Un ecosistema dell’economia sociale: Torino Social Impact e il Piano Metropolitano torinese. Intervista a Simona De Giorgio
- 14 Giugno 2025

Un ecosistema dell’economia sociale: Torino Social Impact e il Piano Metropolitano torinese. Intervista a Simona De Giorgio

Scritto da Daniele Molteni

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Simona De Giorgio è Coordinatrice del Comitato per l’Imprenditorialità Sociale Camera di Commercio di Torino e Coordinatrice Torino Social Impact.


Come nasce l’iniziativa di Torino Social Impact?

Simona De Giorgio: L’iniziativa nasce all’interno della Camera di Commercio di Torino, l’ente che ha promosso e tuttora coordina questa piattaforma progettuale. La Camera, presso la quale lavoro, si occupa da sempre del sistema imprenditoriale locale, comprese le imprese sociali, con un’attenzione particolare al Terzo settore a partire dal 2005. In quegli anni, infatti, si avviò un dialogo con le organizzazioni dell’area metropolitana torinese, dando vita a un Osservatorio sull’economia civile per comprendere il peso dell’economia sociale sul territorio. Questo primo passo ha portato, su impulso delle principali centrali cooperative – Confcooperative e Legacoop – alla creazione, all’interno del Consiglio della Camera di Commercio, di una rappresentanza specifica per il mondo cooperativo e del Terzo settore. Da lì è nato un Comitato per l’Imprenditorialità Sociale, che da allora riunisce gli attori dell’economia sociale torinese: cooperative, sindacati, volontariato, enti di ricerca come il Politecnico e l’Università di Torino. Nel primo decennio di attività, il Comitato ha svolto principalmente funzioni di osservazione e analisi, pubblicando rapporti e promuovendo iniziative di animazione territoriale legate all’economia civile. Dal 2015, però, il lavoro si è strutturato in una piattaforma progettuale più ampia, dando vita a Torino Social Impact.

 

Perché nasce la necessità di creare una piattaforma di aggregazione nel 2015? Quali attori avete coinvolto e con quali finalità?

Simona De Giorgio: Il Comitato per l’Imprenditorialità Sociale, cui facevo riferimento, è un organo di indirizzo interno alla Camera di Commercio. Non ha potere decisionale, ma propone iniziative e progetti da promuovere per sostenere l’economia sociale sul territorio. Nel 2015 diversi fattori hanno reso urgente strutturare una risposta più organica: la riforma del Terzo settore era in pieno svolgimento, mentre a livello internazionale, anche grazie al dibattito avviato da realtà come BlackRock, la finanza cominciava a interessarsi all’impatto sociale. Allo stesso tempo, sia il Comune di Torino sia la Regione Piemonte avevano già intrapreso percorsi legati all’innovazione sociale e alla riforma del welfare. Il contesto era dunque favorevole per immaginare un ecosistema più integrato. Su sollecitazione del Comitato, la Camera di Commercio ha deciso di dare vita a un’iniziativa che potesse mettere in rete i soggetti già attivi nell’economia sociale, come le istituzioni pubbliche, la finanza – pubblica, privata e filantropica – e le fondazioni bancarie, così come gli incubatori, gli acceleratori sociali come SocialFare, Impact Hub, oltre naturalmente al mondo cooperativo e universitario. Torino, del resto, ha una forte tradizione in questo campo, con molteplici attori impegnati su fronti diversi. L’idea era provare a coordinarli, a costruire un dialogo strutturato, per fare della città un punto di riferimento dell’economia sociale a livello nazionale e internazionale. La finanza stava iniziando a finanziare ecosistemi, non più singoli progetti: da qui l’intuizione di creare un ambiente favorevole allo sviluppo dell’economia d’impatto. Una città post-industriale come Torino, con una forte vocazione sociale storica, può diventare attrattiva proprio grazie a un ecosistema capace di connettere finanza, impresa, ricerca, pubbliche amministrazioni e tecnologia. Torino ha una tradizione di solidarietà profonda – basti pensare ai suoi santi sociali, che possiamo considerare veri e propri imprenditori sociali ante litteram – e l’intento era valorizzare questa identità, anche in relazione ai grandi cambiamenti urbanistici e sociali in atto.

 

Come si è costituita concretamente la piattaforma Torino Social Impact e cosa avete chiesto alle organizzazioni coinvolte?

Simona De Giorgio: Il Comitato per l’Imprenditorialità Sociale si è formalmente costituito nei primi mesi del 2016 dopo un percorso nato da un confronto con le principali organizzazioni del territorio. Torino Social Impact è partita come un’operazione di comunicazione: un marchio, un visual, presentato ufficialmente alla città a fine 2017 con una conferenza stampa. In quell’occasione, la Camera di Commercio – insieme al Comune di Torino, alla Compagnia di San Paolo e ad altri attori locali – ha lanciato una chiamata pubblica a tutte le realtà interessate ai temi dell’economia sociale, e il marchio Torino Social Impact, registrato dalla Camera di Commercio, è stato messo gratuitamente a disposizione di tutte le organizzazioni aderenti. Un elemento chiave di questa iniziativa è stato proprio il fatto che due enti pubblici – Comune e Camera di Commercio – abbiano promosso insieme una piattaforma di aggregazione senza scopi lucrativi e senza richiedere contributi economici. Questo ha rafforzato la credibilità del progetto e ne ha favorito l’ampia adesione.

La piattaforma è quindi diventata uno strumento concreto per rappresentare il territorio su più livelli – locale, regionale, nazionale e internazionale – e per valorizzare il potenziale dell’economia sociale come leva di sviluppo urbano e sociale. L’unico impegno che abbiamo sempre richiesto alle organizzazioni che aderiscono è la sottoscrizione di un memorandum of understanding, una lettera di intenti che le impegna formalmente a collaborare con la piattaforma. Da parte nostra, Torino Social Impact garantisce visibilità, condivisione di progetti e l’ingresso in una rete capace di generare opportunità concrete. In cambio, chiediamo che le organizzazioni conferiscano alla piattaforma progettualità. In altre parole, che mettano a disposizione ciò che già stanno realizzando, ma con l’obiettivo di renderlo parte di un ecosistema più ampio. È questo scambio che ha alimentato fin da subito un forte coinvolgimento.

 

E come avete tradotto questa visione in azioni concrete?

Simona De Giorgio: Nel 2018 abbiamo avviato un anno intero di ascolto del territorio. Incontri individuali, focus group, confronti con reti di secondo livello e singole organizzazioni. Volevamo capire in profondità quali fossero i reali bisogni degli attori dell’economia sociale che man mano aderivano alla piattaforma e condividevano la visione di una Torino aperta all’impatto. Sulla base di questo percorso di ascolto e con il supporto del Comitato per l’Imprenditorialità Sociale, abbiamo elaborato un piano strategico redatto nel 2018, che è stato presentato ufficialmente alla città nel febbraio 2019. Il piano aveva un orizzonte triennale (2019-2021) ed è stato rinnovato per il triennio 2022-2024. Oggi, nel 2025, siamo in piena attuazione delle linee guida contenute in questi due documenti. Il piano strategico si fondava su due grandi direttrici. La prima: costruire infrastrutture abilitanti per lo sviluppo dell’economia sociale, in quanto dall’ascolto era emersa chiaramente l’esigenza di rafforzare tre driver strutturali: la tecnologia, la finanza e la misurazione dell’impatto. Così abbiamo iniziato a lavorare sulle infrastrutture tecnologiche quando è stato necessario accompagnare le organizzazioni nella transizione digitale e ridurne i costi. In ambito finanziario, abbiamo promosso la nascita di una vera e propria “borsa per l’impatto sociale”, puntando anche sul procurement sociale per mettere in dialogo il mondo profit con l’economia sociale e contribuire alla creazione di un’economia sociale di mercato, come auspicato fin dall’inizio.

Parallelamente, abbiamo sviluppato strumenti più avanzati come i “Pay by Results” e gli “Outcome Fund”, applicati ad esempio su progetti per i NEET. La terza infrastruttura ha riguardato la misurazione dell’impatto. Abbiamo avviato, in questo senso, un percorso in collaborazione con l’Università di Torino per formare figure capaci di valutare gli effetti delle attività dell’economia sociale. Finora, sono oltre 450 le persone formate – provenienti da cooperative, associazioni, imprese sociali e anche aziende profit – che oggi compongono una vera e propria community di valutatori. Questa comunità ha portato alla nascita di un centro di competenza per la misurazione e la valutazione d’impatto, attivo anche su progetti sistemici a livello territoriale, che oggi ha sede presso il Cottino Social Impact Campus grazie ad un accordo siglato fra l’ente camerale e la Fondazione Cottino. L’altra grande direttrice del piano è quella della promozione. Abbiamo costruito un solido piano di comunicazione, che spazia dal sito web ai social media, fino a roadshow e presentazioni pubbliche. Rendere l’ecosistema visibile e riconoscibile è stato fondamentale per accrescerne l’attrattività e posizionarlo sulla mappa degli ecosistemi europei e internazionali. Per attrarre, bisogna farsi vedere, e oggi Torino Social Impact è una realtà riconosciuta proprio grazie a questa capacità di raccontarsi.

 

In questo momento a che punto siete del processo? Come state lavorando e quali sono i numeri attuali?

Simona De Giorgio: Dopo dieci anni, l’ecosistema di Torino Social Impact ha contribuito a far sì che la nuova amministrazione cittadina tracciasse una traiettoria chiara: integrare la dimensione dell’impatto sociale, ad esempio, nella revisione del nuovo Piano Regolatore. Considerando che il piano vigente risale al 1995, il fatto che l’economia sociale sia oggi un elemento centrale nella ridefinizione della città è per noi motivo di grande soddisfazione. L’azione territoriale promossa da Torino Social Impact ha attivato anche l’attenzione politica, uno degli obiettivi strategici iniziali, stimolando l’interesse delle istituzioni e attraendo le risorse finanziarie verso l’economia sociale. Durante la pandemia, avevamo già avviato la nostra strategia, le infrastrutture erano in fase di costruzione e le adesioni in crescita: siamo partiti con 12 organizzazioni e nel 2020 eravamo già tra le 100 e le 150. Oggi siamo arrivati a 380 realtà aderenti. Questo ha consolidato la percezione di un vero ecosistema, credibile e attrattivo, capace di rispondere concretamente ai bisogni delle organizzazioni dell’economia sociale.

Nel 2020, mentre l’Europa iniziava a delineare la propria strategia per l’economia sociale, la nostra esperienza veniva portata all’attenzione della Commissione Europea. Siamo stati più volte auditi dai commissari Schmidt e Breton per raccontare l’origine e gli obiettivi del nostro modello. Questo dialogo ha contribuito alla definizione dell’EU Social Economy Action Plan, approvato nel 2021, che ha aperto una stagione molto interessante di bandi e finanziamenti europei dedicati. Nel frattempo, sul fronte locale, abbiamo rafforzato le collaborazioni tra organizzazioni sociali e imprese profit, promuovendo pratiche di social procurement tramite cui le imprese acquistano beni e servizi dal Terzo settore, contribuendo così alla sua sostenibilità e alla sua crescita. Questo approccio crea un mercato per l’economia sociale e ne aumenta anche la capacità competitiva, rispondendo a una delle principali critiche rivolte al settore, che è la difficoltà a stare sul mercato. Con l’apertura dei bandi europei, molte organizzazioni ci hanno espresso la necessità di essere accompagnate perché mancava loro la competenza per intercettare i fondi, scrivere progetti, costruire partenariati internazionali. Per questo abbiamo creato un hub dedicato ai progetti europei per l’economia sociale: organizziamo workshop per presentare le call, facilitiamo la creazione di piccoli partenariati già nei momenti di incontro e offriamo percorsi di accompagnamento per la scrittura e candidatura dei progetti. Alcune realtà hanno già ottenuto finanziamenti europei che sono atterrati concretamente sul territorio.

 

A fronte di questa crescita ed evoluzione, c’è stato un adeguamento dell’organizzazione interna?

Simona De Giorgio: Si, a fronte di questi sviluppi si è resa necessaria la trasformazione del modello organizzativo interno perché il rapporto uno-a-uno che era possibile nel 2018 è diventato insostenibile. Abbiamo quindi introdotto le comunità di pratica, ovvero gruppi tematici aggregati attorno a interessi o esigenze specifiche. Oggi ne abbiamo diverse attive sulle società benefit (una sessantina di realtà coinvolte), sulla parità di genere, sui NEET, sugli spazi di democrazia e sul volontariato, con gli ordini professionali, solo per citarne alcune. Queste comunità generano riflessione, progettualità condivisa e nuove proposte che alimentano la piattaforma e ne rafforzano l’impatto. A supporto di tutto questo, abbiamo strutturato diverse aree operative legate a progetti europei, comunicazione, finanza, affari generali e amministrazione, tutte dedicate al funzionamento quotidiano dell’ecosistema e al dialogo costante con le 380 organizzazioni aderenti. Il sostegno finanziario, poi, viene principalmente dalla Camera di Commercio di Torino, che ogni anno garantisce risorse fondamentali per il funzionamento della piattaforma. Su progetti specifici – come le comunità di pratica, l’hub europeo, le iniziative di social procurement o la borsa per l’impatto – interviene anche la Fondazione Compagnia di San Paolo, contribuendo a sostenere molte delle attività in corso. Il lavoro quotidiano è intenso, articolato e condiviso, e la crescita dell’ecosistema continua a dimostrare che investire sull’economia sociale produce risultati concreti, sia in termini di impatto locale sia di posizionamento internazionale.

 

L’Unione Europea ha richiesto ai Paesi membri di predisporre piani nazionali per l’economia sociale. Dal punto di vista nazionale avete avuto interlocuzioni con altre realtà, anche su un livello territoriale? E come siete arrivati alla predisposizione di un Piano anche per Torino?

Simona De Giorgio: Da parte nostra, abbiamo colto subito questo input e fin dall’inizio siamo stati coinvolti a livello nazionale, anche perché Torino Social Impact è un progetto promosso dalla Camera di Commercio di Torino, che fa parte del sistema camerale nazionale. Siamo stati quindi chiamati da Unioncamere Nazionale a partecipare al tavolo sull’economia sociale, istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Al tavolo abbiamo portato un contributo concreto sia in termini di esperienze già maturate, sia di visione. Molti degli elementi indicati nella raccomandazione europea, infatti, erano già stati sviluppati da Torino Social Impact in forma di progettualità. Abbiamo quindi potuto condividere buone pratiche e portare il punto di vista dei territori, evidenziando quali politiche siano effettivamente realizzabili a livello locale. Parallelamente, abbiamo avviato un dialogo costante con altre città e regioni particolarmente sensibili ai temi dell’economia sociale, come l’Emilia-Romagna. Proprio lo scorso anno, in un confronto con Daniela Freddi, ci siamo resi conto che a Bologna, pur essendoci un forte orientamento politico, mancava ancora una cornice progettuale di aggregazione territoriale delle organizzazioni. A Torino, invece, la situazione era opposta: avevamo già contenuti e progettualità consolidate, ma ci mancava un’infrastruttura politica e programmatica che facesse da quadro.

Questo confronto ci ha spinto a muoverci anche a livello territoriale. Poiché la Camera di Commercio aveva già a bordo il sistema metropolitano, abbiamo coinvolto formalmente la Città Metropolitana per verificare la disponibilità a costruire un piano di policy condiviso, coerentemente con quanto indicato dalla Commissione Europea, ovvero che lo sviluppo delle politiche per l’economia sociale debba avvenire su scala territoriale. Nel suo piano strategico 2024-2026, la Città Metropolitana aveva già individuato l’inclusione sociale e lo sviluppo dell’economia sociale come assi centrali, era già attiva in programmi legati all’innovazione sociale, come “Torino Social Innovation”, e aveva aderito fin da subito a Torino Social Impact, che ha contribuito alla redazione di quel piano strategico. Inoltre, gestiva uno strumento di finanziamento specifico rivolto a micro e piccole imprese sociali del territorio. Tutti questi elementi hanno facilitato l’avvio di un piano operativo condiviso, in un percorso che è partito formalmente a luglio 2024 con una conferenza stampa che ha sancito l’accordo tra la Camera di Commercio e la Città Metropolitana per la stesura del Piano Metropolitano per l’Economia Sociale. Da quel momento sono iniziati circa otto mesi di lavoro operativo, in cui abbiamo incaricato la società Avventura Urbana di supportarci nelle attività di ascolto e coinvolgimento degli stakeholder territoriali. È stata così costruita una struttura operativa congiunta, composta da Camera di Commercio, Città Metropolitana, Torino Social Impact e Avventura Urbana. Il lavoro è iniziato con un’analisi dei documenti strategici delle istituzioni coinvolte, inclusi quelli della Commissione Europea e del piano nazionale italiano per l’economia sociale. Successivamente si è avviato un percorso di interviste, incontri, focus group e di interpretazione operativa della raccomandazione europea, che ci ha portati a definire un piano territoriale di policy dedicato all’economia sociale.

 

Quanto si è reso evidente un minore sostegno dell’Unione Europea all’economia sociale, dopo i recenti cambiamenti politici nella Commissione?

Simona De Giorgio: Come accennavo, il nostro è un documento di policy territoriale, ma il contesto europeo ha un impatto significativo. Il tema centrale è che l’economia sociale era stata riconosciuta come ambito di politica industriale, ma negli ultimi mesi la situazione è diventata preoccupante. La Commissione Europea ha infatti smantellato l’economia sociale all’interno della Direzione Generale GROW, che era quella che garantiva l’inquadramento dell’economia sociale come politica industriale. Le competenze sono ora state in parte trasferite alla DG EMPL, che si occupa di politiche sociali. Questo spostamento ci preoccupa perché riteniamo che l’economia sociale debba restare un tema di politica industriale, come indicava la raccomandazione europea. Fortunatamente, i territori stanno reagendo organizzando un proprio piano metropolitano. In Piemonte il sistema camerale si sta muovendo: oltre a Cuneo, che ha già attivato il proprio comitato per l’imprenditorialità sociale, altre Camere di Commercio stanno avviando percorsi simili per elaborare piani territoriali e metropolitani per l’economia sociale. Quindi, nonostante da Bruxelles arrivi un messaggio meno chiaro o coerente rispetto al passato, a livello locale si sta generando una risposta concreta. Crediamo che il piano nazionale italiano per l’economia sociale possa rappresentare uno strumento valido per restituire centralità ai territori su questi temi, e che proprio da qui possa ripartire un dialogo più strutturato anche a livello europeo.

 

Quali sono i pilastri su cui si basa il Piano metropolitano di Torino?

Simona De Giorgio: Il Piano di Torino ha un orizzonte temporale di cinque anni. È stato approvato dalla Camera di Commercio il primo aprile e dalla Città Metropolitana l’8 maggio 2025. Stiamo lavorando congiuntamente alla definizione operativa delle azioni previste dal piano, che si sviluppano su sette pilastri principali, più due temi trasversali. I sette ambiti sono: governance e partnership; acquisti pubblici orientati all’impatto sociale (social procurement); finanza a impatto sociale; inclusione sociale e lavorativa; connessioni fisiche, digitali e innovazione tecnologica; formazione continua; sviluppo delle competenze, in particolare tra i giovani. I due assi trasversali che attraversano tutto il piano sono la misurazione dell’impatto e la comunicazione. Per ciascun ambito abbiamo definito obiettivi specifici, azioni concrete e strumenti operativi. Tutto questo è stato formalizzato nel documento di piano, pubblicato anche sul sito di Torino Social Impact. Durante la redazione, è stata aperta una consultazione pubblica, alla quale hanno partecipato cittadini e soggetti privati. Anche il Consiglio Comunale ha preso atto del piano con una mozione interna, impegnandosi su alcuni punti della sua attuazione.

Ora stiamo entrando nella fase operativa, in dialogo con il territorio e in stretta collaborazione con la Città Metropolitana. Una conferenza stampa sarà organizzata entro l’estate per illustrare pubblicamente il programma di azioni. L’idea è che nei prossimi cinque anni i due enti promotori – la Camera di Commercio e la Città Metropolitana – traducano gli obiettivi del piano in risorse concrete, sia politiche che economiche. Siamo ottimisti sulla possibilità di lavorare in continuità con tutto ciò che ha portato fin qui alla nascita, al rafforzamento e alla promozione dell’economia sociale sul territorio. Contiamo anche sul supporto della Regione Piemonte, con cui abbiamo già attivato interlocuzioni in alcuni assessorati sensibili ai temi di Torino Social Impact. L’obiettivo è individuare ulteriori strumenti, siano essi politici, operativi o finanziari, da mettere a disposizione di questo ampio ecosistema territoriale.

 

Nel confronto con altre città, come Bologna, avete riscontrato somiglianze o differenze significative nei contesti territoriali che hanno portato poi a scelte o azioni diverse?

Simona De Giorgio: Ogni territorio ha una propria identità, una propria storia, e anche un proprio modo di rielaborare quel percorso storico e di coinvolgere le organizzazioni locali. Questo direi che è un pensiero condiviso con tutti i territori impegnati nello sviluppo di ecosistemi. Il dialogo con Bologna è sempre stato molto attivo, sia in termini di confronto costruttivo che di stimolo reciproco su temi e processi, e c’è stata sicuramente una forte sintonia sugli obiettivi generali, in particolare sulla dimensione territoriale dell’intervento e sul ruolo delle pubbliche amministrazioni come soggetti promotori. In entrambi i casi, infatti, il punto di partenza è stato rappresentato da un’istituzione pubblica – la Camera di Commercio e la Città Metropolitana per Torino, la Città Metropolitana per Bologna – e questo ha creato un terreno comune. Questo è un elemento non scontato, perché in altri territori, ad esempio, sono state realtà del Terzo settore, fondazioni bancarie o altre organizzazioni legate all’economia sociale a dare l’avvio a questi percorsi. Né noi né Bologna abbiamo mai pensato che questi modelli debbano essere replicati in modo identico in altri territori, e lo vediamo chiaramente anche qui in Piemonte. Quando, come Camera di Commercio di Torino, ci confrontiamo con le altre Camere del territorio che stanno iniziando a costituire i propri comitati e a lavorare su piani metropolitani, emergono subito differenze tra gli attori coinvolti. Ogni ecosistema ha tempi e modalità di maturazione differenti, perché risponde a identità, esigenze e strutture locali diverse.

Scritto da
Daniele Molteni

Editor di «Pandora Rivista», si è laureato in Relazioni internazionali all’Università Statale di Milano e ha collaborato con diverse realtà giornalistiche, tra cui «Africa Rivista», «Lavialibera» e «Modern Insurgent». Si occupa di politica internazionale, questioni sociali e tecnologia. È membro del collettivo giornalistico “Fuorifuoco”.

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