Scritto da Giacomo Bottos
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Oltre alle sfide che lo sviluppo dell’intelligenza pone complessivamente al mondo economico e alla società – rappresentando una trasformazione profonda che investe non solo il lavoro e i processi produttivi, ma anche la cultura, la partecipazione e la vita sociale – esistono questioni ulteriori e specifiche che una realtà come il movimento cooperativo deve affrontare.
In questa intervista, Simone Gamberini – Presidente di Legacoop – evidenzia i rischi legati a questa trasformazione, come l’aumento delle disuguaglianze e il pericolo dell’alienazione, ma anche le opportunità di miglioramento del lavoro e dei servizi e la possibile adozione di un modello di “Cooperative AI”.
In diversi momenti della storia del movimento cooperativo quest’ultimo ha mostrato capacità di interpretare i cambiamenti in corrispondenza con le diverse svolte storiche e i mutamenti dei bisogni e del contesto sociale. Quali forme assume questo tentativo nel contesto attuale, segnato dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale? Ci sono similitudini con il passato? O siamo di fronte a uno scenario completamente inedito?
Simone Gamberini: La capacità di interpretare il cambiamento è parte della natura e della storia del movimento cooperativo. Le cooperative sono nate per rispondere ai bisogni concreti delle persone in momenti storici di grande trasformazione, spesso segnati da crisi, disuguaglianze o ingiustizie. Pensiamo alla rivoluzione industriale, quando le prime cooperative nascono per garantire lavoro dignitoso, accesso ai consumi, tutela sociale. Questa forma di impresa, e il movimento economico e sociale che ne deriva, si sviluppano proprio per individuare e promuovere soluzioni per attutire gli impatti del cambiamento sulla società e sulla vita delle persone. Poi sono arrivate l’automazione e la rivoluzione digitale, e il movimento cooperativo ha sempre cercato di essere presente, a volte anticipando le risposte, sempre cercando di tenere il passo con i cambiamenti e le innovazioni. Con l’intelligenza artificiale ci troviamo di fronte a una trasformazione certamente ancora più profonda, perché tocca non solo il modo in cui lavoriamo, ma anche il modo in cui pensiamo, comunichiamo, prendiamo decisioni. Ma anche qui, la sfida è la stessa di sempre: come accompagnare e orientare il cambiamento tecnologico mantenendo al centro le persone e non lasciandole ai margini. Non si tratta quindi di uno scenario totalmente nuovo, ma le dinamiche di cambiamento oggi sono sicuramente molto accelerate, e questo impone una reazione più tempestiva, più coordinata.
Legacoop ha recentemente pubblicato un’indagine con dati che mettono in evidenza come il primo problema in tale ambito, specialmente nel nostro Paese, sia l’informazione, la comprensione, la conoscenza dei processi in corso e dei loro impatti sulle nostre vite, oltreché sulla produzione e sul lavoro. Non possiamo aspettare che i problemi si manifestino per affrontarli, dobbiamo costruire adesso una visione cooperativa dell’IA, capace di coniugare innovazione e inclusione, per un’intelligenza artificiale accessibile, etica e cooperativa. È un campo nuovo, ma con strumenti antichi: la solidarietà, la partecipazione, la mutualità. Per supportare il nostro ecosistema cooperativo nell’affrontare queste trasformazioni abbiamo disegnato una strategia fondata su tre traiettorie di lavoro. La prima riguarda il rafforzamento delle competenze digitali e l’implementazione di progettualità specifiche per settori, questo compito è affidato alla Fondazione Pico – il Digital Innovation Hub di Legacoop – che grazie a un modello organizzativo che prevede nodi territoriali può attivare azioni capillari su scala nazionale. Poi c’è la traiettoria che riguarda le risorse finanziarie, affidata a Coopfond – il fondo mutualistico di Legacoop – dove stiamo attivando azioni di sostegno alle cooperative che vogliono investire sull’IA attraverso il programma Cooding – Cooperative Digital Innovation Goals. Infine, c’è la traiettoria che riguarda la rappresentanza affidata a Legacoop, che interloquisce con legislatori a livello nazionale ed europeo, e con le parti sociali per portare avanti una nostra visione di intelligenza artificiale. Queste tre traiettorie di lavoro hanno una finalità comune: definire un modello di Cooperative AI che possa essere riconosciuto e adottato dalle cooperative di Legacoop. Per raggiungere questo obiettivo, grazie alla Fondazione Pico abbiamo costruito una rete di partnership con università e centri di ricerca, che raccolgono alcune delle eccellenze in questo settore, come ad esempio la Fondazione IFAB del Tecnopolo di Bologna o l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Proprio nel capoluogo ligure, inoltre, organizzeremo nel febbraio 2026 la tappa della Biennale dell’Economia Cooperativa dedicata all’intelligenza artificiale.
Rispetto al tema del lavoro, quali appaiono dalla vostra prospettiva le principali minacce e opportunità legate al diffondersi dell’intelligenza artificiale? Cosa cambierà nel mondo cooperativo?
Simone Gamberini: L’IA sta già cambiando il lavoro, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Basta guardare alla nostra vita quotidiana, ai nostri nuovi comportamenti, agli strumenti che più o meno tutti abbiamo cominciato a utilizzare, spesso in modo sperimentale, nei compiti piccoli e grandi che dobbiamo compiere quotidianamente. Questa tecnologia automatizza operazioni, ottimizza processi, produce contenuti e così facendo orienta il nostro modo di pensare. In settori come la logistica, la sanità, l’agroalimentare, i servizi alla persona – dove molte cooperative operano – le applicazioni dell’IA stanno diventando sempre più diffuse e si stanno diramando spesso senza una logica generale, una strategia, ma semplicemente per la loro forza pervasiva; sono utili, è impossibile negarlo, e per questo si diffondono rapidamente. Naturalmente questo processo richiede prima di tutto di essere osservato e compreso nella sua ampiezza, nello scenario complessivo che determina.
Le “minacce” riguardano in primis il rischio di sostituzione: alcuni mestieri potrebbero diventare obsoleti – alcuni lo sono già diventati sotto i nostri occhi – o comunque essere profondamente trasformati. C’è anche un rinnovato rischio di alienazione: persone che lavorano con o per sistemi che non comprendono, che non controllano e che le allontanano sempre di più dall’aspetto materiale della loro attività. Questo si colloca in un quadro in cui il lavoro stava già profondamente cambiando, e non solo per la tecnologia, e dove già stava mutando profondamente nel suo “senso”. Inoltre, c’è un tema di “disuguaglianza digitale” tra chi ha accesso agli strumenti e alle competenze e chi resta indietro. Il tema a questo punto si aggiorna e aggrava, perché tale divario riguarderà sempre di più la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro e più complessivamente nella società del futuro, sotto tutti i punti di vista: del lavoro, della vita sociale, della partecipazione alla comunità.
Tuttavia, le “opportunità” sono altrettanto grandi. L’IA può alleggerire lavori usuranti, migliorare la qualità dei servizi, supportare le decisioni, aiutare a personalizzare interventi educativi o sanitari, ottimizzare le risorse in un’ottica sostenibile. Se usata bene, in una logica redistributiva, può liberare tempo e risorse umane da impiegare in attività a più alto valore relazionale e sociale, o auspicabilmente in qualità della vita, e su questo il mondo cooperativo ha tanto da dire e da fare. Il cambiamento per le cooperative sarà duplice: tecnologico e culturale. Dovranno investire in competenze, rivedere modelli organizzativi, ma soprattutto mantenere il focus sul ruolo del lavoro come luogo di dignità, crescita e inclusione, soddisfazione e realizzazione. Il rischio non è che l’IA cambi il lavoro, ma che lo renda meno umano o addirittura disumano. Noi dobbiamo evitare questi esiti, dobbiamo contribuire a riempire di senso e di partecipazione quella struttura sociale ed economica fondamentale per le nostre società che è il lavoro. Abbiamo già diverse attività tese a rafforzare le competenze di chi lavora nelle cooperative, cito ad esempio il progetto Digiwise che è promosso dalla Fondazione Pico e sostenuto dal Fondo Repubblica Digitale e che è dedicato a chi lavora nelle cooperative sociali e in quelle culturali.
È possibile immaginare una distintività del lavoro cooperativo nel mondo dell’intelligenza artificiale?
Simone Gamberini: Preservare la distintività del lavoro cooperativo nel contesto dell’IA significa non snaturare ma anzi tutelare e promuovere i nostri principi fondanti. In un mondo in cui gli algoritmi decidono sempre di più, la cooperazione può e deve portare un messaggio forte: la tecnologia è un mezzo, non un fine. E il fine resta il benessere delle persone e delle comunità umane. Questo è un tema che può sembrare aleatorio ma in realtà è essenziale, e molto concreto. In questo momento di gestazione di tutti i grandi cambiamenti di cui stiamo parlando, direi che è un’urgenza. Serve un modello partecipato di uso della tecnologia, dove i soci, i lavoratori, i beneficiari abbiano voce e titolo. Dove le tecnologie non vengano “calate dall’alto”, non siano assorbite in modo acritico, o addirittura passivo, ma pensate, testate, migliorate insieme a chi ne farà uso. È un approccio lento? Forse. Ma è più giusto, più stabile, più umano. Pensate all’impatto di queste innovazioni sulle nuove generazioni, di cui stiamo già osservando le contraddizioni e che solleva vere e proprie emergenze educative, culturali, psicologiche, e quindi anche esigenze regolative. Poi c’è il tema dell’etica degli algoritmi. Se una cooperativa usa l’IA per fare selezione del personale, per gestire turni o priorità nei servizi, deve essere chiara su come questi algoritmi funzionano, quali dati usano, quali bias possono introdurre. Detta in linguaggio sindacale, potremmo dire che gli algoritmi devono diventare un terreno negoziale, perché sono loro a determinare una parte sempre più ampia dei processi produttivi e quindi della vita delle persone. È qui che la nostra distintività può fare la differenza: trasparenza, equità, responsabilità della tecnologia.
I dati di Legacoop relativi a digitalizzazione delle imprese e intelligenza artificiale cosa indicano? Come si stanno attrezzando le imprese cooperative?
Simone Gamberini: I dati ci raccontano un sistema in movimento, che assomiglia molto sia per struttura sia per comportamenti al sistema produttivo italiano nel suo complesso, nel bene e nel male. Abbiamo cooperative che stanno sperimentando soluzioni di IA nella logistica predittiva, nella manutenzione industriale, nella cura domiciliare. Penso alle cooperative sanitarie che useranno sempre di più l’IA per migliorare il monitoraggio dei pazienti, o a quelle agricole che la usano per analizzare i dati meteorologici e ottimizzare le coltivazioni. Ma accanto a queste esperienze virtuose, ci sono migliaia di cooperative – spesso piccole o micro e spesso radicate in territori fragili – che ancora non riescono ad affrontare questo salto. I motivi sono diversi: carenza di competenze, di risorse, ma anche semplice mancanza di informazione o timore culturale verso un mondo che sembra troppo distante. Per questo Legacoop ha avviato diversi progetti per accompagnare questo processo: sportelli digitali, percorsi formativi, gruppi di lavoro sull’IA etica, collaborazioni con università e centri di ricerca. Ad esempio, con il progetto Digital ACE, il polo di innovazione digitale sostenuto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, stiamo raggiungendo migliaia di cooperative in tutta Italia per validare lo stato dell’arte e orientare le scelte verso l’innovazione digitale. La sfida non è far diventare tutte le cooperative tecnologiche, ma fare in modo che nessuna resti esclusa dalla trasformazione in atto. Va tenuto conto, inoltre, che per le loro caratteristiche di territorialità e connessione con le comunità locali, le cooperative anche di piccole dimensioni potrebbero essere strumento cruciale per amplificare e diffondere una cultura della innovazione e della tecnologia, potrebbero diventare agenti anche educativi nel promuovere comportamenti e valori virtuosi in questo ambito essenziale.
Che impatto può avere l’intelligenza artificiale per il modello di governance cooperativa?
Simone Gamberini: L’impatto può essere duplice: da una parte può rafforzare la partecipazione, dall’altra può metterla in crisi. Dipende da come si usa. Immaginiamo un’IA che analizza in tempo reale le opinioni dei soci, magari in cooperative che ne hanno milioni, che raccoglie feedback, che elabora scenari di sviluppo in base ai bisogni emergenti: può diventare uno strumento formidabile di ascolto e orientamento, utile anche per il consiglio di amministrazione o per le assemblee. Può rendere più facile e tempestiva la partecipazione anche in contesti complessi. Di più, poiché l’impresa cooperativa è per sua natura “democratica”, su tali dimensioni può diventare un vero e proprio laboratorio delle nuove forme di partecipazione e coinvolgimento che dovranno necessariamente essere sperimentate per affrontare la crisi delle istituzioni che è ormai conclamata. Ma se invece l’IA viene usata in modo opaco, come “scatola nera” che prende decisioni senza rendere conto, allora si entra in un terreno pericoloso. Le cooperative hanno nella democrazia interna uno dei loro pilastri: ogni strumento che riduce la capacità di incidere dei soci mina la natura stessa del modello cooperativo. E, allo stesso modo, può permettere di osservare e paventare le conseguenze che tali tecnologie possono avere nel futuro delle nostre società, per cui un’eventuale piega distopica è fin troppo prevista e prevedibile. Il nostro compito è vigilare: l’IA non può sostituire la deliberazione, ma può renderla più informata, più tempestiva, più inclusiva. È una grande occasione, se accompagnata da una riflessione etica e organizzativa profonda.
L’intelligenza artificiale potrebbe contribuire a rilanciare l’attrattività dell’impresa cooperativa?
Simone Gamberini: Molti giovani oggi cercano prima e più di tutto un “senso”. I processi di cui stiamo parlando, evidentemente, siccome cambiano tutto intorno a noi, cambiano anche noi stessi, le nostre attese, speranze, ambizioni: cambiano le priorità degli individui nella società. Sempre di più le nuove generazioni cercano lavoro e imprese che abbiano uno scopo chiaro, che siano trasparenti, inclusive, rispettose dell’ambiente e delle persone. Ma vogliono anche imprese moderne, innovative, capaci di affrontare le sfide globali con strumenti all’altezza. L’impresa cooperativa può essere tutto questo, se non si chiude in se stessa. L’IA può diventare una leva per migliorare i servizi, per creare nuovi modelli di impatto sociale, per sviluppare prodotti e soluzioni orientate al bene comune. Se viene vissuta come un abilitatore di giustizia ed efficienza, e non solo come un modo per tagliare costi, allora può diventare un acceleratore di cooperazione e un motivo in più per scegliere questo modo di operare collettivamente nei mercati. Come Legacoop insieme a Coopfond stiamo per avviare Indicoo – Incubatore Diffuso di Cooperazione, uno strumento che userà l’intelligenza artificiale integrata ad azioni capillari sul territorio per promuovere l’impresa cooperativa in tutta Italia dalle grandi città alle aree interne. Una cooperativa che adotta l’IA in modo etico, trasparente, partecipato e che ha la capacità di raccontare questa scelta nel modo giusto, può diventare un punto di riferimento per chi vuole lavorare in un’impresa che guarda al futuro senza perdere il senso e anzi elaborando un nuovo senso.
È pensabile, secondo lei, immaginare una via verso un’intelligenza artificiale cooperativa? Quali caratteristiche avrebbe questo modello alternativo rispetto alle attuali forme in cui viene gestita l’intelligenza artificiale?
Simone Gamberini: Premesso che, così come per le piattaforme, realisticamente al momento l’accesso a questi mercati ha una barriera nell’altissimo livello di investimenti iniziali richiesti, non solo ha senso: è forse una delle scommesse più importanti dei prossimi anni. Parliamo tanto di IA generativa, di IA etica, ma raramente ci si chiede: a chi appartiene l’IA? Per quali scopi viene addestrata? Chi decide come viene usata? Una via cooperativa all’IA significherebbe immaginare sistemi di intelligenza artificiale progettati, gestiti e controllati da comunità di utenti, non solo da grandi piattaforme private. Significherebbe sviluppare modelli aperti, basati su dati pubblici, gestiti da soggetti collettivi che garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali. Anche se fosse un’utopia, degna dei libri di fantascienza che leggevamo nel Novecento, tuttavia segnerebbe un futuro in cui perlomeno ai grandi gruppi oligopolistici che gestiscono in maniera spesso oscura la tecnologia – e quindi il potere – si opporrebbero moltitudini di cittadini e cittadine in grado di autodeterminarsi, di riappropriarsi di questi strumenti, di governare la tecnologia per gli interessi dei molti. In ogni caso, non è utopia: in alcuni Paesi si sta già lavorando su piattaforme IA pubbliche, commons digitali, algoritmi trasparenti al servizio di politiche sociali. Le cooperative possono e devono inserirsi in questo dibattito e in questo mercato. Abbiamo l’esperienza, la rete, la visione per proporre un’alternativa concreta. E abbiamo anche imprese grandi e grandissime, con milioni di soci e risorse che permetteranno di operare in questi ambiti. In fondo, l’IA cooperativa non sarebbe altro che un’IA al servizio delle persone, non delle rendite. E questo è perfettamente coerente con la nostra storia.