Scritto da Lorenzo Cattani, Enrico Cerrini
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Le grandi imprese di maggior successo radicate entro i confini nazionali sembrano essere principalmente quelle pubbliche. Una strategia nazionale potrebbe valorizzare il loro ruolo strategico, il quale si intreccia spesso con la geopolitica del nostro Paese. Dati i successi, le quote azionarie pubbliche potrebbero in taluni casi diminuire – soprattutto rispetto a quelle imprese che hanno scarso valore geopolitico come Poste Italiane -, in altri aumentare ma, complessivamente, sarebbe inopportuno svendere questo patrimonio.
Per quanto riguarda le grandi imprese private la loro azione strategica dovrebbe essere pensata in sinergia con una programmazione pubblica che sappia scegliere quali siano i settori strategici a cui il nostro Paese non intende rinunciare. La priorità potrebbe essere data alle aree di crisi industriale complessa i cui progetti di riqualificazione e riconversione dovrebbero essere coordinati tra loro, oltre che armonizzati con la politica infrastrutturale del paese. Alcune idee riguardo il polo chimico di Porto Marghera possono rappresentare un esempio esplicativo di come impostare tale politica.
Dato che l’industria chimica ha rappresentato uno dei motori di sviluppo del nostro Paese, potrebbe essere considerata uno dei settori strategici da tutelare e riconvertire. Ad oggi, nell’area di Porto Marghera sopravvivono poche attività di chimica di base che potrebbero subire ripercussioni molto negative da un aumento del prezzo del petrolio, ad oggi molto basso rispetto ai livelli storici. Si potrebbe ipotizzare una serie di incentivi fiscali per quelle imprese che decidono di compiere la transazione verso la produzione di prodotti chimici complessi oltre che pensare strategicamente gli investimenti delle imprese pubbliche interessate.
In un settore delicato come la chimica, è importante garantire la sostenibilità ambientale della produzione. La transazione verso una chimica verde potrebbe realizzarsi ad esempio attraverso la tassazione delle emissioni inquinanti e il finanziamento di investimenti e ricerca che vadano nella direzione dell’incremento della sostenibilità ambientale. Spesso ad essere carenti al fine della riconversione non sono le risorse finanziarie, ma un’adeguata programmazione di tali attività. I finanziamenti a favore della riconversione si sommerebbero a quelli destinati alla bonifica delle aree inquinate, le cui opere, in fase di stallo, avrebbero dovuto aiutare il reinserimento nel mercato del lavoro i soggetti più colpiti dalla crisi produttiva.
La programmazione dovrebbe prevedere il coordinamento dei programmi infrastrutturali. Il dibattito pubblico a proposito dell’area portuale di Venezia, ad esempio, non può concentrarsi solo sulle grandi navi da crociera ma dovrebbe anche soffermarsi sull’afflusso di merci all’area industriale. In questo senso, l’accesso potrebbe essere facilitato attraverso la creazione di strumenti moderni e ecocompatibili che permettano alle navi di non entrare in laguna, riflettendo invece sulla congruità del progetto di porto off-shore attualmente in discussione.
Tale programmazione dovrebbe riguardare anche le infrastrutture immateriali. Da un lato, lo sviluppo della banda ultralarga può favorire il flusso di una grande mole di dati tra imprese, mercato e fornitori, raccolti grazie allo sviluppo di prodotti intelligenti, che funzionano in base agli stimoli che ricevono dalla rete. Dall’altro, tali prodotti e tali dati sono suscettibili ad attacchi informatici. Di conseguenza, diventano fondamentali gli investimenti statali, magari effettuai in coordinazione con gli interessati privati, nel settore della cyber-security.
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