Scritto da Federico Butera
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Questo articolo presenta alcuni contenuti del libro di Federico Butera e Giorgio De Michelis Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile (Marsilio 2024). Le idee chiave sono state presentate inoltre in una key lecture al 2° Forum di iFEL Fondazione ANCI del 28 settembre 2024, che ha anticipato le conclusioni del Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo. Tre ampi articoli di Federico Butera sono in «MIT Sloan Management Review Italia», 5/2023 e in corso di stampa su «Sviluppo & Organizzazione» e su «Pandora Rivista».
L’intelligenza artificiale potrà distruggere o potenziare il lavoro? Ciò dipende dalle politiche e dai cantieri che i soggetti istituzionali e imprenditoriali attueranno. Di seguito presentiamo un approccio e un metodo per sviluppare una “intelligenza artificiale buona”, come abbiamo illustrato diffusamente nel volume Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile (Marsilio 2024).
La pubblicistica e la pubblica opinione stanno attivando focose controversie, vivissimi allarmi e previsioni catastrofiche su vari temi. Fra queste quella per cui l’intelligenza artificiale eliminerebbe enormi quantità di posti di lavoro e impoverirebbe molti dei lavori superstiti. Contesteremo le visioni distopiche che riempiono i media su intelligenza artificiale e lavoro e ci concentreremo invece sulle azioni che possiamo concretamente intraprendere, ossia politiche fattibili e cantieri sociotecnici.
Due opposte configurazioni dell’intelligenza artificiale
In sintonia con i ricercatori del MIT Daron Acemoğlu, a cui è stato attribuito il premio Nobel per l’economia, e Pascual Restrepo[1] sosteniamo che sia possibile evitare quella “wrong Artificial Intelligence” che taglia posti di lavoro e riduce i costi senza però aumentare la produttività complessiva delle organizzazioni, ossia che rappresenta soltanto un potenziamento dell’attuale intensificazione del capitalismo finanziario. E sviluppare invece una “right Artificial Intelligence” che aumenta la produttività e l’innovazione delle organizzazioni e degli ecosistemi produttivi, aumenta la quantità e qualità dei lavori e supporta lo sviluppo di organizzazioni di nuova concezione. Va progettata una “IA buona” orientata a risolvere molti fra i gravissimi problemi di sostenibilità, innovazione, produttività, qualità della vita e del lavoro e ad affrontare le altre sfide epocali che oggi dobbiamo affrontare, alla condizione e che essa si sviluppi entro progetti sistemici guidati da “utopie realizzabili”, ossia in uno scenario di rigenerazione del capitalismo socialmente responsabile.
IA simbolica e IA generativa, che sta sorprendendo il mondo
Viviamo già da anni a contatto con l’intelligenza artificiale. Numerosissime sono le applicazioni di IA in atto: dal pilota automatico degli aerei su cui saliamo, all’IOT delle fabbriche automatizzate, agli smartphone che teniamo in tasca. Ma Chat GPT ha creato un balzo e ha stupito il mondo. Questo balzo è costituito dallo sviluppo della “IA generativa” che si aggiunge alla “IA simbolica”.
“IA simbolica” è quella tecnologia basata su regole per descrivere e gestire i sistemi. Essa consente di automatizzare determinati task, attività che altrimenti verrebbero eseguite da esseri umani. “IA generativa” è quella su cui è basata ChatGPT e le altre più evolute applicazioni che stanno esplosivamente diffondendosi. È basata su Large Language Model (LLM) ossia una tecnologia IA alimentata da reti neurali artificiali, che non operano sulla base di programmi ma che hanno accesso a miliardi di dati, processati attraverso un gran numero di algoritmi. Essi rispondono a richieste umane dette prompt, instaurando un dialogo con l’interlocutore, generando testi immagini e musica, tradurre, fare calcoli, scrivere codici di programmazione e molto altro.
La stima di PwC[2] è che oggi il 3% dei posti di lavoro nel mondo sono messi a rischio dall’automazione tecnologica, che alla fine dell’attuale decennio arriveremo al 20% e al termine degli anni Trenta assai vicini a uno scioccante 30%. Goldman Sachs[3] scrive che due professioni su tre sono esposte a vario livello all’impatto dell’IA, ma ben un quarto delle attuali mansioni lavorative potrebbe essere completamente automatizzato negli Stati Uniti. “Estrapolando le nostre stime a livello globale si evince che l’IA generativa potrebbe mettere a rischio l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno”, scrivono gli autori. Uno scenario da “fine del lavoro”.
Ma non deve andare per forza così e sono già in atto potenti “antidoti”. Infatti, le applicazioni dell’IA miglioreranno i prodotti e i servizi e sempre secondo Goldman Sachs, l’adozione dell’IA generativa potrà generare 7 trilioni di dollari in 10 anni con positivi effetti occupazionali. Gli utenti che imparano ad avvalersi dell’IA generano nuove conoscenze per innovare e affrontare problemi inediti e l’intelligenza artificiale creerà quindi nuove professioni. Inoltre, l’adozione dell’IA richiede molto tempo per riconfigurare i rapporti con i clienti, gestire i vincoli e negoziare con le rappresentanze sindacali e anche in questi ambiti si apriranno nuovi spazi occupazionali. Altri antidoti sono rappresentati dalle politiche di formazione continua per agevolare la riconversione ai nuovi lavori, dalla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e dai prepensionamenti che, se negoziati con successo, consentiranno potenzialmente di non lasciare a terra chi perderà il lavoro. Questi antidoti vanno attuati con politiche e cantieri basati sul consenso che con l’IA potremo costruire un mondo migliore. In conclusione, l’effetto di job displacement prodotto dall’IA quindi non è né certo, né quantificabile, né imminente come le ricerche quantitative citate farebbero pensare.
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale oggi è di fronte a un bivio evocato dagli stessi protagonisti del settore come Sam Altman: investire in una ricerca per sviluppare una intelligenza superiore a quella umana, oppure sviluppare l’IA come soggetto che partecipa alle conversazioni e al lavoro degli uomini, come un compagno potentissimo nelle interazioni umane. L’intelligenza artificiale in realtà non è più “intelligente” degli uomini ma – soprattutto quella generativa – è una potentissima tecnologia per la produttività e la comunicazione, come spiega Giorgio De Michelis[4]: da ChatGPT in avanti si sta sviluppando una capacità prodigiosa di gestire conversazioni accedendo in pochi secondi a conoscenze che vanno ben oltre a quelle che gli esseri umani possiedono.
Per sviluppare la prima opzione sono al lavoro visionari tecnologi che operano da soli come è nelle premesse degli ingenti investimenti in IA e in una antica tradizione di onnipotenza tecnologica; nella seconda i tecnologi operano in cooperazione e su un piano di parità con gli architetti delle nuove organizzazioni e dei nuovi lavori (imprenditori, manager, tecnici, studiosi di scienze umane, lavoratori ecc.) sviluppando insieme risorse, infrastrutture e progetti di una nuova sociotecnica. In questa seconda opzione, la prospettiva è quella di sviluppare nuove professioni di “lavoro aumentato” integrate a una intelligenza artificiale che liberi le persone dai compiti esecutivi ma consenta al lavoratore e/o al gruppo di lavoratori di svolgere funzioni più innovative e ottenere un accesso senza precedenti a dati significativi, fare previsioni, valutare lo stato di un impianto o di una procedura, supportare decisioni rischiose in tempi brevi e molto altro.
In una parola, la collaborazione fra IA e lavoro tende a generare lavori professionali o quasi professionali. Affinché l’IA possa così essere un potente compagno per la produttività e le comunicazioni umane, occorre disegnare i nuovi lavori e nuove organizzazioni e formare le persone a comprendere e agire insieme agli strumenti di IA. Nuovi lavori centrati prevalentemente su abilità e competenze che le persone posseggano in misura maggiore dell’IA come: comprensione del contesto complessivo, esperienze sensoriali, creatività intuitiva, etica e giudizio morale, relazioni interpersonali complesse e trasferimento di conoscenze tra ambiti diversi. Queste sono quindi alcune fra le aree da cui partire a costruire i nuovi lavori attivando processi di innovazione e creatività, in collaborazione con l’IA.
Il futuro del nostro Paese e dei Paesi sviluppati è sempre più legato alla valorizzazione del lavoro e delle organizzazioni. La strada è quindi quella di un Paese che riposiziona verso l’alto la propria produzione di beni e servizi aumentando la propria quota di fatturato sul mercato mondiale; che sviluppa sistemi di impresa rete e ecosistemi cognitivi; che valorizza l’enorme patrimonio di imprenditoria e di beni naturali, artistici e culturali; che migliora la produttività; che esalta il saper fare; che potenzia i sistemi educativi; che riorganizza la pubblica amministrazione; che rispetta i diritti: che riduce le disuguaglianze; che assicura legalità e giustizia in tempi giusti; che protegge l’ambiente. Per far ciò occorre ridisegnare l’Italia e le società avanzate sia dal basso che dall’alto con politiche pubbliche di cooperazione e innovazione e con cantieri di riprogettazione del lavoro e dell’organizzazione, ossia una sociotecnica 5.0 dei sistemi produttivi e dei servizi[5].
Modelli e metodi di una nuova sociotecnica 5.0. nelle imprese e nelle Pubbliche Amministrazioni sono quelli purpose e mission oriented: ossia orientati a sviluppare valore pubblico, a sostenere la transizione green e digital, a promuovere prosperità delle imprese, delle PA e delle comunità, ad assicurare un’alta qualità della vita delle persone.
Politiche
Che politiche top down occorre sviluppare? Politiche industriali e regolative basate su investimenti finanziari, tecnologici e formativi e programmi di sostegno al reddito; Politiche di promozione e regolazione dell’intelligenza artificiale che ne minimizzino i rischi etici, comunicativi, lavorativi; ma soprattutto piani di promozione e supporto di cantieri nelle singole organizzazioni private e pubbliche: un programma di “Industria 5.0”.
A differenza di Industria 4.0 – che pure è stato di grande valore e beneficio – ora sarebbe necessario un programma che fornisca orientamento strategico, risorse finanziarie, supporti professionali allo sviluppo di quella miriade di progetti sociotecnici in corso e futuri nelle imprese (soprattutto piccole e medie), nelle pubbliche amministrazioni nel terzo settore volti a adottare tecnologie IA insieme con sviluppi di organizzazione e di lavoro innovativi e adatti alle loro esigenze. Questo approccio ha precedenti storici importanti in Germania (con il programma degli anni Sessanta Humanisierung des Arbeitslebens che mobilitò l’accademia e la consulenza a supporto di progetti di cambiamento organizzativo e professionale concordati fa governi locali, imprese e sindacati), in Giappone (con una diffusione estesa delle esperienze Toyota e un ruolo centrale del JUSE (Union of Japanese Scientists and Engineers) nello studio e nella diffusione del lean management), nell’Industrial Democracy scandinava, nel Reinventing Governement statunitense. In Italia un esempio è stato recentemente il Patto per il Lavoro della Regione Emilia-Romagna[6].
Moltiplicazione di cantieri di cambiamento (Change Management Strutturale)
Quali azioni bottom up sviluppare? Vanno promossi e supportati “cantieri” di cambiamento e progettazione nelle singole imprese e Pubbliche Amministrazioni che io chiamo cantieri di Change Management Strutturale. La metodologia dei cantieri di Change Management Strutturale nelle singole organizzazioni è stata adottata in diversi programmi delle imprese (Olivetti, Omnitel/Vodafone, Toyota ecc.), nell’Amministrazione Centrale (Uffici delle Entrate, INPS ecc.), nelle Regioni (Regione Emilia-Romagna ecc.), nelle Amministrazioni locali[7]. Oggi questo approccio sembra quello più adatto a supportare programmi di intelligenza artificiale.
Il change management strutturale consiste in tre classi di attività che si sviluppano non in modo sequenziale ma in modo ricorsivo: un piano di strategie e di riorganizzazione parziale o totale del sistema tecnico-organizzativo e del sistema sociale e culturale di cui siano chiari il modello e gli obiettivi; una serie di progetti pilota; un’attività di implementazione e di miglioramento continuo. Si può cominciare cioè da qualunque punto del percorso di cambiamento.
I principali componenti della sociotecnica 5.0. sono i seguenti: I servizi, Le reti governate basate su cooperazione e coesione sociale, Le tecnologie, Le nuove forme di organizzazione, Lo sviluppo di ruoli aperti e di professioni a larga banda, La formazione continua, Il sistema culturale.
I servizi: sono il nuovo sistema produttivo e rappresentano oltre l’85% del PIL servizi finanziari, servizi sanitari, servizi educativi, trasporti, servizi abitativi, servizi di sicurezza e molto altro. Le capacità chiave che le imprese e le Pubbliche Amministrazioni mettono in campo per progettare e gestire i servizi sono quelle di: rivedere continuamente la propria strategia di servizio e migliorare i servizi resi, fornire servizi che ottengano la soddisfazione sostanziali dei bisogni dell’utente, ridefinire continuamente i sistemi di tecnologia, organizzazione e lavoro per erogare i servizi, scegliere fra make or buy. Gli utenti destinatari dei servizi devono diventare non destinatari di azioni altrui ma attori capaci di accrescere la loro conoscenza e arricchire le cose che stanno facendo e creare innovazione e nuova conoscenza nelle esperienze che vivono.
Le reti governate basate su cooperazione e coesione sociale: i servizi sono assicurati da processi di cooperazione fra soggetti pubblici e privati: amministrazioni centrali, amministrazioni locali, agenzie di servizi, imprese, università, scuole e molto altro: reti organizzative. La rete organizzativa governata è un peculiare tipo organizzazione complessa diversa da una burocrazia ed è composta da sei elementi essenziali: catena del valore, processi, “nodi” o unità organizzative indipendenti e vitali, connessioni, strutture composite e soprattutto un sistema di governance partecipativo e cooperativo[8]. Le tecnologie digitali rendono possibile l’attivazione di collaborazioni e filiere fra i soggetti ma funzionano solo se diventano componenti di reti organizzative governate.
Le tecnologie: le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale sono non solo uno strumento essenziale per il funzionamento delle reti ma, come dice De Michelis, sono un “soggetto attivo” che partecipa agli scambi e alle conversazioni fra i soggetti sia le persone che le unità organizzative [9].
Le nuove forme di organizzazione: nel privato e nel pubblico si afferma, sia pure a macchia di leopardo, un modello organico, “agile” di organizzazione reale caratterizzato da unità organizzative basate su team tendenzialmente autoregolati e centrati su processi e su risultati, con un coordinamento non gerarchico, che utilizzano pienamente le capacità connettivanti delle tecnologie, che operano in gran parte su progetti, che sono capaci di gestire le varianze e l’inaspettato, che favoriscono il miglioramento continuo e l’innovazione e che attivano comunità di pratiche.
Il lavoro: è necessaria, e si sta sviluppando in molti casi esemplari, una nuova idea di lavoro basata su responsabilità sui risultati, presa in carico del cliente interno o esterno, cooperazione attiva con altre persone e con il sistema tecnico, problem solving e recupero di varianze, pieno padroneggiamento delle tecnologie, disponibilità a contribuire al miglioramento e all’innovazione continua, messa in campo di competenze tecniche specifiche per svolgere il task (hard skill), attivazione di competenze sociali quali creatività, cooperazione, comunicazione, condivisione di conoscenze, contributo alla comunità (soft skill). In una parola un lavoro professionale che susciti impegno e passione.
Il componente di base dei mestieri e professioni di nuova concezione è il “ruolo aperto” un costrutto socio-organizzativo basato proprio su responsabilità su risultati misurabili, potestà di controllo sui processi di lavoro da migliorare e perfezionare continuamente, gestione proattiva delle relazioni con le persone e con la tecnologia, continua acquisizione di adeguate competenze tecniche. Questi ruoli aperti sono la base di nuovi e rinnovati mestieri e professioni dei servizi a banda larga (broadband service professions): a banda larga, perché contengono un gran numero di ruoli diversi e servizi perché basati sul valore reso al cliente finale o alle strutture interne dell’organizzazione
La formazione: quali competenze occorrono per sviluppare per i nuovi lavori? Per gestire la rivoluzione in atto, innanzitutto occorre potenziare le competenze digitali. Secondo il repertorio DG Comp 2.1 della Commissione europea (Agid)[10], la prima dimensione di base delle competenze digitali indispensabile per tutti è quella della alfabetizzazione digitale. Un secondo ordine di competenze digitali trasversali riguarda la comunicazione e la collaborazione, essenziale nel prompt engineering necessaria per l’interazione con l’IA. Il terzo ordine di competenze riguarda la creazione di contenuti digitali, ossia le competenze dei mestieri e delle professioni informatiche. Un quarto ordine di competenze riguarda la cultura digitale. La capacità di usare i dati per prevedere e prendere decisioni è una quinta classe essenziale di competenze. Un sesto tipo che il digitale richiede ed esalta sono le competenze trasversali o sociali: capacità di collaborazione, problem solving, pensiero creativo, design thinking, quelle competenze e abilità in cui le persone fanno meglio dell’IA. Una gran parte di queste competenze vengono sempre più attivate in collaborazione con l’Intelligenza artificiale. Allora le istituzioni educative e le organizzazioni dovranno impegnarsi su tre direttici: formare competenze digitali soprattutto quelle non contendibili dalle tecnologie; svilupparle lungo tutto l’arco della vita; ma soprattutto progettare nuovi lavori, ruoli e professioni di nuova concezione. Questi percorsi richiedono molto tempo, molto impegno, molta partecipazione. Una gran parte di queste competenze vengono sempre più attivate in collaborazione con l’intelligenza artificiale. Le relazioni fra le istituzioni, le organizzazioni, le persone non potranno più essere basate su logiche distributive e di potere ma invece dovranno essere progettuali e adeguate alla complessità e drammaticità del cambiamento multiplo che stiamo affrontando.
Un cambiamento della portata che abbiano evocato richiede una cultura umanistica capace di sostenere e generare un movimento. Un caso sempre più citato che può ispirarci e che io conosco bene[11] e che è quello di Adriano Olivetti e della sua impresa. Olivetti, fin dagli anni Trenta, aveva introdotto nelle sue fabbriche il taylor-fordismo allora giudicato lo strumento inevitabile per la produttività, mitigandolo, umanizzandolo e assicurando a tutto il personale inclusi gli operai assegnati al “lavoro in frantumi” dignità, alti salari, cittadinanza industriale e sul territorio, un altissimo livello di servizi sociali. Olivetti inoltre sviluppò e attuò per i dirigenti, i quadri e i tecnici una organizzazione del lavoro intellettuale non tayloristica e una fortissima cultura dell’innovazione. Questo fu possibile per la “eredità dinamica” di Olivetti che consenti all’impresa che lui aveva modellato di affrontare negli anni Sessanta le mutate condizioni strutturali del prodotto e del mercato.
In tutti gli scritti di Adriano Olivetti sul lavoro e nella effettiva organizzazione della sua fabbrica domina il concetto di lavoro dignitoso, quello che oggi si chiama decent work, ossia quello che assicura un livello accettabile di qualità e della vita di lavoro. Olivetti curò moltissimo il lavoro degli operai specializzati. Ricordo la creazione del CFM (Centro Formazione Meccanici), istituzione in cui ai ragazzi di 15 anni si insegnava l’arte di costruire stampi precisi al micron, l’uso del tornio e le tecniche di produzione, ma soprattutto si costruiva una base culturale ampia, con lezioni a tutto campo. Chi insegnava storia era un anarchico celebre e colto. Ma soprattutto Olivetti si appassionava al lavoro dei tecnici, dei professional, degli “intellettuali della produzione”, attraverso la ricerca e la selezione, che spesso curava anche lui personalmente. Ricercava e includeva persone rimarchevoli provenienti dalle più varie esperienze, cercando di accertarne le competenze e le attitudini non solo tecniche ma soprattutto culturali e umane e senza mai chiedere a nessuno a che partito, religione, orientamento sessuale facesse riferimento.
Queste idee di lavoro sui ruoli dei tecnici, quadri e dirigenti costituirono lo “scrigno di competenze” che consentirono anni dopo alla Olivetti sia di produrre prodotti innovativi come l’Elea e la Programma 101 e sia soprattutto di sopravvivere alla più drammatica delle crisi che può colpire una azienda, ossia l’obsolescenza della sua base tecnologica. Quando i giapponesi cominciarono a produrre e vendere le calcolatrici elettroniche a meno di un decimo del prezzo delle calcolatrici meccaniche che avevano fatto la fortuna della Olivetti, quest’ultima, a cui veniva a mancare il terreno della propria tecnologia proprietaria, vide attivarsi lo scrigno di competenze e di progettualità che per decenni era stato coltivato. Dirigenti e tecnici, che operarono in gruppi di lavoro eccezionali, furono capaci di ripensare radicalmente i prodotti, la ricerca e sviluppo, la produzione e la struttura commerciale in soli tre anni, in uno dei più leggendari processi di change management dell’industria italiana. Furono gli anni in cui furono sviluppate le isole di produzione che mandarono in pensione quelle lunghe catene di montaggio con fasi di un minuto, con un processo di progettazione partecipata. E contemporaneamente nel settore della ricerca & sviluppo veniva progettata la Programma 101 (quasi il primo personal computer del mondo).
Le isole di produzione e di montaggio (Unità di Montaggio Integrate – UMI) nate in Olivetti all’inizio degli anni Settanta, sono unità organizzative di piccole dimensioni che gestiscono in maniera relativamente autonoma i propri processi operativi dove le dinamiche sociali sono orientate al raggiungimento degli obiettivi secondo processi riconfigurati rispetto agli obiettivi, al contesto, alle risorse. Cambia quindi the work itself e non solo le condizioni di welfare e dignità dei lavoratori. Sembra che i “frantumi” in cui era stato ridotto il lavoro operaio in parte si ricompongano. È l’esordio della “fine del taylor-fordismo”. L’esperienza e l’eredità della Olivetti ha a che fare ancora oggi con tutto questo mettendo al centro la riforma dell’impresa e la valorizzazione del lavoro e delle persone. L’eredità di Adriano Olivetti rimane viva nei suoi scritti, nei progetti, nei percorsi. Rimane viva e diventa struttura soprattutto nella trasformazione industriale della Olivetti a cui lui aveva dato un contributo importante. Oggi, all’inizio della quinta rivoluzione industriale, di quei modelli e di quei percorsi c’è un bisogno ancora maggiore che negli anni Settanta e Ottanta.
Quest’ultimo è un esempio di quanto scrive Giorgio De Michelis: questa nuova sociotecnica richiede e genera partecipazione e democrazia nelle organizzazioni, nelle istituzioni, nelle comunità. Questo riapre alcune grandi questioni che avevano agitato il Novecento. Come gestire i rapporti ricorsivi fra democrazia istituzionale dall’alto e democrazia organizzativa dal basso? Come sviluppare una nuova cultura, come comunicare e far condividere un modello di democrazia sostanziale? Questo è oggetto dei seminali libri di Einar Thorsrud e Fred Emery[12] e di Bruno Trentin[13], è dedicato ora uno degli ultimi special issue di Studi Organizzativi, curato da giovani ricercatori che tornano con energia su queste questioni[14].
[1] Daron Acemoğlu e Pasqual Restrepo, The wrong kind of AI? Artificial intelligence and the future of labour, «Cambridge Journal of Regions, Economy and Society», Issue 1, marzo 2020.
[2] PwC Global, Sizing the prize. PwC’s Global Artificial Intelligence Study: Exploiting the AI Revolution. What’s the real value of AI for your business and how can you capitalise?
[3] Goldman Sachs, Economics Research, The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth (Briggs/Kodnani).
[4] Giorgio De Michelis, C’è una rivoluzione in corso e il lavoro ne è pienamente investito, «Studi Organizzativi», 2 2023 e Federico Butera e Giorgio De Michelis. Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile, Marsilio, Venezia 2024.
[5] Federico Butera, Disegnare l’Italia. Politiche e progetti per organizzazioni e lavori di qualità, Egea, Milano 2023.
[6] Federico Butera, Patrizio Bianchi, Giorgio De Michelis, Paolo Perulli, Francesco Seghezzi e Gianluca Scarano, Coesione e innovazione. Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna, il Mulino, Bologna 2020.
[7] Federico Butera in Gianfranco Rebora (a cura di) Il Change Management, Este, 2016.
[8] Federico Butera Organizzazione e società. Innovare le organizzazioni per l’Italia che vogliamo, Capitoli 8 e 9 Marsilio, 2020.
[9] Giorgio De Michelis Macchine intelligenti o tecnologie della conoscenza? in Sistemi intelligenti, 29/3,2017.
[10] Linee Guida, Agid 20203
[11] Federico Butera e Bruno Lamborghini Il lavoro secondo Adriano Olivetti, in Giovanni Mari, e altri (editors), Idee di lavoro e di ozio per la nostra civiltà, Firenze University, Firenze 2024.
[12] Einar Thorsrud and Fred Emery Form and Content in Industrial Democracy: Some experiences from Norway and other European countries, Tavistock, 2013
[13] Bruno Trentin La libertà viene prima. La libertà come posta in gioco nel conflitto sociale., Firenze University Press 2021
[14] Luca Carollo, Lisa Dorigatti, Annalisa Murgia, Simon Parker, Thomas Steger In search of organizational democracy: new opportunities and constraint Special Issue di Studi Organizzativi 2 2023