Scritto da Sabina De Luca
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Questo contributo di Sabina De Luca, membro dell’Assemblea e del Gruppo di coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, ne riporta la posizione sul PNRR.
Promuovere e accompagnare la transizione ecologica e la transizione digitale per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione Europea, migliorandone la resilienza e la preparazione alle crisi: è questo l’obiettivo generale di Next Generation EU, è questa la missione che le disposizioni comunitarie affidano ai Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. E, come la natura aggiuntiva, straordinaria, di questo ambizioso programma e delle sue risorse richiede, come le tante esperienze di partecipazione alle politiche UE ci insegnano, utilizzare le opportunità che esse offrono per introdurre e radicare cambiamenti: nella lettura delle prospettive del Paese e dei suoi tanti e diversi territori, nella comprensione dei bisogni e delle aspirazioni dei suoi cittadini, nella strategia da adottare e negli interventi da realizzare per non perpetuare errori causati da politiche sbagliate, che rendono economie e società più fragili ed esposte alle crisi.
Non è in questa direzione che si è mossa la costruzione del Piano italiano. Non si rintraccia in esso, infatti, alcun tentativo di aggredire alla radice quelle fragilità e disuguaglianze che già prima del Covid- 19 soffocavano la crescita del Paese, ne deprimevano le potenzialità, creavano esclusione e nuove povertà diffuse. Né si intravede il tentativo di costruire una visione unificante e mobilitante per un futuro migliore per il nostro Paese. E anche il pur generoso tentativo di affrontare i tanti problemi irrisolti del Paese (oltre 60 le riforme, in larghissima parte attese da tempo) rischia di non eludere il pericolo del mero ritorno alla normalità di prima, certo una normalità più efficiente ma non per questo più giusta, mancando una lettura delle motivazioni per cui da tempo siamo intrappolati ben al di sotto di queste potenzialità e vediamo crescere, assieme alle disuguaglianze, rabbia e sfiducia nei confronti delle istituzioni.
Né la grande quantità di investimenti nei vari ambiti, pur essendo nella gran parte dei casi fuori discussione la necessità di un intervento, può scongiurare questo rischio, in assenza di un chiaro segnale di discontinuità rispetto al passato, in molte delle scelte adottate e/o della modalità utilizzate per attuarle e di un collante che leghi assieme, in una strategia unificante, obiettivi chiaramente comprensibili. La transizione ecologica, pur evidenziando diverse note positive, è declinata per lo più in chiave tecnologica, con una considerazione molto limitata della sua dimensione sociale, della necessità di renderla socialmente sostenibile, declinando assieme giustizia ambientale e giustizia sociale, anche a garanzia del raggiungimento degli obiettivi che si prefigge (peraltro non ambiziosi). La transizione digitale non manca di indicazioni condivisibili ma appare del tutto debole rispetto all’obiettivo fondamentale di recuperare ‘sovranità tecnologica’ a livello nazionale ed europeo. E la digitalizzazione appare spesso come obiettivo in sé, non come strumento di miglioramento dei servizi (se non per i tempi) e del lavoro pubblico.
Ad eccezione della riforma degli ammortizzatori sociali, l’attenzione al lavoro è pressoché inesistente, un segnale di continuità molto grave con le politiche dei passati decenni, di cui l’esemplificazione più evidente è l’assenza di qualsiasi impegno per l’introduzione del salario minimo legale [1], nonostante le sollecitazioni delle istituzioni europee in tal senso e gli importanti effetti in termini di riduzione delle disuguaglianze di reddito evidenziati dall’ILO – International Labour Organization.
E, sebbene non manchino impegni di riforma e di investimenti condivisibili, l’azione sul welfare tradisce ancora l’assenza di consapevolezza della necessità di costruire un sistema adeguato di welfare universale, fondato sulla ‘riproduzione sociale’ quale dovere pubblico per garantire i bisogni prioritari su cui si basa la sostenibilità della vita delle persone. Lo stesso obiettivo della coesione territoriale appare indebolito dall’essere relegato in una missione a sé stante e non concepito come una finalità trasversale a tutte le politiche settoriali, non solo in termini di allocazione di risorse (un impegno esplicitato nel Piano nella misura del 40% delle risorse territorializzabili al Sud, ma non ancora supportato da evidenze pienamente convincenti [2]), come una metodologia di intervento pubblico, rivolto alle persone nei luoghi – che dovrebbe toccare tutte queste politiche (scuola, salute, mobilità, cultura, agro-alimentare, ecc.) quando esse sono rivolte ad aree marginalizzate del Paese (aree interne, periferie, campagne deindustrializzate, coste in crisi, ecc.).
Ad amplificare queste carenze, quando non veri e propri errori, di visione e prospettiva, concorrono diverse criticità e limiti nell’impianto metodologico del Piano. Non è con il ricorso a titoli pure accattivanti che quelle che oggi sono missioni solo dal punto di vista formale, possono guadagnare anche nella sostanza quello status: lo impedisce la mancata o errata esplicitazione dei risultati attesi in termini di qualità della vita dei cittadini (non quanti asili nido costruiti, ma quanti bambini e bambine accolti e dove), rendendo esplicito e credibile l’impegno a superare i fortissimi divari territoriali che caratterizzano oggi l’offerta di questo servizio, ad assicurare, oltre agli investimenti, la spesa corrente per garantire la gestione dei nidi che saranno costruiti; non quanti metri quadrati rigenerati, ma quanti e quali servizi creati, quante persone sottratte all’intreccio perverso tra povertà abitativa e povertà energetica, degrado sociale e degrado ambientale e dove, per dare il senso che è il miglioramento della vita dei cittadini il risultato cui si tende (e non la mera riqualificazione fisica) e che le risorse andranno là dove è più necessario (e non dove ci sono le maggiori capacità di intercettarle).
E lo impedisce anche l’assenza di tentativi convincenti di superamento dei compartimenti stagni che rendono le singole amministrazioni impermeabili le une alle altre, indebolendone l’azione, anche quando intervengono dichiarando di perseguire le medesime finalità e negli stessi ambititi. Basti guardare alle diverse iniziative di rigenerazione urbana, che ereditano, senza far nulla per cambiarla, la persistente frammentazione dell’intervento pubblico in questo ambito, l’assenza di qualsivoglia coordinamento o regia fra i tanti i Ministeri impegnati su questo fronte, quando il Piano avrebbe potuto fungere da leva per il tanto atteso cambio di passo verso una politica di medio-lungo periodo, in grado di dare certezze e continuità, dentro una cornice unitaria, all’azione di riscatto delle nostre periferie.
Sono i limiti che il Forum Disuguaglianze e Diversità ha evidenziato nelle valutazioni espresse sul Piano [3] di cui ha messo in luce le maggiori criticità, di metodo e di merito, ma anche sottolineato le scelte condivisibili o quelle che, a determinate condizioni, potrebbero risultare tali. Difatti, se questo è lo stato dell’arte, conseguenza anche di un Piano costruito con un limitatissimo coinvolgimento degli enti territoriali ovvero dell’infrastruttura fondamentale che della sua attuazione deve farsi carico, e in assenza di dialogo sociale, non mancano tuttavia gli spazi e le opportunità per recuperare questa ‘falsa partenza’. Al di là degli interventi già programmati e/o in itinere, comprensibilmente accolti nel Piano per sostenerne l’impegnativa tabella di marcia, la gran parte delle scelte manca ancora infatti della necessaria specificazione e dettagli operativi. E non tutte le regole del gioco sono definite. È dunque in questa fase ‘discendente’, di messa a terra, che è possibile imprimere il necessario cambio di passo e di direzione.
Ma questo richiede di aprire da subito il Piano al coinvolgimento e utilizzo di saperi esterni alla Pubblica Amministrazione, sia che vengano dalle università, dai centri di competenza nazionali, sia che siano prodotti dalle organizzazioni di cittadinanza attiva, dai soggetti che operando sul territorio possono restituirne la conoscenza diretta e le competenze maturate ‘nel fare’. Richiede che questo coinvolgimento non si limiti all’ascolto ma assicuri l’effettivo potere di orientare le scelte da parte di coloro che ne sono destinatari, di coloro che possono produrre conoscenza utile per la loro migliore e più adeguata formulazione. Richiede, in altri termini, di dare finalmente spazio al dialogo sociale, sanando un vulnus grave e anche sorprendente del Piano, se si considera quanta attenzione le politiche europee hanno attribuito e richiesto alla costruzione di programmi partecipati, quante tradizioni ed esperienze si sono sedimentate grazie anche a questa spinta. Richiede quindi di raccogliere da subito l’assai esplicita Raccomandazione della Commissione europea al Governo italiano formulata nella Proposta al Consiglio europeo di approvazione del Piano italiano: «Per garantire la responsabilizzazione dei soggetti interessati, è fondamentale coinvolgere tutte le autorità locali e tutti i portatori di interessi, tra cui le parti sociali, durante l’intera esecuzione degli investimenti e delle riforme inclusi nel Piano» e integralmente ripresa nel testo della Decisione di approvazione del Consiglio.
Già nella fase di costruzione del Piano e poi in questi primi mesi di avvio, è emerso con chiarezza il grande potenziale di responsabilizzazione dei soggetti interessati che una convinta apertura al dialogo sociale può valorizzare. Basti pensare al lavoro svolto, fra gli altri, dalla rete di reti educAzioni [4], non solo per elaborare risposte nell’emergenza data dal drammatico aggravamento dell’abbandono scolastico e della diffusione della povertà educativa, indotto dalla pandemia, ma anche per porre le basi, utilizzando il Piano come leva, per la definizione di una strategia nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. E a quale contributo può venire da questa valorizzazione, per sanare le ambiguità e le distorsioni presenti nella, pur potente, azione in favore del rafforzamento dell’offerta degli asili nido o nell’impegno rivolto al contrasto alla povertà educativa.
O guardare alla pressione esercitata, sin dalla fase di definizione del Piano, da quell’alleanza poi costituitasi nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza [5], un’altra assai ampia coalizione (43 organizzazioni), dalla cui azione di stimolo e pressione, è nato, trovando accoglienza nel Piano, l’impegno per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, da lungo tempo attesa nel nostro Paese. Un’azione continua affinché i contenuti della riforma siano correttamente orientati al superamento delle tante distorsioni e criticità presenti in questo ambito e per far sì che gli investimenti da realizzare nel mentre si realizza il percorso che deve portare alla sua adozione (prevista tra il 2023 e il 2024) ne supportino, da subito, gli obiettivi. O, ancora, alla strada tracciata dal primo dibattito pubblico, ideato e curato dal Forum Disuguaglianze e Diversità, sul collegamento ferroviario Salerno-Reggio Calabria, uno degli interventi più rilevanti del Piano. Un dibattito [6] che ha visto confrontarsi, in modo trasparente e concreto, amministrazione, politica, ed esperti sull’utilità di questa opera, sull’efficacia delle soluzioni prospettate, messe alla prova le ragioni delle scelte già compiute, rendendo possibile, quindi, un dialogo aperto e informato sull’adeguatezza di queste scelte (e su come migliorarle) rispetto alle esigenze dei cittadini.
Ma per cogliere e valorizzare appieno questo potenziale, per sfruttare appieno gli spazi di indirizzamento o re-indirizzamento del Piano, occorre assicurare due pre-condizioni: abilitare il monitoraggio civico del Piano e promuovere quella rigenerazione della PA che rende effettivamente ed efficacemente praticabile questo cambio di passo. Si tratta quindi, in primo luogo, di assicurare, che le informazioni relative al Piano, dallo stato delle procedure di attivazione degli interventi, all’avanzamento procedurale finanziario e fisico dei singoli progetti, possano essere rese disponibili in formato aperto e riutilizzabile. È questa la condizione fondamentale per far sì che, dando ascolto alle tante voci che a questo riguardo si sono levate [7], le organizzazioni della cittadinanza, del lavoro, dell’impresa, le loro articolazioni territoriali (larga parte del Piano è affidato ad amministrazioni locali) possano incalzare, indirizzare, verificare l’azione pubblica, anche correggendo errori e distorsioni. Questa condizione, ancorché colta nel Decreto Governance, con l’istituzione di una Unità di Missione cui viene affidata, fra l’altro, la «valorizzazione del patrimonio informativo relativo alle riforme e agli investimenti del PNRR anche attraverso lo sviluppo di iniziative di trasparenza e partecipazione indirizzate alle istituzioni e ai cittadini» non è ancora soddisfatta dal sito ‘Italia Domani’ (italiadomani.gov.it) che, pur offrendo molte informazioni sui contenuti del Piano, è ancora ben lontano, nonostante i progressivi affinamenti, dal rispettare i requisiti abilitanti il monitoraggio e la rendicontazione civica.
Occorre dunque proseguire con decisione su questa strada ma occorre anche che il Piano sia sorretto, nella sua attuazione, da un’azione pervasiva e radicale di rigenerazione della PA, lungo le linee da tempo tracciate da Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum PA e Movimenta [8]: forte rinnovamento generazionale per tutta l’amministrazione, curando in particolare i presidi maggiormente indeboliti da decenni di disinvestimento e delegittimazione (i Comuni); orientamento alle missioni, rendendo tali e usandole quelle del Piano, in modo da motivare e mobilitare l’amministrazione tutta (così come le organizzazioni della società dell’impresa e del lavoro) sugli obiettivi da conseguire, rendendo le singole strutture e i singoli funzionari pienamente consapevoli e responsabili della costruzione di un progetto Paese. E restituendo così loro quell’orgoglio di appartenenza, da lungo tempo smarrito; adozione sistematica della partecipazione, attraverso la co-programmazione e la co-progettazione, non solo per utilizzare tutte quelle conoscenze e saperi necessari a migliorare le scelte e la costruzione dei progetti, per assicurare quella responsabilizzazione diffusa richiesta dalle istituzioni comunitarie, ma anche per riavvicinare i cittadini alle istituzioni e alla politica, colmando quel distacco che da lungo tempo genera sfiducia e rabbia.
Molte delle iniziative adottate dal Governo per la PA vanno in questa direzione [9], ma alcune correzioni di rotta sono necessarie, in particolare nell’azione di reclutamento, per far sì che essa sia orientata alla rigenerazione dell’amministrazione tutta (non solo contratti a termine per Il Piano) [10] e segua, nelle modalità di concorso e cura dei nuovi entrati, le indicazioni che vengono dall’esperienza di tante amministrazioni, centrali e territoriali, raccolte in un Vademecum [11] da Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum PA e Movimenta. Sono indicazioni che dimostrano che è possibile coniugare la rapidità (105 giorni in tutto) con la qualità del reclutamento, scongiurando il rischio che la straordinaria opportunità offerta dal non più rinviabile rinnovamento generazionale (che interesserà dal 15 al 20% della nostra amministrazione) si traduca in una esiziale mera sostituzione delle leve in uscita.
A queste condizioni, sarà possibile restituire al Piano quella dimensione aperta e partecipata sin qui mancata, condizione indispensabile per il suo successo; è questo il modo che consentirà di riorientarne l’azione, quando necessario, che potrà rendere credibili e sostenibili le sue giuste aspirazioni al superamento delle disuguaglianze generazionali, di genere e territoriali innervando questi obiettivi e i dispositivi già individuati per la loro attuazione (dalle clausole per il finanziamento delle imprese alla introduzione dei LEP – livelli essenziali nelle prestazioni, da lungo tempo attesa) con l’accompagnamento, il sostegno, anche in termini di soluzioni concrete, la vigilanza e lo sprone che solo la più ampia mobilitazione civica può assicurare.
[1] Da combinare, come il Forum Disuguaglianze e Diversità propone, con la validità erga omnes dei contratti firmati dalle organizzazioni più rappresentative.
[2] Si veda G. Viesti, Gli investimenti del PNRR e del Fondo Complementare nel Mezzogiorno, Forum Disuguaglianze e Diversità, 6 luglio 2021.
[3] In merito si vedano i documenti realizzati dal Forum Disuguaglianze e Diversità: Perché il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza divenga strategia-Paese. Valutazioni e proposte del ForumDD per un dialogo sociale, 12 gennaio 2021; Cosa pensiamo del piano inviato all’UE e “che fare ora”?, 11 maggio 2021.
[4] Ad essa aderiscono le seguenti alleanze partecipate da più di 500 soggetti attivi a livello nazionale e locale: Alleanza per l’Infanzia, Rete “Scuola senza Zaino”, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS, Tavolo SaltaMuri, Rete CRC, Alleanza per un nuovo Welfare, Piattaforma “La giusta Italia”, Forum Education, Forum Disuguaglianze e Diversità, CNCA. Si veda www.educazioni.org
[5] Si veda: www.pattononautosufficienza.it
[6] Forum Disuguaglianze e Diversità, Esperimenti di dialogo sociale: dibattito pubblico online sul collegamento ferroviario Salerno-Reggio Calabria, 16 ottobre 2021.
[7] Tra le altre quella dell’Osservatorio civico sul PNRR, promosso da Action AID, Legambiente, Cittadinanzattiva e UISP con una lettera al Governo accompagnata da un documento che esplicitava puntualmente requisiti e condizioni per un monitoraggio civico efficace.
[8] Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum PA, Movimenta, Se la PA non è pronta, S. De Luca, D. Di Dio, C. Mochi Sismondi (a cura di), novembre 2020.
[9] Si fa riferimento, in particolare, al Decreto Reclutamento, DL 80/21, che ha, fra l’altro, previsto: l’attivazione dell’apprendistato nella PA per dare ai giovani l’occasione di esperienze di formazione e di lavoro che li avvicinino all’amministrazione pubblica; la possibilità di selezioni in forma associata per i Comuni; la previsione di una quarta area di inquadramento, da definire in sede di contrattazione collettiva, per dare spazio e prospettive alle professionalità tecniche più elevate, la semplificazione dei vincoli assunzionali per gli Enti locali il piano integrato di attività e organizzazione che, indicando chiaramente obiettivi strategici, tempi e risorse dovrà necessariamente essere alla base di un corretto e motivato piano dei fabbisogni.
[10] Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum PA, Movimenta, Oltre il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: rigenerare la PA intera, settembre 2021.
[11] Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum PA e Movimenta, Il Fattore Umano. Un vademecum per assumere presto e bene, C. Mochi Sismondi (a cura di) con la collaborazione di P. Piergentili, 7 aprile 2021.