Recensione a: Massimo Campanini e Stefano M. Torelli, Lo Scisma della Mezzaluna. Sunniti e sciiti, la lotta per il potere, Mondadori, Milano 2017, pp. 168, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Jacopo Scita
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La forza di un saggio è idealmente distribuita tra i contenuti che veicola e la necessità storica della sua pubblicazione. Il libro scritto a quattro mani dal professor Massimo Campanini e da Stefano Torelli rappresenta una sintesi (quasi) perfetta di queste due traiettorie. Da un lato, lo studio della dialettica sunnismo-sciismo, “le due grandi correnti politico-dogmatiche-teologiche in cui si divide l’Islam” (p.3), costituisce il fulcro de Lo Scisma della Mezzaluna, offrendo al lettore una panoramica agile ma non per questo priva della necessaria profondità argomentativa. Dall’altro, il saggio di Campanini e Torelli ci viene in soccorso in un momento storico in cui lo scontro tra sunniti e sciiti ha ripreso vigore, occupando, talvolta in modo inesatto e volutamente fazioso, una parte crescente del dibattito pubblico intorno ai conflitti mediorientali e alla parabola jihadista dello Stato Islamico. All’urgenza di chiarimento e approfondimento su questo tema, Lo Scisma della Mezzaluna risponde con un testo accurato ma non per questo inaccessibile, necessario ma non sbrigativo né banale.
Il volume è diviso in sei capitoli, a loro volta raggruppati in due macro-sezioni chiaramente distinguibili: i primi tre capitoli, infatti, sono redatti dal professor Massimo Campanini e percorrono gli sviluppi teologico-politici dello scisma dalle sue origini fino alla prima metà del Novecento. I capitoli successivi, invece, portano la firma di Stefano Torelli e presentano l’evoluzione più storicamente prossima dello scontro tra sunniti e sciiti. È in questa divisione che emerge l’unico vero “difetto” dell’opera: le due sezioni riflettono abbastanza evidentemente il diverso background degli autori, facendo venir meno quella continuità tipica che distingue le opere con un singolo autore –o quelle con più autori che però scrivono in concerto- dalle pubblicazioni collettanee. Probabilmente, capiterà al lettore di preferire una sezione piuttosto che l’altra, pur riconoscendo, alla fine della lettura, la necessità compresente sia di uno sguardo storico-dottrinale, sia di un ragionamento critico sugli sviluppi più recenti e per questo maggiormente urgenti. Un peccato veniale, dunque, ampiamente compensato dallo spessore di Massimo Campanini, navigato ed autorevole studioso di Islam, e Stefano Torelli, una delle “voci nuove” più lucide e attive nel mondo accademico italiano.
La dimensione politica dello scontro tra sunniti e sciiti
La tesi fondamentale attorno cui si sviluppa l’intero saggio è quella per cui lo scontro tra sunniti e sciiti si origina e soprattutto si sviluppa nella dimensione del politico e della legittimazione del potere, lasciando in secondo piano le questioni dottrinali che, ad uno sguardo superficiale, parrebbero il movente logico di uno scisma così profondo e radicale. Il professor Campanini ripercorre con dovizia di particolari la lotta per la legittima successione di Maometto, culminata con l’uccisione di ‘Ali nel corso della guerra civile conosciuta come fitna al-kubra, “l’avvenimento più importante della storia dell’Islam dopo l’Egira” (p.15) e l’inizio di quella presa di coscienza che porterà gli sciiti, la fazione di ‘Ali, ad identificarsi come una minoranza perseguitata. È poi in questa fase storica primordiale che nello sciismo, esso stesso frammentato al proprio interno secondo linee politiche ma soprattutto teologiche, emerge la retorica del martirio, la quale diventerà, ad esempio, parte integrante dell’escatologia rivoluzionaria iraniana a partire dagli anni Settanta del Novecento. La coscienza minoritaria e dissidente, ma comunque totalmente islamica (p.26) del partito di ‘Ali si determina in contrapposizione al gruppo, numericamente maggioritario oggi come nei primi secoli dell’Islam, del sunnismo. Campanini sceglie di seguire la strada tracciata dal celebre storico William Montgomery Watt per tracciare il percorso di affermazione politica sunnita, aggiungendovi un elemento nuovo, “la teorizzazione utopico-retrospettiva del califfato” (p.28), che oggi pare cogente nella comprensione delle aspirazioni dello Stato Islamico.
I capitoli curati dal Professor Campanini abbracciano una storia lunga all’incirca tredici secoli dalla quale emergono almeno tre elementi fondamentali. Il primo è quello di una differenza che l’autore individua come riassunto del processo formativo delle due correnti scismatiche: il sunnismo appare più concreto e “meno incline alle deviazioni esoteriche e all’esaltazione mistica e tragica” (p.33) rispetto allo sciismo. Da qui deriva, almeno in parte, la maggior aderenza ad interpretazioni letterali del Corano da parte dei teorici sunniti. Vi è poi un altro dato storico particolarmente interessante: i Safavidi, la grande dinastia che ha governato sulla Persia per secoli, era originariamente sunnita e solo poi sciita, trasformando l’attuale Iran in uno Stato sciita imamita, inaugurando, dunque, quella tradizione che culminerà con la nascita della Repubblica Islamica. Il terzo e ultimo punto riguarda l’impatto del colonialismo sullo scisma: Campanini sottolinea correttamente come l’intervento delle potenze coloniali in Medio Oriente non abbia effettivamente colpito lo “sciismo e il sunnismo in quanto tali” (p.47) ma, introducendo categorie politiche radicalmente nuove (lo Stato-nazione) e innescando una forma inedita di lotta politica, ha risvegliato un attivismo socio-politico nell’Islam che si è poi espresso nel corso del Novecento sia nella file del sunnismo, sia in quelle dello sciismo.
Il Novecento, l’islam politico e le ambizioni geopolitiche
La seconda metà del XX secolo è caratterizzata dal consolidamento di quell’Islam politico che era emerso come risposta dentro e fuori lo spazio coloniale, ora rispondente al framework della lotta anti-coloniale e alla dialettica della Guerra Fredda. Stefano Torelli è decisamente bravo a cogliere questo adattamento storico dell’Islam politico, riconoscendo come il nazionalismo arabo di matrice nasseriana e socialista, dominante negli anni Cinquanta e Sessanta, avesse la propria origine in contesti sunniti, gli stessi in cui la Fratellanza Mussulmana offriva una risposta eminentemente islamica alle istanze anti-coloniali. Negli anni Settanta, in un’ideale staffetta con l’ormai discendente parabola del panarabismo di Nasser, è lo sciismo iraniano ad imporsi come risposta anti-imperialista nel contesto mediorientale: interrompendo quel quietismo politico che, come evidenziato dal Professor Campanini, aveva caratterizzato lo sciismo nella sua storia, l’Ayatollah Khomeini guida la rivoluzione che nel 1979 fa dell’Iran una Repubblica Islamica, trasformando gli “ulama […] in vera e propria classe dirigente iraniana” (p.72). Ma la retorica della Rivoluzione Islamica è altresì impregnata di universalismo politico, talvolta di stampo marxista come nelle teorizzazioni di ‘Ali Shariati, declinato nel desiderio di liberare le masse degli oppressi dal giogo imperiale. Ancora una volta, come nella sua coscienza originale, lo sciismo si auto-determina come altro rispetto al potere maggioritario, questa volta non-Islamico. La Rivoluzione del 1979 sarebbe dovuta essere, almeno nelle sue intenzioni teorico-utopistiche, la voce universale di questa alterità. Tuttavia anche il khomeinismo, vessato dall’esperienza della Guerra Iraq-Iran e poi dalla morte dello stesso Khomeini (1989), si trova negli anni Ottanta a vivere il proprio percorso di declino, pur rappresentando per “alcuni movimenti sunniti come la Fratellanza Mussulmana” un’esperienza indubbiamente attrattiva (p.85). Non è difficile scorgere in questa fascinazione un dato più generale e coerente con la tesi fondamentale del saggio: l’aspetto politico dello scisma è preponderante e, pur esprimendosi in più di un’occasione storica nella sua dimensione violenta, mantiene una certa plasticità che non rende sciismo e sunnismo vicendevolmente impermeabili, né monolitici.
Gli anni Novanta sono invece quelli dell’emersione di una corrente forte –forse la più forte e ambiziosa- del sunnismo: il wahabismo saudita. Da qui la polarizzazione dello scisma ha riflesso le sembianze dei suoi due centri di potere statale, l’Iran e l’Arabia Saudita, “assumendo sempre più le caratteristiche di un conflitto politico e sempre meno quelle di un effettivo scontro religioso, culturale o settario, sebbene sia proprio quest’ultimo elemento a fornire il pretesto per la rivendicazione dei propri interessi dall’una e dall’altra parte” (p.92). Iraq e Libano sono esempi chiari delle dinamiche di competizione settaria lungo l’asse scismatico, acuite dal disgregamento delle strutture di potere preesistenti (per esempio la caduta di Saddam Hussein) e dalla conseguente apertura di spazi socio-politici da rioccupare. Dal fronte esterno, invece, emerge chiaramente come la dimensione internazionale dello scontro tra sunniti e sciiti sia la direttrice attraverso cui le potenze regionali e globali indirizzano parte delle proprie strategie geopolitiche. Tale aspetto è senza dubbio caratterizzante nel caso del supporto iraniano ad Hezbollah in Libano, così come, anche se in modo estremamente più complesso e multipolare, nel coinvolgimento di attori stranieri nella guerra civile siriana. Sunnismo e sciismo si cristallizzano o fluidificano a seconda della necessità politica, divenendo categorie manipolabili nel contesto delle competizioni geopolitiche mediorientali. L’idea di una solidarietà interna a questi blocchi è ampiamente superata da una prassi che prima e principalmente alla salvaguardia degli interessi dei singoli attori statali, come ben rappresentato dalla sostanziale opposizione dell’Arabia Saudita all’affermazione della Fratellanza Mussulmana in Egitto dopo le Primavere Arabe. Stefano Torelli è chiarissimo quando, parlando di Yemen, arriva a dire che “tale scontro [tra sunniti e sciiti] sia ormai solo un pretesto che nasconde le aspirazioni egemoniche di Arabia Saudita e Iran e che, a differenza di più di trentacinque anni fa, non ha niente a che vedere con le divergenze […] tra due diverse visioni del mondo e dello Stato Islamico delle comunità e dei leader sunniti e sciiti” (p.114).
Lo Scisma della Mezzaluna è un saggio brillante che riflette la caratura dei suoi autori, ma soprattutto è un manuale che risponde alla necessità introdurre ad un pubblico non necessariamente esperto una questione estremamente complessa. La natura sempre più politica e geopolitica dello scontro tra sunniti e sciiti impone, oggi più che mai, l’inquadramento chiaro delle sue origini, dei suoi sviluppi e del suo senso attuale. Cadere nella tentazione di identificare rigidamente gli attori mediorientali tramite l’appartenenza a l’una o l’altra corrente rischia di generare –o di farsi risucchiare in- una pericolosa sineddoche che non rispecchia la fluidità politica di tale categorizzazione. Il professor Massimo Campanini è estremamente bravo ad offrire un sunto agile ed esaustivo di un percorso storico, politico e dottrinale secolare ma, a parere di chi scrive, è la puntualità analitica con cui Stefano Torelli presenta e interpreta gli eventi più recenti a rendere Lo Scisma della Mezzaluna un libro sicuramente consigliato.