Ricucire le fragilità: montagna e cooperazione
- 12 Giugno 2025

Ricucire le fragilità: montagna e cooperazione

Scritto da Lorenzo Benassi Roversi

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Nel cuore dell’Appennino Bolognese, in territori segnati da fragilità ambientali, spopolamento e marginalità economica, laddove le iniziative imprenditoriali sono tradizionalmente meno frequenti e di dimensioni più contenute, attivare e promuovere forme di economia sociale si dimostra oggi più che mai un’esigenza primaria, occasione di risposta a bisogni che altrimenti non troverebbero soddisfazione. A dimostrarlo sono esperienze come quelle della Cooperativa Casp Brasimone e della Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi, detta Coop Alpi, realtà che, pur nella diversità di attività condividono una vocazione comune nel radicamento locale, attraverso l’interpretazione di valori cooperativi. Il mutualismo verso i soci, com’è ovvio, è il punto di partenza, ma più ampiamente si riscontrano forme di relazione con il contesto locale, in stretto coordinamento con le amministrazioni, forme di partecipazione e di solidarietà che stringono le aziende al luogo, alle sue istituzioni (civili e religiose) e ai suoi abitanti in quanto “comunità di destino”. Molto spesso i territori marginali sono percepiti come luogo di origine da cui emanciparsi, da cui fuggire non appena le opportunità lo permettono. E così è stato per tante aziende – cooperative e non – che condividono storie simili: nate in montagna, ma discese in città non appena possibile. Non è così per Casp e Coop Alpi. «Tra i monti abbiamo scelto di restare perché la nostra identità è legata a questi territori» spiega Claudio Borri, amministratore di Coop Alpi. «Andarcene non è mai stata un’opzione, siamo espressione di questa comunità» gli fa eco Ivano Pasqui, vicepresidente di Casp Brasimone. Il concetto di “restanza”, messo a punto da Vito Teti, come «scelta di rimanere in nome di un’appartenenza e di un radicamento al luogo inteso in senso antropologico», è forse possibile, a certe condizioni, applicarlo anche alle imprese.

Le montagne tra i fiumi Reno, Savena e Setta costituiscono un contesto che da decenni subisce fenomeni di indebolimento: l’abbandono delle terre, la riduzione dei servizi, la crisi dell’agricoltura e il mancato consolidamento del tessuto produttivo. Più si procede verso il confine con Toscana, più ci si allontana dal centro urbano bolognese e dalla sua fascia di cintura, più le fragilità sembrano aumentare e le opportunità diminuire. Negli anni del Dopoguerra, questa area divenne uno degli epicentri dello spopolamento rurale, con migliaia di abitanti che lasciarono i borghi per cercare lavoro e stabilità economica nelle città vicine, Bologna e Prato in particolare. Le difficoltà di accesso e la scarsità di investimenti privati contribuirono a rafforzare la condizione di marginalità. Il processo, che inizialmente si manifestò come spontaneo, assunse i tratti di una scelta deliberata in ragione degli indirizzi politici degli anni a seguire: troppo difficile pensare di “salvare” la montagna, contrastando lo spopolamento, più facile invece cogliere l’opportunità del flusso di famiglie verso le aree urbane e periurbane dove le nascenti zone industriali richiedevano sempre più manodopera. Non mancarono nel tempo anche tentativi di segno opposto, come negli anni Settanta quando maturò l’intenzione di ripensare la montagna quale meta turistica di prossimità e luogo delle seconde case delle fasce sociali bolognesi più agiate, ma non si assistette mai all’auspicato decollo di tali vocazioni.

Eppure, fu proprio da questi territori fragili, a partire dal Dopoguerra, che prese vita un nuovo slancio della cooperazione, anche come forma di resistenza economica e civile, capace di trasformare il bisogno in progettualità. Nel 1947, nacque la Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi, specializzata in lavori edili; nel 1969, prese forma l’esperienza innovativa e multisettoriale della Cooperativa Casp Brasimone.

 

Castel dell’Alpi: settant’anni di cooperazione e radicamento

La Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi, fondata nel 1947, è una delle più longeve esperienze di mutualismo produttivo dell’Appennino bolognese. Nasce come risposta diretta alla miseria del Dopoguerra e come alternativa all’emigrazione: un tentativo di ricostruzione materiale e simbolica dopo le devastazioni belliche. «Siamo nati a Castel dell’Alpi quando ancora non c’era il lago, che si originò con la frana del febbraio 1951» spiega Borri. La frazione di Castel dell’Alpi, nel Comune di San Benedetto Val di Sambro, è teatro di una scommessa collettiva: costruire un’impresa di lavoratori che generi occupazione e curi il territorio. «Tutto inizio perché la guerra aveva lasciato dietro di sé macerie e distruzione: la cooperativa è stato il primo strumento per rimettere in piedi il territorio, a partire dalle vie di comunicazione. Tra i primi lavori si dedicarono i fondatori, la ricostruzione di un ponte, un’opera di viabilità per uscire dall’isolamento». Con la formazione del lago, che sommerse buona parte delle case, arrivarono commesse importanti come la costruzione delle briglie necessarie a contenere le acque. La fragilità della montagna, con il frequente prodursi di frane e smottamenti, rendeva urgente affiancare le amministrazioni locali e gli enti preposti. «Tutt’ora siamo impegnati in questo tipo di attività, cui si aggiungono quelle di edilizia civile. Il nostro territorio è conosciuto come uno dei più fragili nel Paese a livello idrogeologico e anche i recenti fenomeni legati alle forti precipitazioni – che a valle hanno determinato le alluvioni e in montagna le frane – lo hanno dimostrato con chiarezza».

Dalle prime attività nel settore edile – piccoli appalti pubblici, sistemazioni idrogeologiche, opere murarie per la parrocchia e per il Genio Civile – la cooperativa è diventata nel tempo un attore importante nell’ambito della manutenzione ambientale, nella messa in sicurezza del territorio e nella cura delle infrastrutture della montagna. In un contesto segnato da dissesto e isolamento, «i soci della cooperativa hanno imparato ad agire come veri e propri custodi del territorio e del suo paesaggio, trasformando il lavoro quotidiano in un presidio civile. Abbiamo ereditato questa mentalità da chi ha guidato la cooperativa prima di noi» sottolinea Borri.

Tante le cose che sono cambiate senza però che mutasse il paradigma originario. «Nasciamo come un’esperienza fortemente comunitaria: la maggior parte dei soci veniva dalla stessa zona geografica, stessi cognomi, stesso radicamento, a volte anche stesse parentele. Tutto questo ha aiutato il funzionamento della cooperativa, che prevede un livello alto di condivisione: le decisioni si prendono in assemblea, la responsabilità e i rischi sono condivisi. Il legame con il territorio non è solo economico, ma culturale e affettivo. Oggi siamo abituati ad avere condizioni ben differenti: abbiamo colleghi di cinque-sei nazionalità diverse, dai Balcani fino all’Asia Centrale e al Nord-Africa, bisogni e sensibilità che cambiano. Ma continuiamo a funzionare come cooperativa e anzi ci siamo rafforzati».

Il modello di business di Coop Alpi prevede un forte radicamento in montagna, dove si sviluppa ad oggi il circa il 50% dell’attività, mentre la restante parte si svolge a Bologna e dintorni: «nel tempo abbiamo valutato la possibilità di trasferirci. In città abbiamo parte importante del nostro bacino di clienti ed essere presenti svilupperebbe opportunità nuove. Ma ci troviamo in rapporto di osmosi e scambio continuo con il territorio, rapporto che non vogliamo in alcun modo perdere». Come si realizza tale scambio? «Innanzitutto, a partire dall’occupazione. Tra soci, dipendenti e collaboratori siamo oltre una cinquantina di maestranze, che in un territorio come il nostro fanno la differenza. Poi c’è tanto altro: la cooperativa svolge anche un ruolo di formazione e introduzione al lavoro di nuovi professionisti, giovani che se trovano un indotto possono scegliere di rimanere. Nel tempo abbiamo sviluppato forme di welfare abitativo a sostegno dei dipendenti con più difficoltà a trovare casa, spesso persone con background migratorio. Abbiamo un grande appartamento sopra i locali della sede aziendale, un alloggio che può essere usato come foresteria da chi lavora con noi, almeno finché non si raggiunge la piena indipendenza. Va anche considerato il rapporto con le amministrazioni locali con cui si costruito nel tempo un rapporto di grande fiducia. Ci sono poi le banche cooperative, BCC Felsinea ed Emil Banca, che come noi sono radicate in montagna e con le quali abbiamo ottimi rapporti di collaborazione. Soprattutto c’è la nostra storia e il tessuto sociale che ci ha sostenuti e fatti crescere finora».

La fiducia e il mutuo sostegno, nei confronti di amministrazioni e comunità, non si manifesta solo sul lavoro: «c’è un rapporto di scambio più ampio, che riguarda anche la partecipazione a iniziative comuni, il volontariato aziendale orientato ai bisogni della comunità, penso ad esempio all’attività di sfalcio dell’erba intorno al lago, che realizziamo ogni anno insieme ad altre imprese locali, la disponibilità ad attivarci per contribuire a iniziative pubbliche e manifestazioni religiose. In particolare, come cooperativa siamo affezionati alla discesa della Madonna della Neve, dalla frazione di Madonna dei Fornelli a Castel dell’Alpe. Da almeno cinquant’anni, la cooperativa mette a disposizione i mezzi e le braccia. Si tratta di piccoli esempi, ma il tessuto sociale è fatto di queste relazioni di vicinanza, che condividiamo con le altre aziende e cooperative che lavorano in montagna» conclude il cooperatore.

 

Casp Brasimone: coesione, cultura e territorio

Radicata nel territorio di Castiglione dei Pepoli, la cooperativa Casp Brasimone ha saputo coniugare in modo efficace la grande diversificazione settoriale e il forte radicamento locale. «Facciamo tante cose, ma sempre in questo territorio» sintetizza il Vicepresidente Ivano Pasqui. Dall’agricoltura alla distribuzione alimentare dalle attività commerciali e industriali fino a lavori e servizi di ingegneria ambientale e manutenzione del territorio fino al settore delle costruzioni.

Tutto parte dall’agricoltura, oltre mezzo secolo fa: «fin dall’inizio i nostri soci erano in gran parte piccoli agricoltori della montagna, un settore sempre più recessivo, ma che manifesta oggi più che mai il proprio impatto sociale. È chiaro ormai che nella misura in cui l’agricoltura arretra l’incuria e i suoi effetti sul territorio avanzano, anche a livello di rischi idrogeologici. Casp fornisce innanzitutto servizi agricoli: dalla trebbiatura allo stoccaggio di cereali fino alla fornitura di mezzi tecnici per lavorare la terra».

Si sa che la cooperazione ha per sua natura la tendenza ad estendersi all’intera filiera, nella prospettiva di mantenere all’interno del rapporto mutualistico la maggior quota possibile di valore aggiunto che si produce, a vantaggio di soci e comunità. Così è stato per Casp che dall’agricoltura ha esteso la propria attività alla trasformazione industriale e alla commercializzazione dei prodotti. «L’agricoltura – spiega Pasqui – è un settore povero, con margini ristretti, al quale occorre garantire sostenibilità economica. La cooperativa ha quindi avviato attività industriali nel campo della trasformazione dei cereali in farine, sia alimentari che zootecniche, gestendo la filiera che va dalla produzione fino alla trasformazione e alla vendita sul mercato del prodotto finito, spesso anche biologico». L’assistenza all’agricoltura prosegue con la fornitura dei prodotti per l’agricoltura professionale quali concimi, sementi, mangimi, imballaggi per la fienagione e dell’occorrente per le aziende agricole. Nel frattempo, «anche il servizio di stoccaggio cereali è cresciuto con l’ampliamento dell’impianto stesso, in grado di rivolgersi ad un bacino di produzione molto più ampio e diventare un punto di riferimento per l’intero territorio collinare e montano della provincia di Bologna, ben oltre la compagine sociale di Casp».

Con l’obiettivo di avvicinare il più possibile le proprie attività al consumatore, «tra metà degli anni Novanta e inizi del Duemila – spiega Pasqui, ripercorrendo le tappe – la cooperativa ha dato vita all’attività di “market”, attivando propri punti vendita, prima a Castiglione dei Pepoli, poi a Rioveggio in comune di Monzuno. Parimenti si sono ampliati i punti vendita cosiddetti “Agrarie” sia a Castiglione dei Pepoli che a Sasso Marconi, così offrire al consumatore attraverso una “filiera corta” i prodotti locali quali farine, prodotti da forno e carni e nella prospettiva di mettere in commercio le migliori produzioni locali, per valorizzare le quali è nato il marchio “è” Valle del Brasimone. Di recente, abbiamo ristrutturato e rilanciato l’Agraria di Sasso Marconi, punto di riferimento per le attività di giardinaggio, allevamento, enologia, conserveria e cura degli animali domestici».

Nel raggio d’azione di Casp occorre includere anche ambiti decisamente differenti dal settore agricolo, settori d’attività che hanno contribuito alla sostenibilità economica della cooperativa. A partire da metà degli anni Settanta la cooperativa ha iniziato a sviluppare servizi a vantaggio delle amministrazioni (Comuni, Unioni, Regione ed altri enti), raggiungendo nel tempo alti livelli di expertise nella manutenzione di strade, del verde pubblico e nell’ambito dell’ingegneria ambientale: dai lavori idraulico-forestali alla sistemazione idrogeologica (opere di bonifica, consolidamento argini e difesa fluviale e così via fino al settore delle costruzioni). Fondamentale da questo punto di vista il rapporto di scambio con le istituzioni: «la capacità di acquisire appalti. Grazie alle certificazioni acquisite nel tempo e gli affidamenti diretti della pubblica amministrazione ci hanno permesso di crescere e di dare lavoro e redistribuire reddito nel territorio. Inoltre, in quanto azienda radicata qui offriamo una doppia garanzia: quella del know-how tecnico, ma anche quella della reputazione. Sarebbe inaccettabile per noi fare brutta figura, incontriamo i cittadini e i rappresentanti delle istituzioni tutti i giorni. Per questo, è fondamentale essere sempre credibili dal punto di vista qualitativo» tiene a sottolineare Pasqui.

La relazione con il territorio si svolge anche attraverso forme di sostegno alle iniziative che generano senso di appartenenza: «capita sovente di sostenere le realtà e le iniziative locali – associazioni, sagre, parrocchie – è un altro modo di far rimanere sul territorio la ricchezza che qui si genera».

 

Due esperienze, una vocazione comune

Se Casp Brasimone rappresenta la creatività delle mille forme di risposta al territorio – capace di tenere insieme agricoltura, commercio di prossimità e ingegneria ambientale –, la Cooperativa di Castel dell’Alpi è il simbolo di una memoria viva, che affonda le radici nella storia del dopoguerra e al contempo si ancora al presente con un expertise aggiornato. Al di là delle differenze, entrambe testimoniano la vitalità del modello cooperativo in montagna, dove l’impresa diventa risposta collettiva, presidio di comunità, leva di sviluppo umano. La formula cooperativa ha permesso di individuare un equilibrio di lungo termine tra lavoro, territorio e relazioni sociali, anche in decenni in cui il mercato ha disinvestito dalle aree interne e la politica ha faticato a costruire una visione per l’Appennino, le forme dell’economia sociale rappresentano una risorsa cruciale per tenere insieme coesione, sostenibilità e inclusione, anche qualora non si tratti di quei soggetti abitualmente riconosciute all’interno del perimetro dell’economia sociale e del Terzo settore. Come sottolineato da Paolo Venturi, Direttore di AICCON, su Vita: «occorre superare la storica separazione tra sfera economica e sfera sociale, un’idea che ha indebolito il legame tra efficienza e solidarietà». Le cooperative della montagna bolognese rappresentano un esempio efficace di ricucitura tra finalità economiche, sociali e civili, all’interno di una relazione responsabilizzante con il territorio di appartenenza. Le storie di Casp Brasimone e della Cooperativa Castel dell’Alpi non sono esempi isolati, ma laboratori di un’economia che cerca con fatica di ripensare l’impresa come bene comune e soggetto responsabile. In questa prospettiva, l’attenzione alla montagna, e più in generale alle aree interne, può aiutare a ripensare il legame tra economia e territorio, tra prossimità e progettazione, tra memoria e visione.

Scritto da
Lorenzo Benassi Roversi

Giornalista, laureato in giurisprudenza all’Università di Bologna. Fin dagli anni universitari si è occupato di comunicazione culturale. Partendo dal cinema-teatro Bristol di Bologna, di cui ha curato convegnistica e rassegne, conduce oggi il programma di approfondimento culturale Bristol Talk e il programma di approfondimento sull’economia cooperativa Lettera dalla Cooperazione. Attivo in ambito sindacale, collabora con “Il Nuovo Diario Messaggero”, testata giornalistica di Imola, su cui cura la rubrica “Aziende innovative”. Si occupa di consulenza e comunicazione della cultura aziendale per realtà produttive e istituzioni finanziarie del territorio bolognese.

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