Scritto da Gianluca Piovani
7 minuti di lettura
Un recente studio dell’OECD, pubblicato a luglio 2018 ed intitolato The Long View: Scenarios for the World Economy to 2060, si occupa di indagare le prospettive economiche per il 2060. Lo scopo dello studio è affrontare le principali tematiche economiche con cui dovremo confrontarci negli anni a venire e di tracciare uno scenario base utile per considerazioni di policy e per la discussione di politiche economiche di largo respiro. Il lavoro dell’OECD in questione non si occupa della previsione di fluttuazioni di breve o medio termine, bensì del lungo periodo che, come rileva lo stesso paper, è raramente oggetto di studi da parte degli istituti economici più spesso focalizzati su temi di stretta attualità.
Se da un lato non si può non riconoscere l’interesse ed il merito di tentare un lavoro così impegnativo, dall’altro sono d’obbligo alcune considerazioni metodologiche. Lo studio rileva come la previsione nel lungo termine permetta di escludere interferenze di breve periodo concentrandosi esclusivamente sui trend di fondo, rendendo quindi da questo punto di vista la ricerca meno complicata. D’altra parte l’individuazione di trend di fondo per periodi storici così lunghi è molto complessa in quanto entrano in gioco dinamiche politiche, sociali e tecnologiche difficilmente prevedibili. Si consideri ad esempio una previsione per un intervallo temporale equivalente a quello preso in considerazione dal paper ma spostata nel passato tra il 1920 ed il 1960: l’avvento dei fascismi, la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, gli incredibili sviluppi tecnologici sarebbero stati fattori difficilmente alla portata di qualsiasi studio. D’altro canto, seppure i risultati siano da considerare cum grano salis, il lavoro dell’OECD permette di focalizzare alcune tematiche su cui è impossibile fare previsioni accurate ma che certamente saranno estremamente rilevanti per costruire il nostro futuro economico e non.
Lo studio dell’OECD è limitato ad un campione di 46 paesi, di cui 35 sono i membri dell’OECD; a questi vanno aggiunti Argentina, Brasile, Cina, Colombia, Costa Rica, India, Indonesia, Lituania, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa. Lo studio include quindi i principali paesi sviluppati (membri OECD) più un insieme allargato di BRIICS, ovvero di paesi emergenti. È tuttavia interessante rilevare come alcune aree geografiche siano poco rappresentate o ignorate, come ad esempio l’Africa e la parte meno sviluppata di Asia e Sud America. Implicitamente ciò sembra suggerire che nemmeno nel 2060 queste parti del mondo saranno economicamente rilevanti. In altre parole, in uno scenario base e privo di shock sistemici particolarmente rilevanti, stando a questo paper i paesi meno sviluppati non saranno in grado di colmare il gap economico con le nazioni più ricche ed il mondo resterà caratterizzato da sacche di povertà ed arretratezza diffuse.
Lo studio riporta interessanti dati e stime riferiti all’equilibrio tra membri OECD (in sostanza i paesi sviluppati di oggi ovvero Europa, Giappone, Australia ed America del Nord) e paesi emergenti (gli 11 non inclusi nell’OECD di cui sopra). A seguire un grafico che mostra la composizione del PIL mondiale per aree:
La quota riferita ai paesi OECD del PIL mondiale nel 2000 era pari al 72%. Nel 2010 questa è diminuita al 54% e si prevede si riduca fino al 43% entro il 2060. La quota di Cina ed India invece si espande notevolmente arrivando ciascuna a rappresentare circa il 20-25% del PIL mondiale del 2060. Il trend relativo alla Cina è tuttavia interessante: il forte incremento del PIL cinese subisce secondo le stime OECD una battuta d’arresto dovuta alla chiusura del cosiddetto gap con la sua crescita potenziale. Secondo le teorie economiche prevalenti esistono una serie di fattori di fondo, come ad esempio la qualità delle istituzioni e la demografia, che definiscono le potenzialità di crescita di un Paese nel lungo periodo. Se per qualche motivo queste cambiano si aprirà una fase di crescita accelerata che colmerà il gap del Paese con il suo potenziale fino a quando finalmente il potenziale sarà raggiunto. In altre parole, la crescita economica non può essere infinita; può essere molto rapida per un certo periodo di tempo ma infine inevitabilmente si scontrerà con il potenziale di lungo periodo. Lo studio dell’OECD suggerisce che la Cina colmerà molto rapidamente il gap per poi attestarsi su una crescita di lungo periodo più moderata. Al contrario l’India chiuderà il gap molto più lentamente ma ha le potenzialità per continuare il suo percorso di chiusura del gap nel lungo periodo.
Fino a quale punto il gap di PIL potenziale di Cina ed India sarà chiuso? La scomposizione della quota di crescita del PIL mondiale di ciascuna area geografica mostra che, sebbene la quota della crescita mondiale ad oggi imputata alla Cina sia considerevole, nel lungo periodo questa quantità diminuirà notevolmente fino ad essere superata da quella dell’OECD:
In altre parole il modello cinese è molto efficace nella fase di primo sviluppo ma lo statalismo potrebbe non permettere alla Cina di superare la cosiddetta trappola del reddito medio destinandole una sorte simile a quella della Russia nel corso della guerra fredda. A seguito di un massiccio sviluppo dovuto ad investimenti statali ed all’accentramento dell’economia, l’ingombrante mole dello Stato russo non ha poi permesso al Paese di essere sufficientemente flessibile per sviluppare la tecnologia ed il benessere diffuso che hanno avuto gli USA. La democrazia ed il liberismo sono poco efficienti nella fase di primo sviluppo, in cui gli imponenti investimenti per modernizzare velocemente un Paese sono guidati dallo Stato. Le istituzioni tipiche del mondo occidentale diventano invece decisamente più efficienti quando la fase di sviluppo accelerato dell’economia si esaurisce e diventa necessario concentrarsi su flessibilità e innovazione.
Lo scenario ipotizzato dall’OECD suggerisce quindi un equilibrio mondiale multipolare. Da un lato gli stati ad oggi sviluppati (semplificando l’OECD) resteranno comunque il polo più rilevante di sviluppo e benessere economico, ma dall’altra parte la quota di PIL di India e Cina sarà circa equivalente a quella dei paesi OECD. Il grafico che segue riassume efficacemente quanto sopra:
In questo grafico si ha il reddito reale pro capite di ogni Paese in percentuale di quello degli USA sia ad oggi (barra azzurra) che nel 2060 (triangoli). Da un lato quasi tutti i paesi mostrano di convergere verso gli Stati Uniti (il livello dei triangoli è generalmente più alto di quello delle barre azzurre), dall’altro pochi raggiungono il valore del 100% (parità con gli USA). In particolare, sebbene vi sia un notevole sviluppo di Cina ed India, queste non arrivano a raggiungere rispettivamente il 60% ed il 40% del livello di benessere degli USA.
La competizione dei BRIICS, sebbene non sembri minacciare la supremazia dell’OECD nemmeno nel lungo termine, mette tuttavia alla prova i sistemi economici occidentali che saranno inoltre provati da un contesto demografico penalizzante. In particolare la demografia è stata un supporto per la crescita dei paesi OECD nel passato decennio, contribuendo per circa il +0,75% alla crescita tendenziale; al contrario questa sarà neutra o addirittura negativa nel futuro che ci aspetta, arrivando a penalizzare la crescita tendenziale del 0,25% nel corso del decennio del 2030. La crescita demografica calante renderà inoltre più complesso rendere sostenibili i bilanci di spesa pubblica. A causa dell’invecchiamento della popolazione, l’OECD prevede aumenti di spesa sanitaria e pensionistica che renderanno necessario aumentare le entrate dello Stato, nello studio dell’OECD aumentando le tasse mediamente del 6.5%.
La risposta dell’OECD per rimanere competitivi nello scenario economico mondiale futuro e per affrontare con successo le sfide di una demografia in calo è di concentrarsi sulle riforme strutturali. Lo studio fa riferimento ad alcuni fattori che potrebbero sensibilmente contribuire allo sviluppo economico di lungo periodo. L’ipotesi alla base delle stime è di adottare per tutti i paesi OECD un livello di “fattore” di volta in volta considerato (vuoi di liberalizzazione, di innovazione, di investimenti pubblici etc.) pari a quello dei 5 migliori paesi. Per quanto sia chiaramente utopistico che tutti i paesi si allineino ai migliori su ogni campo, lo studio fornisce alcuni spunti in linea con le tradizionali raccomandazioni fornite dall’organizzazione:
Il contributo sul PIL di questi fattori può aiutare a sostenere gli aggravi a carico del bilancio pubblico dovuti all’invecchiamento della popolazione e ad un possibile aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico. L’OECD dedica un intero capitolo dello studio alla sostenibilità dei bilanci statali mettendo in luce come in futuro questi saranno sottoposti alla normalizzazione delle politiche monetarie delle banche centrali, la cui policy attualmente molto espansiva non potrà durare per sempre. Il conseguente innalzamento dei tassi di interesse e le previste maggiori spese per l’invecchiamento della popolazione rendono necessario avere una strategia chiara che permetta di gestire e sostenere le maggiori spese future. L’OECD sottolinea quindi l’importanza delle politiche di cui sopra, capaci di generare crescita economica e quindi un incremento delle entrate fiscali dovuto all’aumento della base imponibile, anche alla luce del necessario futuro consolidamento fiscale.
Lo scenario ipotizzato dall’OECD è quello di un mondo solo in parte multipolare. Le aree più povere, come l’Africa e alcune parti di Asia e America del Sud, non riusciranno a colmare il divario con quelle più sviluppate. I così detti BRIICS, ossia i paesi emergenti che stanno avendo più successo nel percorso di sviluppo economico, arriveranno a produrre più di metà del PIL mondiale ma non riusciranno a superare il benessere dei paesi OECD. Cina ed India si fermeranno rispettivamente al di sotto del 60% e del 40% del reddito reale medio pro capite USA.
Le principali sfide dei paesi OECD saranno la demografia calante e la sostenibilità dei bilanci pubblici. Il modo migliore per affrontare queste sfide, secondo lo studio, sarà “compensare” questi fardelli con una maggiore crescita economica stimolata da riforme: liberalizzazioni, interventi sul mercato del lavoro, innalzamento dell’età pensionabile, innovazione e spesa pubblica in investimenti. Da sempre l’OECD, e altri centri studi di consimili organizzazioni, asseriscono gli effetti benefici di lungo periodo delle cosiddette riforme strutturali che ancora una volta costituirebbero un fattore chiave per raggiungere uno sviluppo sostenibile.
In conclusione non si può non considerare che quello dell’OECD sia solo uno dei possibili punti di vista. In quanto tale, esso va preso in seria considerazione e tenuto come punto di riferimento e di confronto. Un’ottica parzialmente critica è tuttavia necessaria per una duplice ragione. Da un lato il centro studi espressione dell’organizzazione che riunisce i principali paesi sviluppati non può non ritenere la via economica scelta da questi come quella corretta nel lungo periodo. In secondo luogo appare chiaramente come la prospettiva dell’analisi sia ispirata al punto di vista della teoria economica mainstream. A questo proposito non si può non ricordare come analisi e previsioni di questo tipo si siano talvolta rivelate in passato parziali o erronee nel descrivere e nell’anticipare i fenomeni. Lo studio resta comunque uno strumento utile per riflettere sulle tendenze di lungo periodo delle nostre economie.