“La metamorfosi del mondo” di Ulrich Beck
- 20 Giugno 2018

“La metamorfosi del mondo” di Ulrich Beck

Recensione a: Ulrich Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 248, 16 euro (scheda libro)

Scritto da Fulvio Rambaldini

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Così come Gregor Samsa, ne La metamorfosi di Franz Kafka, si risveglia una mattina trasformato in un “enorme insetto immondo” che non sa più come muoversi ed interagire con ciò che lo circonda, anche oggi, noi, ci muoviamo confusi senza capire il mondo.

Da questa problematica nasce La metamorfosi del mondo, l’ultimo libro scritto da Ulrich Beck e portato a compimento dalla moglie, a lungo sua collaboratrice. Ulrich Beck è stato docente di sociologia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco e la London School of Economics; viene considerato uno dei più influenti sociologi del XX secolo e fu il padre del concetto di “società del rischio”[1].

In questo libro si pone la fondamentale distinzione tra cambiamento e metamorfosi. Se nel primo caso si tratta di concentrare l’attenzione su di un carattere del futuro, mentre gli altri concetti rimangono invariati, nella metamorfosi tutte le certezze della società moderna vengono sradicate. La metamorfosi mette in gioco l’intero essere nel mondo; ciò che era inconcepibile accade ora, all’improvviso, come evento globale. L’opera si articola in dodici capitoli, che, rifacendosi sempre al tema centrale della metamorfosi, fanno entrare in campo altri concetti che hanno il compito di meglio illuminare il momento in cui ci troviamo a vivere.

L’idea fondamentale che Beck sviluppa ed elabora nei diversi anni di ricerca è che quanto più la modernizzazione procede e si afferma nel mondo, tanto più le sue conseguenze inattese sconvolgono le basi della modernità. L’idea della metamorfosi è l’ultimo passaggio in cui si sviluppa il pensiero del sociologo e gli consente di richiamare, in questa sua opera, tutti i temi a lui cari. Riprendendo questi argomenti egli riesce a conferire forza e unità alle sue teorie che tentano di guardare in modo lucido, al di fuori dello stato di choc in cui ci troviamo, un mondo sempre più difficile da decodificare.

«La teoria della metamorfosi va oltre la teoria della società mondiale del rischio: non riguarda gli effetti collaterali negativi dei beni, ma gli effetti collaterali positivi dei mali» (p. 6). Per Beck, la metamorfosi è un dato di fatto, bisogna prenderne atto e tentare di chiarire come muoversi all’interno di essa. Il mondo si è schiuso ed il Weltbild nazionale-internazionale non è più sufficiente, ora sono le nazioni a girare attorno alle stelle fisse rappresentate dal mondo e l’umanità. Gli “spazi d’azione” in cui ci troviamo ad agire sono «costruiti in termini cosmopolitici» (p.11). Anche chi non si sposta, grazie a internet, è, oggi, cosmopolizzato, entra nel mondo.

Questo perché il mondo si è cosmopolizzato a tal punto che anche chi voglia difendere un fondamentalismo nazionale deve agire in modo nuovo[2]; per far sì che l’azione locale abbia successo, l’agire deve essere orientato ad un quadro mondiale. Si vengono a creare per tutti (in quanto attori globali) nuovi spazi d’azione che aprono opportunità prima chiuse dai confini nazionali. Ci sono, infatti, istituzioni che, concepite in una logica nazionale, non sono più adeguate al presente e destinate, perciò, a fallire. Secondo Beck accettare il concetto di metamorfosi non significa credere in un imminente catastrofe, ma ripensare il mondo che ci circonda tenendo conto degli effetti dei rischi delle novità che ci troviamo a vivere.

 

Ulrich Beck e il catastrofismo emancipativo

Un tema a cui l’autore ha sempre prestato molta attenzione è quello del cambiamento climatico: egli ritiene che occorra chiedersi perché il cambiamento climatico possa essere considerato positivo. Questo è un esempio di “catastrofismo emancipativo”, secondo il quale tale minaccia che ci opprime tutti potrebbe portare ad una svolta in senso cosmopolita. Bisogna che si pensi al di là dell’apocalisse e, una volta constatata la totale impotenza della politica nazionale, ci si volga ad una politica globale. Il cambiamento climatico crea una convergenza tra natura, società e politica che si trovano ad intersecare le proprie visioni e ad agire badando anche a cosa succede negli altri campi.

Questo porta, ad esempio, la Coca-Cola a riconoscere, nel 2014, la forza distruttiva del cambiamento climatico nel momento in cui vede messa a rischio la produzione di alcune materie prime. Il rischio globale in cui ci troviamo a vivere implica la previsione della catastrofe e la «nascita di una cultura civile della responsabilità» (p. 47) che superi la logica amico-nemico[3] e guardi alla pluralità. Nasce la responsabilità per la sopravvivenza di tutti. Il concetto di “catastrofismo emancipativo” sembra essere un’evoluzione radicale dell’”effetto di rischiaramento del rischio”[4] secondo il quale la società diviene riflessiva come reazione al rischio in cui incorre.

Ulrich Beck sostiene che la metamorfosi del mondo favorisca il ritorno della storia sociale e che questo avvenga tramite gli effetti secondari e non controllabili della “dinamica di modernizzazione”. Il mondo che ci circonda si caratterizza per la imprevedibilità ed incontrollabilità. Per teorizzare la metamorfosi è necessaria una metamorfosi della teoria stessa: la sociologia, per l’autore, non può permettersi di distinguere tra teoria e diagnosi del presente. Il nuovo teorizzare deve tener conto dialogicamente di culture teoriche diverse e «ricondurre alle teorie sociali storie aventi diverse radici» (p. 58).

La metamorfosi possiede una potenza tanto devastante da non sovvertire solo un regime politico, ma la definizione stessa di politica e di società; travolge tutto in un secondo. A contribuire a questa metamorfosi, oggi, sono coloro che credono in un “ottimismo deterministico tecnologico”, essi hanno cieca fede nella tecnologia e nel progresso non curandosi minimamente degli effetti collaterali che questi potrebbero apportare alle nostre vite. La cieca fede nel progresso porta a misconoscere, generalizzare ed amplificare nuovi rischi globali. L’analisi della metamorfosi si occupa di analizzare congiuntamente il processo di modernizzazione volto al progresso che produce e distribuisce beni con quello che produce e distribuisce mali causati da effetti collaterali.

La distribuzione dei mali (rischi globali) rompe il piano nazionale ed i mali diventano visibili solo in un quadro cosmopolita. Per questo motivo muta anche la disuguaglianza sociale, superando il concetto di classe ed entrando in quello di classe di rischio che fa luce sulle «intersezioni tra posizioni di rischio e posizioni di classe» (p. 84). L’intersecarsi dei concetti di classe e di rischio non viene alla luce, per esempio, nel verificarsi di un disastro naturale, ma solo nell’orizzonte normativo dell’ingiustizia sociale di chi maggiormente subisce i danni. Questo concetto non può più essere solamente legato alla classe di appartenenza perché la supera. Classe a rischio, ad esempio, sono anche i produttori di vino francesi che subiscono il rischio costante che un fenomeno meteorologico rovini i loro vigneti. Questa situazione crea però anche un nuovo spazio d’azione con la possibilità di reinventare il fino francese aprendo nuovi mercati internazionali. In questo nuovo mondo la conoscenza del rischio è, sempre più, potere.

 

Generazioni del rischio globale

Nella società del rischio anche il potere cambia volto: l’analisi dei rapporti di potere e dominio slitta dai “rapporti di produzione” del capitalismo moderno ai “rapporti di definizione” della società di rischio. Con l’espressione “rapporti di definizione” Beck intende risorse e potere atti a valutare che cosa sia un rischio globale e che cosa no. I rischi globali sono complessi ed invisibili e la nostra conoscenza dipende da scienza ed esperti che si trovano ad essere nella condizione paradossale di essere «creatori e controllori del rischio»[5] (p. 108).

Per creare e difendere la visibilità pubblica è necessario che si creino dei gruppi di esperti locali, coadiuvati dagli Stati colpiti che democratizzino il rischio. Per fare ciò è necessaria la comunicazione, che è elemento chiave della metamorfosi: sta nascendo una nuova comunicazione globale che va oltre quella nazionale. Infatti, i mali globali creano un pubblico globale e ciascun individuo, grazie alla metamorfosi digitale del mondo, è diventato produttore di notizie.

Secondo Beck viviamo in un’era della metamorfosi e questo fa sì che ci sia una generazione della metamorfosi che si fonda su di «un’esistenza digitale pre-embrionale» (p. 198). La nuova generazione incarna il mondo globalizzato ed è quindi capace di vivere tra le contraddizioni una vita “tra qui e lì”, potendo vivere ogni cosa in prima persona grazie alla tecnologia. Pur essendoci numerose differenze tra le generazioni di rischio presenti nel mondo, ciò che accomuna le nuove alle vecchie è il loro essere unite nel declino anche se si trovano a vivere la «contemporaneità non contemporaneamente» (p. 201).

Le paure esistenziali di chi ha un’ottima istruzione ma una pessima prospettiva sul mercato del lavoro si scontrano con la speranza nel futuro di chi abbandona la propria casa per migrare. In un «orizzonte a cui a tutti è stata promessa l’uguaglianza» (p. 208) il problema della disuguaglianza si staglia come il più urgente e potenzialmente esplosivo. La metamorfosi subita dal mondo ha, infatti, mandato in fumo tutte le certezze su cui si fonda la società contemporanea, ponendoci nella condizione di dover rivedere il nostro stare insieme.


[1] Concetto teorizzato da Ulrich Beck nel 1986 in La società del rischio. Verso una seconda modernità.

[2] Si pensi al fatto che, oggi, anche chi è contrario all’Unione Europea ha suoi rappresentanti che siedono all’interno dell’Europarlamento. Se così non fosse sarebbero condannati all’irrilevanza.

[3] Carl Schmitt, Le categorie del politico.

[4] Si veda a riguardo Ulrich Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età globale.

[5] Si pensi agli scienziati dell’industria nucleare che si trovano nella condizione di produrre il rischio globale e di doverlo valutare in quanto tale, magari andando contro i propri interessi.

Scritto da
Fulvio Rambaldini

Nato nel 1994 a Manerbio (BS). Diplomato al Liceo classico Arnaldo di Brescia. Studia filosofia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Si interessa di filosofia teoretica e politica occupandosi in special modo del pensiero di Walter Benjamin.

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