“Perché una Costituzione della Terra?” di Luigi Ferrajoli
- 17 Giugno 2021

“Perché una Costituzione della Terra?” di Luigi Ferrajoli

Recensione a: Luigi Ferrajoli, Perché una Costituzione della Terra?, Giappichelli, Torino 2021, pp. 80, 11 euro (scheda libro)

Scritto da Jacopo Mazzuri

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Al principio del 2020, quando in Italia la pandemia di Covid-19 non si era ancora manifestata in tutta la sua aggressività, è stata inaugurata a Roma una “Scuola della Terra” con l’obiettivo (invero, alquanto ambizioso) di “suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra, disimparare l’arte della guerra e promuovere un costituzionalismo mondiale”[1]. Essa è stata battezzata “Costituente Terra”, come l’omonima associazione che si è data uno statuto l’autunno successivo[2]. Nell’ambito di questo progetto si inserisce anche la pubblicazione, per i tipi dell’editore Giappichelli, della serie di volumi intitolata Materiali per una costituzione della terra, la quale si propone di raccogliere analisi e riflessioni sulle grandi crisi globali del nostro tempo con la prospettiva di stimolare la “rivendicazione” (cfr. la presentazione della collana) di una carta costituzionale mondiale (la “Costituzione della Terra”, appunto) quale imprescindibile strumento per affrontarle e risolverle adeguatamente. Ma perché l’umanità dovrebbe imbarcarsi in un’impresa tanto impegnativa? A questa domanda si propone di rispondere Luigi Ferrajoli nel volume inaugurale della collana, da lui co-diretta insieme a Raniero La Valle e Tecla Mazzarese, intitolato non a caso Perché una Costituzione della Terra?

La tesi dell’autore, esposta prevalentemente tra il primo e il terzo capitolo, è drastica: approvare una costituzione mondiale è l’unica via percorribile per assicurare la sopravvivenza dell’umanità e non farla “soccombere” (cfr. p. 9) già in un futuro non troppo lontano. La pandemia esplosa nel 2020 non viene infatti letta come un evento isolato che, una volta terminato, permetterà di tornare senza troppe preoccupazioni alla vita di ieri; anzi, bisogna mettere in connessione la crisi epidemica con altri fenomeni ugualmente macroscopici e ben lungi dall’esaurirsi, i quali, combinandosi, rischiano di condurre la nostra specie verso un futuro di “devastazioni […] guerre e […] violenze in grado di travolgere gli interessi di tutti” (p. 61). La progressiva degradazione dell’ambiente, il cambiamento climatico, le crisi alimentari che continuano a provocare milioni di morti all’anno, la mai tramontata minaccia nucleare: sono questi (ma non solo questi) i fattori che insieme continuano ad alimentare, anche al di là del Covid-19, il rischio della “involuzione”, della “barbarie”, della “catastrofe” (p. 9). Involuzione, barbarie e catastrofi non rappresentano tuttavia il destino ineluttabile dell’uomo, ma piuttosto il frutto di precise scelte (almeno in senso lato, “politiche”) che, in quanto tali, possono sempre essere corrette in modo da scongiurarne quantomeno le conseguenze più infauste. Da questo punto di vista Ferrajoli guarda con occhio (forse troppo?) ottimistico proprio alla pandemia iniziata lo scorso anno: essa, infatti, sconvolgendo improvvisamente le vite dell’umanità intera, avrebbe provocato un brusco “risveglio della ragione” (p. 10), tale da rimettere in gioco gli assetti consolidati del “governo del mondo” per come lo conosciamo oggi. Così, se all’origine dei molti e gravi mali ricordati poc’anzi si pongono fenomeni come la riduzione dello Stato sociale (con specifico riferimento alla pandemia, la contrazione della spesa sanitaria), la scarsa o cattiva regolamentazione dei mercati globali e la mai sopita conflittualità fra gli Stati sovrani, per l’autore è oggi finalmente possibile pensare di aggredirli tutti con un sol colpo proprio innescando e completando un inedito processo costituente mondiale. L’origine del malgoverno del mondo, per il giurista e filosofo, risiederebbe infatti in un “vuoto di diritto pubblico” (p. 42) che solo così andrebbe colmato.

Ratio e caratteri essenziali della “Costituzione della Terra”

La stipula di una “costituzione terrestre” diviene dunque una questione di vita o di morte per l’intero genere umano, giacché la sopravvivenza di questo dipende dalla sua capacità, come detto, di colmare un “vuoto di diritto pubblico”. Ferrajoli vede infatti le innumerevoli crisi che affliggono l’umanità (crisi sanitarie, crisi ambientali, crisi economiche…) principalmente come effetto della mancanza di istituzioni capaci di frenare la prepotenza degli Stati sovrani (in particolare, delle grandi potenze militari) e dei giganti dell’impresa privata, i quali godrebbero ormai di una libertà “selvaggia” (cfr. p. 31) che gli consentirebbe di ignorare i diritti dell’uomo e gli interessi comuni della nostra specie. L’autore inquadra cioè il problema nei termini di una insufficiente o scarsa organizzazione del potere a livello planetario, cui bisogna far fronte con un “adeguato sistema di limiti e vincoli […] che la cultura giuridica e politica ha l’onere di progettare”, promuovendo una “espansione del paradigma costituzionale all’ordinamento internazionale” (ibidem). Il potere pubblico statale, infatti, per quanto indispensabile rebus sic stantibus (si pensi solo al ruolo che stanno attualmente giocando gli Stati nel contesto dell’epidemia di Covid-19, sia dal punto di vista sanitario che economico), non sembra però complessivamente all’altezza delle sfide “globali” del tempo presente: esso soffre infatti di due enormi limiti, che l’autore individua nel “localismo” e nel “presentismo”, da intendersi rispettivamente come attitudine a considerare solamente i problemi che concernono il proprio territorio e come incapacità di guardare oltre i tempi brevi delle scadenze elettorali nazionali. Ne consegue la necessità di creare istituzioni di garanzia globali inserite, appunto, nel quadro di una “Costituzione della Terra”. Un primo esempio, per rimanere nel tema della pandemia corrente, potrebbe essere rappresentato proprio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS; cfr. il primo capitolo, a pp. 16-18). Essa, al momento, non è in grado di garantire effettivamente il diritto alla salute degli abitanti del mondo, come la scarsa incisività della sua azione ha  mostrato sia nel corso del 2020 che nella ben più lunga vicenda della sua storia (l’autore si riferisce in particolare all’incapacità mostrata dall’Organizzazione di portare a tutti, in particolare nei Paesi più poveri, quelle cure da essa stessa riconosciute come essenziali): per questa ragione andrebbe riformata, dotandola in primo luogo di ben più ingenti finanziamenti pubblici, che le conferiscano margini di azione più ampi e al contempo la emancipino dalla dipendenza dai finanziatori privati; in secondo luogo, conferendole potere normativi e amministrativi capaci di imporsi sulle autorità nazionali, secondo un principio di sussidiarietà, laddove la situazione richieda che le decisioni in materia di salute siano portate a un livello di governo più alto.

Si potrebbe a questo punto obiettare che l’emanazione di una “Costituzione della Terra” implica che il popolo terrestre sia un soggetto culturalmente omogeneo e capace di esprimere una volontà unitaria, cosa assai ardua da sostenere; e che pertanto non possa nemmeno pensarsi una simile costituzione. A questa osservazione teorica, da ricondurre a Schmitt, l’autore contrappone una visione contrattualistica, per cui “la costituzione va intesa, hobbesianamente, come un patto di convivenza pacifica tra differenti e diseguali [enfasi aggiunta]”, la quale “non serve a rappresentare organicamente una supposta volontà del popolo o ad esprimere una qualche omogeneità sociale o identità collettiva” (pp. 33-34): in altre parole, sono proprio le profonde diversità tra gli uomini, che permangono nel pieno della globalizzazione, a richiedere la conclusione di un accordo politico fondamentale a livello mondiale, in modo da assicurare quell’armoniosa convivenza planetaria di cui oggi si sente la mancanza. In fondo, non si tratterebbe nemmeno di un’idea nuova: piuttosto, verrebbe così portato a compimento quel processo costituente già iniziato dopo la Seconda guerra mondiale con la sottoscrizione della Carta delle Nazioni Unite (l’autore parla di un “quinquennio costituente” globale contenuto fra il 1945 e il 1949, p. 43) e poi tradito nei decenni successivi, fino ad oggi, dalla sistematica declamazione di diritti umani sforniti di ogni concreta garanzia di effettività. Di più: l’adozione di una “Costituzione della Terra” è “la sola risposta razionale e realistica” (p. 42) alle drammatiche crisi richiamate più sopra, l’unica salvezza per un’umanità in pericolo di morte.

È inoltre interessante notare come Ferrajoli non si limiti a invocare genericamente l’adozione di una carta costituzionale mondiale, ma dia anche alcune indicazioni sulla “forma di governo” terrestre che in essa dovrebbe essere codificata (si tratta del quarto capitolo). Ebbene, il compito essenziale del potere pubblico globale immaginato dall’autore consiste nello svolgimento di funzioni di garanzia; in altre parole, le istituzioni da lui prospettate non si atteggiano a istituzioni di governo, ossia a organismi portatori di un ipotetico indirizzo politico mondiale relativo a quella che egli chiama la “sfera del decidibile”; esse sarebbero piuttosto, come già accennato, delle istituzioni di garanzia, il cui compito consisterebbe nell’assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (intesi pertanto come “sfera del non decidibile”). Le funzioni pubbliche vengono pertanto classificate superando la classica tripartizione montesquieviana dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) sia orizzontalmente (con la bipartizione funzione di indirizzo-funzione di garanzia) sia verticalmente (distinguendo istituzioni nazionali di indirizzo e istituzioni globali di garanzia – le quali, peraltro, non sembrano certo doversi sostituire integralmente agli analoghi organi nazionali). Viene così evitato il rischio di replicare inopportunamente la forma-Stato in una dimensione che essa, con tutta probabilità, non potrebbe nemmeno reggere. Più nel dettaglio, viene anche proposta una distinzione tra “garanzie primarie” e “garanzie secondarie”, dove le prime riguardano essenzialmente i diritti sociali (all’istruzione, alla salute…con conseguente previsione di un fisco mondiale che assicuri adeguati finanziamenti per il potenziamento delle istituzioni esistenti – si pensi come detto, all’OMS – e la creazione di altre ex novo) e le seconde consistono in più tradizionali tutele giurisdizionali (si arriva a prefigurare addirittura una “giurisdizione globale di costituzionalità” che invalidi le norme nazionali contrastanti con la “Costituzione della Terra”, p. 54)

Il volume si conclude con un lungo riepilogo delle ragioni per cui è indispensabile iniziare ora il già ricordato processo costituente globale, fuggendo la “fallacia deterministica del realismo politico volgare” (p. 63) per cui non c’è alternativa al mondo per come si presenta oggi.

I “crimini di sistema”: osservazioni finali

Una menzione a parte merita l’idea, già avanzata dall’autore in un suo scritto precedente[3] e ribadita nel secondo capitolo, di prevedere dei “crimini di sistema” definiti a livello internazionale. Si tratta, a parere di chi scrive, di una parte un po’ eccentrica del libro, che sembra in larga parte autonoma dal progetto di una costituzione terrestre al centro dello stesso: in essa Ferrajoli propone di superare il nesso tra la nozione di “crimine” e quella giuridica (penalistica) di “reato”, comunemente considerate sovrapponibili, estendendo la portata della prima fino a comprendere quella catastrofi “in grado […] di produrre danni incomparabilmente maggiori dell’insieme di tutti i delitti perseguiti dal diritto penale” (p. 24); catastrofi che però non hanno autori individuali (come i reati del sistema penale, appunto) e si identificano “bensì con i meccanismi del sistema economico e politico” (p. 22) trovando il loro tratto caratteristico proprio nella indeterminatezza tanto dei soggetti attivi – i responsabili – che di quelli passivi – le vittime. Perché prevedere questa nuova classe di “crimini non penali”? La risposta risiederebbe nella implicita legittimazione di cui, altrimenti, tali fatti godrebbero agli occhi dell’opinione pubblica del mondo. Infatti, secondo Ferrajoli, ciò che non è reato viene ormai considerato moralmente accettabile; cosicché diviene inevitabile (nell’impossibilità di estendere ad essi la nozione di reato, tecnicamente inapplicabile a tali fattispecie per le ragioni già dette) allargare la nozione di crimine in modo da suscitare la giusta riprovazione per questi disastri e per le scelte politiche che li hanno causati. Le responsabilità criminali in questione (espressamente qualificate come “responsabilità politiche”, p. 28) sarebbero accertate da appositi giudici internazionali.

Quest’ultima è forse la parte che lascia, nel merito, più perplessi: in primo luogo, perché rimangono indefiniti una serie di aspetti operativi legati al concreto funzionamento del meccanismo di repressione “criminale” evocato dall’autore (come si fanno a individuare i responsabili dei “crimini di sistema”, se questi sono per definizione indeterminati? Con quali procedure? Per applicare quali sanzioni?); in secundis, perché sembra contestabile che qualificare un fatto come “crimine” sia l’unica via per ottenere quell’effetto “moralizzatore” che viene ricercato: davvero bisogna “criminalizzare” un fatto per stigmatizzarlo agli occhi dell’opinione pubblica?

Complessivamente, il libro si presenta tanto breve quanto ambizioso, specie considerando che si propone non solo di teorizzare una costituzione terrestre, ma addirittura di contribuire a realizzarla in concreto (le ultime pagine sono dedicate all’illustrazione del progetto “Costituente Terra”). In questo Ferrajoli si differenzia radicalmente da altri autori i quali, considerando in partenza impossibile realizzare una “democrazia cosmopolitica” (p. 31) nei termini suesposti o in forme analoghe, guardano invece con favore alla progressiva costruzione di “ordini giuridici globali” come migliore (per quanto sempre perfettibile) veicolo di affermazione del rule of law e della democrazia stessa nel mondo contemporaneo[4]. Anche chi scrive nutre dubbi sulla possibilità di giungere alla conclusione di un contratto costituzionale mondiale del tipo di quello descritto nel libro, se non altro perché garantire l’effettivo godimento dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli uomini (si pensi in particolare ai diritti sociali, che abbiamo visto essere particolarmente cari all’autore) implica una comunanza di vedute quanto ai mezzi per conseguire tale obiettivo difficile da raggiungere su scala planetaria. D’altronde, si potrebbe forse obiettare (ma non è questa la sede per approfondire la questione) che già Norberto Bobbio aveva teorizzato la presenza di un consensus omnium gentium relativo proprio all’esistenza di un novero di “diritti dell’uomo”[5]; e, comunque la si pensi, la possibilità di fondare un ordine globale che assicuri pace, libertà e giustizia affascina da secoli (si pensi solo allo scritto kantiano sulla “pace perpetua”) il pensiero politico.


[1] Cfr. la pagina di presentazione del sito www.costituenteterra.it. Essa segue di un paio di mesi la pubblicazione dell’appello “Perché la storia continui” pubblicato nel 72° anniversario della promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana (27 dicembre 2021) e consultabile a questo link.

[2] Disponibile sempre su www.costituenteterra.it (14 maggio 2021)

[3] L. Ferrajoli, I crimini di sistema e il futuro dell’ordine internazionale, in “Teoria politica. Nuova Serie. Annali IX”, 2019, 9, pp. 401-411.

[4] Si pensi a S. Cassese, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino, 2009, in particolare cfr. 11-12 e 133-135. Tali ordinamenti, che prescindono dalla presenza di una costituzione del mondo e mantengono piuttosto un carattere settoriale (commercio, lavoro, ambiente…), trarrebbero la loro origine dal diritto internazionale ma si emanciperebbero dallo stesso, trascendendone la classica dimensione di regolazione dei rapporti tra gli Stati. Inoltre, se anche essi non arrivano a integrare un vero e proprio “diritto costituzionale globale”, presenterebbero tuttavia elementi sufficienti per parlarne almeno nei termini di un “diritto amministrativo globale” capace (anche se non sempre) di veicolare la diffusione dei valori della democrazia liberale.

[5]Cfr. N. Bobbio, Presente e avvenire dei diritti dell’uomo, ora in L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997, pp. 18-19.

Scritto da
Jacopo Mazzuri

Nato a Bagno a Ripoli nel 1992, è dottorando in Scienze Giuridiche (curriculum: Diritto Pubblico) presso l’Università degli Studi di Firenze, città dove ha sempre vissuto. Dopo la laurea in Giurisprudenza presso l’ateneo fiorentino, ha frequentato il Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari “Silvano Tosi” e svolto il praticantato forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’ordinamento giudiziario (anche in chiave storica, europea e comparata) e il sistema delle fonti normative.

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