Recensione a: Stefano Maggi, Mobilità sostenibile. Muoversi nel XXI secolo, il Mulino, Bologna 2020, pp. 168, euro 12 (scheda libro)
Scritto da Chiara Ricchetti
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In occasione di un intervento pubblico sulle disparità sociali ed economiche in aumento a livello globale, nel 2012, l’economista ed ex sindaco di Bogotá Gustavo Petro affermò che un Paese è veramente sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette. Questa riflessione richiama alcuni aspetti chiave per definire il tema della mobilità sostenibile, che sta stimolando e animando il dibattito attuale incentrato sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità. E, non a caso, questa frase è indicata come incipit del libro di Stefano Maggi, Mobilità sostenibile. Muoversi nel XXI secolo, che induce a riflettere su alcuni aspetti essenziali della mobilità scarsamente o limitatamente affrontati, sebbene la rilevanza del tema sia innegabile. L’autore – già Professore di storia delle comunicazioni e dei trasporti e storia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Siena – offre una rigorosa e articolata analisi su quelli che si possono considerare gli aspetti chiave che compongono la mobilità. Il volume si avvale di un ben riuscito approccio olistico, costruendo la riflessione tramite un connubio tra analisi storica e prospettiva futura. Il punto di partenza della discussione è rappresentato da un luogo che costituisce il centro nevralgico di ogni città, luogo di incontro e scambio, di discussione e di partecipazione politica già nelle epoche più antiche: la piazza. Ebbene, è sufficiente osservare una «cartolina di una piazza ad inizio Novecento e confrontare la stessa piazza in un’immagine di fine Novecento: lo scenario che appare […] è quello di un luogo invaso dai veicoli privati» (p. 15). Rispondendo al bisogno delle persone e al progresso tecnologico, la mobilità ha radicalmente e profondamente modificato l’aspetto delle piazze, delle strade e, in larga scala, delle città, invadendo anche gli spazi in precedenza prerogativa di persone, carri, biciclette. Il volume si struttura in sei capitoli, la cui discussione procede lungo tre principali macro-temi: le cause che hanno contribuito alla strutturazione di un modello di mobilità insostenibile; le conseguenze provocate da tale modello; e, infine, la necessità di creare modelli nuovi da applicare al settore dei trasporti in grado di perseguire l’obiettivo di sviluppo sostenibile.
Il primo macro-tema affrontato nel volume concerne le cause che hanno portato alla condizione di insostenibilità che affligge la mobilità in Italia. La causa principale si rintraccia in una mancata politica dei trasporti, che ha enfatizzato l’incapacità dell’amministrazione italiana nel fare fronte ai grandi cambiamenti in atto nel settore dei trasporti dopo la Seconda guerra mondiale «quando la mobilità ha avuto una crescita senza precedenti, mai interrotta nei decenni» (p. 61). In particolare, non si è attuato un approccio politico che fosse in grado di fungere da cuscinetto allo sviluppo della mobilità su strada – con l’avvento della motorizzazione di massa –, le cui esternalità negative in termini di impatto ambientale erano già allora più che evidenti. La mobilità su strada ha progressivamente eroso la quota di competitività della mobilità su rotaia, mezzo dominante nel mercato dei trasporti fino a circa gli anni Sessanta. Dalla lettura del volume si scopre che, sebbene ci siano stati alcuni interventi anche piuttosto interessanti per promuovere la mobilità su rotaia, questi sono stati letteralmente vanificati, a favore di politiche incentivanti la mobilità su strada. Sono infatti rimasti lettera morta alcuni interventi risalenti al 1947 che avevano lo scopo di «proporre una sorta di piano regolatore delle ferrovie in relazione agli altri modi di trasporto» (p. 62) tramite interventi di potenziamento dell’impiego della mobilità su rotaia, di nuovi progetti per lo sviluppo dell’intermodalità con una sapiente combinazione fra strada e ferrovia. Un ruolo cruciale nel favorire la mobilità su strada fu ricoperto dai gruppi di lobbying interessati a diffondere la motorizzazione su larga scala. Una mancata politica dei trasporti e la pressione da parte di gruppi d’interesse e grandi case automobilistiche per incentivare la mobilità su strada rispetto ad altri mezzi di trasporto hanno trovato una loro raison d’être nelle politiche neoliberiste dei primi anni Ottanta, che hanno connotato il processo di globalizzazione dei mercati economici e finanziari. La linfa vitale della globalizzazione è oggi data dalla velocità con cui le persone e le merci viaggiano da una parte all’altra del pianeta. Il modello che è emerso dall’unione fra velocità e globalizzazione si definisce ipermobilità. L’ipermobilità è una condizione che coinvolge sia il movimento di persone sia la spedizione di merci. Il movimento dei passeggeri è andato aumentando nel corso degli ultimi anni, con un progressivo incremento del numero delle auto che circolano sulle strade. Per quanto riguarda la spedizione di merci, è sufficiente pensare al continuo scambio di materie prime, semilavorati e prodotti finiti che viaggiano da una parte all’altra del globo. Di fatto, l’ipermobilità rappresenta oggi la punta dell’iceberg che ha ulteriormente aggravato la condizione di «insostenibilità attuale dei nostri spostamenti» (p. 38).
La condizione di insostenibilità della mobilità non è tale solo da un punto di vista economico e ambientale, ma lo è anche per quanto concerne la sfera sociale, principalmente verso due direttrici. Una prima direttrice riguarda l’impatto che il modello di mobilità insostenibile ha nel plasmare la forma mentis tanto degli individui quanto di intere comunità. Effettivamente, la motorizzazione di massa non solo ha radicalmente cambiato la storia economica dal secondo dopoguerra in avanti, ma ha anche contribuito a plasmare l’approccio delle società più sviluppate, conducendole verso una prospettiva di pensiero individualista: «Ogni impresa e ogni cittadino vede soltanto la propria prospettiva […] e non si cura per niente delle difficoltà complessive» (p. 39). Questa visione unilaterale e individualista ha condotto ad uno stato di completa incoscienza rispetto al mezzo di trasporto utilizzato e all’impatto delle scelte quotidiane negli spostamenti di persone e merci. Una seconda direttrice, invece, riguarda l’impatto che il modello di mobilità insostenibile ha nell’enfatizzare la questione dello status sociale. Come sostenuto dall’autore, «con l’affermarsi dei consumi di massa, sarebbero derivate conseguenze rilevanti nel settore dei trasporti […] il possesso di un veicolo più o meno costoso sarebbe diventato un elemento determinante per lo ‘status sociale’». Nella frase di Gustavo Petro, questa condizione è ben enfatizzata. In molti contesti, i ceti sociali più ricchi tendono ad utilizzare l’automobile, mentre i ceti meno abbienti o le categorie sociali più emarginate come gli immigrati tendono ad utilizzare in misura maggiore i mezzi pubblici. Un tempo era il treno e più specificatamente la carrozza dove si era seduti a rappresentare lo status sociale degli utenti, dove «si rispettavano le distinzioni della società e la divisione in prima, seconda e terza classe rifletteva una separazione rigida: gli arredamenti vellutati della prima richiamavano i palazzi dei nobili, quelli in tessuto non pregiato della seconda le case borghesi, quelli in legno della terza gli appartamenti ristretti e spartani del popolo» (p. 18). Oggi è l’automobile, che inizialmente «era appannaggio di una ristretta cerchia di amatori, nobili o ricchi borghesi, che potevano permettersi non solo di acquistarla ma anche di mantenerla» (p. 22), ma che attualmente è all’uso e consumo della maggioranza della popolazione italiana.
Il secondo macro-tema affrontato nel volume riguarda l’analisi delle conseguenze che direttamente derivano dal modello di mobilità insostenibile. Queste ultime sono principalmente quattro: l’aumento del tasso di insicurezza delle strade, l’incremento dell’inquinamento atmosferico, l’inaccessibilità di alcuni mezzi per determinate categorie sociali, come le persone con disabilità, e la correlazione con la diffusione di malattie particolarmente dannose per la salute umana. Innanzitutto, l’aumento del tasso di insicurezza stradale è il principale effetto della mobilità insostenibile, rappresentato in particolare dalla congestione delle strade e dall’incremento del numero di incidenti, anche mortali. Nel volume si enfatizza, peraltro, il fatto che «quasi la metà dei pedoni morti sulle strade è stata investita sulle strisce» (p. 89). Un’ulteriore conseguenza provocata dalla mobilità insostenibile riguarda la progressiva inaccessibilità dei mezzi da parte degli utenti con limitata capacità di movimento: anziani, diversamente abili, non vedenti e ipovedenti, genitori con passeggini e tutti coloro che hanno scarsa capacità motoria. Siccome il tema dell’accessibilità dei mezzi di trasporto rappresenta una problematica affrontata solo di recente, «molti mezzi e infrastrutture di trasporto non sono stati ancora adeguati e permangono situazioni di difficoltà, ma si può dire che nel complesso il settore della mobilità ha cominciato a ‘muoversi’ per venire incontro ai diversamente abili» (p. 91). Connesso all’utilizzo crescente dei mezzi su strada, vi è l’aumento dell’inquinamento atmosferico dovuto alle polveri sottili dei gas di scarico dei mezzi, che non solo rappresenta un’ulteriore conseguenza del modello di mobilità insostenibile, ma ha una pericolosa connessione con i danni alla salute umana. Per quanto siano spesso diffuse cifre e stime sull’argomento, queste spesso risultano «discordanti [tanto che] rendono difficile una piena comprensione del problema» (p. 92). Il messaggio forte che però emerge dalla lettura del volume è che la mobilità insostenibile è il principale fattore che contribuisce alla diffusione di malattie e virus, tale per cui «vi è una solida letteratura scientifica sull’incidenza delle infezioni virali in caso di alte concentrazioni di particolato atmosferico» (p. 96). Addirittura, «la pandemia di Covid-19 potrebbe aver avuto un’accelerazione nella Pianura Padana a causa dell’eccesso di polveri sottili» (p. 95) presenti in quell’area, tra le più inquinate del nostro Paese.
Quando il lettore si è ormai convinto che l’insostenibilità della mobilità sia praticamente irreversibile, ecco che il volume introduce il terzo macro-tema di discussione, ovvero l’analisi di alcune best practice per promuovere la mobilità sostenibile. Oltre le criticità, vi sono anche possibili soluzioni, e Maggi non manca di ricordarlo. Prima di tutto, ritorna l’annoso dibattito sul riequilibrio modale a favore dei mezzi di trasporto meno inquinanti e con una performance più sostenibile, come «la mobilità su rotaia, che inquina molto meno, sostenendo inoltre il trasporto collettivo e la mobilità attiva» (p. 102), combinata alla mobilità su strada o su acqua. Inoltre, l’autore si sofferma sulla discussione intorno alla sharing mobility, fenomeno che ha incentivato una trasformazione del comportamento degli individui tale per cui questi tendono a preferire l’accesso temporaneo ai servizi di mobilità piuttosto che l’utilizzo di un proprio mezzo di trasporto. Il progresso tecnologico ha enfatizzato tale fenomeno. Tra l’altro, recentemente si è assistito alla diffusione di una nuova abitudine di spostamento, tramite monopattini e biciclette che possono essere depositati in un qualunque punto della città dopo il loro utilizzo. Questi nuovi fenomeni socioeconomici hanno contribuito a plasmare una nuova forma mentis, caratterizzata da un uso più ragionevole e consapevole dei mezzi, esattamente nel momento in cui servono e per un tempo limitato. Volendo dare una lettura più ampia, tali fenomeni consentono di dare un nuovo aspetto alle città. Questo è particolarmente interessante se si compie un raffronto fra l’inizio e la fine del volume: si è partiti dalla piazza che si adegua alla mobilità più sfrenata e si è giunti ad un nuovo modo di progettare i centri urbani, in cui la mobilità si inserisce nell’ampia cornice dello sviluppo sostenibile. Tra gli esempi citati da Maggi, vi sono le città di Oslo, Copenaghen, Helsinki, ma anche Firenze, Palermo, la zona dell’Alto-Adige per quanto riguarda il rilancio della mobilità su rotaia.
A chiosa della discussione proposta in questa sede, si vuole enfatizzare un aspetto significativo che emerge dalla lettura del volume e che riguarda la duplice natura della mobilità sostenibile. Da un lato, essa può fungere come il fine da raggiungere per la realizzazione dello sviluppo sostenibile del settore dei trasporti, in termini di riduzione dell’impiego dei mezzi più inquinanti e meno sostenibili, promozione di nuove modalità di trasporto come quella su rotaia, riduzione delle emissioni di gas climalteranti e polveri sottili nell’atmosfera, incremento dell’inclusività sociale. Dall’altro, risulta essere uno straordinario mezzo in grado di influenzare il progresso verso il raggiungimento di obiettivi di sviluppo sostenibile in campo sociale, politico ed economico[1]. La mobilità sostenibile figura quasi come un acceleratore trasversale in grado di impattare notevolmente sullo stile di vita tanto della collettività quanto del singolo individuo, di plasmare le abitudini di spostamento di una società, di ridurre i costi ambientali della circolazione delle merci. Peraltro, come hanno fatto notare tra gli altri Antonio Cortese e Alessio Marabucci, investire nella promozione della mobilità sostenibile può generare effetti positivi per tutta l’economia, dal momento che il settore dei trasporti è fortemente interconnesso con gran parte degli altri settori che costituiscono il tessuto economico del nostro Paese[2].
In conclusione, il volume di Maggi fornisce una serie di spunti di riflessione estremamente utili e preziosi, legati fra loro da un fil rouge: il concetto di cultura della mobilità. Certamente, le scelte politiche sono centrali nel promuovere o meno una determinata modalità di trasporto, rispondendo agli stimoli del mercato e ai gruppi di interesse più influenti. Tuttavia, è fondamentale che le decisioni politiche in materia di mobilità vengano adottate sulla base di una solida e concreta conoscenza del tema. Nel volume emerge più volte l’importanza della cultura della mobilità, in una doppia accezione. Da un lato, essa viene intesa come conoscenza del tema, soprattutto in ambito accademico e nei centri di ricerca. A tal proposito, Maggi sottolinea che «la percezione e la conoscenza delle tante tematiche della mobilità sono rimaste indietro nel senso comune e le ricerche scientifiche sui trasporti sono disgiunte e poco dialoganti tra loro, dunque si mostrano poco rispondenti all’esigenza di affrontare questioni trasversali, multidisciplinari e globali» (p. 40). Dall’altro, la cultura della mobilità riguarda la necessità di avere più consapevolezza dell’impatto esercitato dalle singole scelte degli individui. Come fa notare l’autore, «la mancata conoscenza del contesto in cui si è vissuti per decenni, ad esempio riguardo alle reti di trasporto del passato, rende vani gli sforzi per trasmettere nel presente i concetti della mobilità collettiva e il bisogno di combinare in maniera corretta i mezzi di trasporto al fine di muoversi in modo più sostenibile» (p. 40). La conoscenza del tema della mobilità sostenibile, e la comprensione più ampia del significato di sviluppo sostenibile, consentirebbero di adottare politiche che rispondano alle necessità di preservare il pianeta dalla sua distruzione e ridimensionare l’impatto ambientale del nostro modello economico. A tal fine, «ci vuole un governo nazionale e meglio ancora internazionale in grado di dettare la via da seguire, perché al momento ben pochi hanno chiara la questione, che passa anche per una educazione alla mobilità, al fine di insegnare a tutti come muoversi meglio, e per una cultura della mobilità in grado di far recepire all’opinione pubblica gli interventi indispensabili e gli atteggiamenti corretti» (p. 161).
[1] United Nations, Sustainable transport, sustainable development. Interagency report for second Global Sustainable Transport Conference, New York 2021.
[2] A. Cortese e A. Marabucci, Il trasporto merci su rotaia: alcune riflessioni, «Rivista di Economia e Politica dei Trasporti», 2017, n. 2, art. 3, EUT Edizioni Università di Trieste.