga) di rendere la piattaforma inoperativa per tali banche. Swift, adempiendo, consente l’effetto pratico della sanzione, perché da quel momento le banche russe individuate non potranno utilizzare la piattaforma, salvo quelle per cui – per stessa disposizione dell’Unione Europea – l’esclusione non opera, come è stato per Gazprom Bank, in quanto necessaria a perfezionare i pagamenti delle transazioni sul gas.
Quando viene congelato il conto di una società listata o lo yacht di un oligarca a Trieste, i destinatari diretti sono rispettivamente la banca europea presso cui è aperto il conto – la quale lo renderà indisponibile alla società non consentendole l’accesso e l’utilizzo – e le autorità portuali nel cui porto è ormeggiata l’imbarcazione.
Nel momento in cui si pone il divieto di esportare beni elettronici in Russia, per colpire il mercato russo delle automobili o degli elettrodomestici, tale divieto ha come destinatario diretto l’impresa europea esportatrice, che dovrà sottostare alla prescrizione, salvo non incorrere essa stessa in sanzioni penali e/o amministrative. Così come, in presenza di un divieto di importazione di carbone russo, l’obiettivo viene raggiunto imponendo alle società europee importatrici di non concludere ulteriori contratti di fornitura, se non vogliono incorrere in conseguenze penali e/o pecuniarie.
Ancora più sofisticato ed emblematico è il caso del price cap al petrolio russo imposto dai Paesi del G7 a fine dicembre 2022, perché intreccia l’ingegneria geo-giuridica delle sanzioni con la sensibilità del mercato energetico, sicché ogni decisione va bilanciata da un lato con le esigenze di rifornimento dei vari Paesi, dall’altro con i rischi di uno shock dei prezzi capace di arrivare sino agli Stati Uniti, formalmente autosufficienti. In questo senso l’obiettivo dei Paesi del G7, che a fine 2022 si erano quasi del tutto smarcati dall’import di greggio russo, era quello di abbassare il prezzo della materia, che assieme a quello del gas stava riempendo le casse del Cremlino. Ipotizzare di convincere i Paesi terzi importatori, a partire da Cina e India, a rinunciare a tali forniture, o addirittura minacciarli con sanzioni secondarie, non solo non avrebbe funzionato ma avrebbe rischiato di far schizzare i prezzi. Ogni potenziale interferenza rilevante o interruzione dei flussi poteva tradursi in un boomerang. Come disegnare allora una misura che, senza interrompere i flussi, fosse in grado di abbassare i prezzi?
L’idea del price cap nasce da questa esigenza e da una precisa geografia giuridica: le principali imprese attive nei servizi accessori alle vendite di petrolio sono occidentali e dunque soggette alla giurisdizione dei Paesi sanzionanti. I grandi istituti finanziari che assistono il trasporto internazionale di petrolio sono americani, le migliori assicurazioni – chokepoint centrale nel settore – sono tutte occidentali e in particolare inglesi, gli armatori perlopiù greci. In sostanza, quando la Russia fornisce petrolio all’India, l’operazione coinvolge di norma società finanziarie americane, assicuratori inglesi e armatori greci. Da qui la prescrizione: questi servizi non potranno essere offerti qualora il petrolio sia venduto a un prezzo superiore a quello stabilito dal price cap (60 dollari al barile). Qualora il prezzo sia superiore le società occidentali attive nei servizi accessori non potranno prestare il proprio servizio (proprio perché sottoposte alla giurisdizione e autorità dei Paesi sanzionanti e perciò tenute a adempiere). Ciò significa che una vendita di petrolio a prezzo superiore dovrà affidarsi ad armatori e assicuratori russi o comunque non occidentali, e dunque più inaffidabili, piccoli e meno patrimonializzati, in sostanza operatori minori, privi di adeguate competenze per le grandi commesse. Si tratta di una mossa di ingegneria geo-giuridica molto interessante, giocata a filo delle linee invisibili e con una sua intrinseca coerenza, sebbene poi indebolita dalle aree grigie cui accenneremo, nonché dalle dinamiche fisiologiche di mercato, oltre che dalla difficoltà nella compliance.
Il funzionamento delle sanzioni passa per l’autorità che i singoli Stati sanzionanti hanno verso le proprie imprese, localizzate nel proprio territorio e sottoposte alla propria giurisdizione – che si traduce nel potere di enforcement basato sulla struttura effettiva: tribunali, corpi amministrativi, polizia. Un Paese altrimenti può ben poco verso un’impresa russa che importa beni occidentali, non avendo alcuna possibilità di colpirla o disincentivarla, essendo questa localizzata in Russia e lì avendo gli asset e l’amministrazione.
È un gioco di geografie giuridiche. E come si inserisce in questo contesto l’extraterritorialità su cui ci siamo soffermati in precedenza con riferimento all’impero statunitense? Il potere extraterritoriale sconfessa la prospettiva delle linee invisibili e delle geografie giuridiche sovrane?
A ben vedere, se si guarda ai meccanismi che informano l’extraterritorialità, nemmeno in questo caso si riesce a prescindere dalla geografia giuridica. Questo perché l’extraterritorialità è soprattutto una pretesa, la cui efficacia dipende dalla persuasività della minaccia e dalla sua capacità di conformare i soggetti terzi. Tutti possono decidere di estendere le proprie norme alle imprese di altri Paesi, ma semplicemente queste non si adegueranno. Se a farlo sono invece gli Stati Uniti, imponendo di scegliere tra l’Iran o Washington, Huawei o Washington, la Russia o Washington, per i terzi la situazione diviene più difficile. Ma qua siamo, invero, nell’ambito dei rapporti di forza, in un sostrato pre-giuridico.
L’impresa terza che decide di non rispettare le sanzioni secondarie americane rischia, a sua volta, di essere sanzionata, ossia nel concreto rischia che le autorità americane impongano alle proprie società di interrompere i rapporti – commerciali, industriali e finanziari – con detta impresa. Anche in questo caso, si osservi, il meccanismo è rivolto verso le società americane, localizzate in territorio americano e sottoposte alla giurisdizione di Washington, tenute a rispettare le relative indicazioni. Gli Stati Uniti non hanno invece nessun potere coercitivo diretto sull’impresa dello Stato terzo che decide di continuare a non conformarsi alle prescrizioni americane. Insomma: limiti di geo-diritto e localizzazione degli asset.
Anche nella dimensione in cui l’extraterritorialità diviene più efficace, quella delle sanzioni secondarie sugli istituti di credito di Paesi terzi, lo snodo cruciale passa per la geografia giuridica: le banche terze per essere competitive devono poter processare in dollari per i propri clienti, stante l’ancora indiscussa centralità di tale valuta; per poter processare in dollari, abbisognano di un conto di corrispondenza negli Stati Uniti; quando vengono introdotte delle sanzioni secondarie, la minaccia che viene fatta agli istituti di credito terzi è quella del blocco dei conti di corrispondenza. Il nesso di geo-diritto? La giurisdizione effettiva americana rispetto a quegli istituti americani, localizzati in suolo americano, che gestiscono i conti di corrispondenza per le parti terze: quando l’OFAC ordina a questi istituti di bloccare i conti, questi adempiranno, perché altrimenti incorrerebbero in sanzioni penali e/o amministrative eseguibili coattivamente dalla struttura effettiva americana (corti, corpi amministrativi, polizia).
In questo senso l’extraterritorialità non è extraterritoriale. Si fonda invece sul fatto che, qualora i soggetti terzi non intendano adeguarsi alle prescrizioni di Washington, Washington ordinerà alle proprie società di interrompere i rapporti con loro, nelle diverse forme (negato accesso ai finanziamenti, interruzione dei rapporti commerciali, blocco dei conti di corrispondenza). In altre parole, si traduce nel sanzionare – attraverso la prospettiva che abbiamo suggerito – soggetti ulteriori rispetto a quelli già sanzionati, per il semplice fatto che non si sono adeguati alle sanzioni già precedentemente introdotte per gli altri. Il gioco di parole non è casuale: si è potenzialmente di fronte a un circolo vizioso in cui le liste di soggetti sanzionati si ingrossano a dismisura. A meno che ovviamente, come spesso è accaduto, i terzi non decidano di accettare le leggi americane per non finire nella lista nera e perdere l’accesso al mercato più ricco del mondo.
Più che la dimensione giuridica a rilevare è dunque il potere reale degli Stati Uniti, ossia la centralità di Washington nelle supply chain e nei mercati, sia fisici (tecnologie ad alto valore aggiunto) che finanziari (mercati dei capitali, dollaro). In questo senso è già solo il rischio di inimicarsi l’impero e rischiare di essere espunti dalle sue catene che convince diversi operatori a obbedire, di fatto, alle varie sanzioni secondarie.