Scritto da Giulio Pignatti
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Se durante la pandemia era diffusa l’aspettativa di una trasformazione virtuosa come esito della crisi, il bilancio che ad oggi si può tracciare è quantomeno in chiaroscuro. Tuttavia, gli insegnamenti che la crisi pandemica ha lasciato dietro di sé possono diventare patrimonio comune per sistemi politici e sociali che erano risultati quasi ovunque impreparati. Nel quadro di questa riflessione un contributo significativo può venire dalla campagna “Salute bene comune”, lanciata dal Forum Disuguaglianze Diversità in occasione del voto da parte della Commissione speciale COVI del Parlamento europeo del Rapporto sugli insegnamenti tratti dalla pandemia di Covid-19 e sulle lezioni per il futuro, che arriverà in seduta plenaria il prossimo 11 luglio.
«Assumere una posizione chiara a favore della ricerca pubblica sulla salute»: è questa la richiesta presentata agli europarlamentari dal Forum Disuguaglianze Diversità, coordinato da Fabrizio Barca e Andrea Morniroli. La pandemia ha costituito una sfida del tutto inedita per i sistemi sanitari internazionali, ma il rischio è che la partita risulti vinta innanzitutto dai privati delle industrie farmaceutiche. Uno studio indipendente redatto su richiesta del Parlamento europeo da Massimo Florio e Simona Gamba (Università di Milano) e da Chiara Pancotti (CSIL) ha evidenziato infatti, con una stima inedita, come il rischio finanziario per la realizzazione dei vaccini sia stato assunto soprattutto dai contribuenti (in totale 30 miliardi di fondi pubblici a rischio) più che dall’industria farmaceutica (16 miliardi). Quest’ultima li ha poi potuti commercializzare godendo dei vantaggi di una posizione di monopolio, gravando sulle casse dei sistemi sanitari nazionali per un costo pari a fino a dieci volte quello di produzione.
Al rischio assunto dagli Stati nel finanziare la ricerca privata non è corrisposto dunque un diritto di comproprietà della conoscenza prodotta che avesse come fine unico il bene comune e l’efficacia di intervento sulla salute pubblica. Una possibile lezione da trarre, in vista di eventuali prossime crisi sanitarie, ma non solo, è la necessità di un’infrastruttura europea per lo sviluppo di farmaci e vaccini – dato che il Parlamento europeo dovrà pronunciarsi anche sulla revisione della legislazione del farmaco. Si tratterebbe di un’impresa pubblica autonoma e senza finalità di lucro, che avrebbe la possibilità di controbilanciare i monopoli privati, in modo da orientare la ricerca scientifica e tecnologica – su un tema così essenziale come la salute – nella direzione dell’interesse collettivo. È un intervento che il ForumDD aveva presentato già nel 2019 nel quadro delle sue “15 proposte per la giustizia sociale”, e che ora, dopo oltre 190.000 morti solo in Italia a causa del Covid-19, acquisisce un nuovo peso nella discussione sul tema.
In un precedente studio sempre a cura di Massimo Florio, European pharmaceutical research and development. Could public infrastructure overcome market failures?, del dicembre 2021, si parla infatti di un «disallineamento delle priorità tra l’agenda della sanità pubblica e l’attività di ricerca e sviluppo delle aziende farmaceutiche». Nell’Unione Europea sarebbero già presenti le capacità per una ricerca biomedica e farmaceutica all’altezza, ma in un panorama frammentato che non permette di raccogliere la massa critica e i mezzi tecnologici necessari alla competitività. Il problema della frammentazione è, tra l’altro, quanto emerge anche in altri campi di R&S europei – oltre a essere ciò che, più radicalmente, anima la necessità stessa del progetto comunitario –, ma che è stato risolto con successo, ad esempio, in campo spaziale con l’Agenzia spaziale europea (ESA). Così, la creazione di un’infrastruttura europea per i farmaci – l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), per quanto rinforzata con l’emergenza sanitaria, non è pensata per un ruolo come quello richiesto dal ForumDD, così come non lo sono altre agenzie come HERA o ECDC – può anche rappresentare un tassello per la costituzione dell’Unione Europea come soggetto politico internazionale, che si muova in maniera autonoma e unitaria. Un soggetto capace di relazionarsi come tale, ad esempio, col corrispettivo statunitense, i National Institutes of Health (NIH), che è soprattutto un ente finanziatore ma che, col suo Intramural Research Program, risulta anche essere il più grande istituto di ricerca biomedica del mondo.
Nel Rapporto adottato dalla Commissione COVI del Parlamento europeo le raccomandazioni si dividono nei cinque pilastri della salute, della democrazia e dei diritti fondamentali, dell’impatto economico e sociale e dell’azione internazionale dell’Unione Europea. La proposta del Forum Disuguaglianze Diversità di creare un’infrastruttura europea della medicina ha trovato posto nelle raccomandazioni finali del documento (par. 169, raccomandazione finale 601). Un’Europa del futuro più capace di affrontare crisi sanitarie dovrebbe poi, secondo la Commissione COVI, investire maggiormente in sanità pubblica a livello di Stati membri e migliorare l’autonomia strategica dell’Unione sugli ingredienti farmaceutici e sui farmaci chiave. Nel testo viene anche proposto di ripensare il ruolo della direzione della Commissione europea per la risposta alle emergenze sanitarie (HERA), affinché essa possa assumere più autonomia, sia dotata di maggiore budget, di una missione più ampia e di maggiore trasparenza. Una raccomandazione dalla rilevante portata politica, ma che – secondo Massimo Florio – rischia di perdersi nei numerosi punti del Rapporto (in totale 617).
Il Rapporto si mostrerebbe inoltre troppo ambiguo sul tema dei brevetti e dei rapporti con le case farmaceutiche. Se il comportamento della Commissione viene (implicitamente) criticato per un’insufficiente trasparenza nella relazione con le aziende produttrici di farmaci e vaccini nei mesi della pandemia, sul modello da costruire per garantire un’innovazione biomedica più giusta rimangono delle contraddizioni. Da una parte nel testo si riconosce infatti che l’esclusiva brevettuale può limitare il mercato e l’accesso alle medicine, dall’altra parte si afferma che è il sistema dei brevetti a incentivare le imprese ad innovare nell’interesse pubblico. A ciò si aggiunge che solo la sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini avrebbe potuto consentire l’accesso alla produzione nei Paesi più poveri – secondo un’ottica di solidarietà globale espressa anche dal Parlamento europeo ma non fatta propria dalla Commissione. «La parte più retriva e monopolista del mondo imprenditoriale farmaceutico si è mobilitata affinché il Rapporto del Parlamento UE levasse un peana alla loro azione che ha visto negare i vaccini a un pezzo del mondo e spendere, noi tutti, cifre spropositate e inique», ha commentato Barca.
Per trasformare le indicazioni del Rapporto della Commissione COVI sulle lezioni da trarre dalla pandemia in una prospettiva più radicale come quella tracciata da Massimo Florio e dal ForumDD sulla ricerca pubblica in campo sanitario sarebbe in effetti necessario che essa venisse sollevata come esigenza collettiva, supportata innanzitutto da tutti quelli che i drammi sanitari e sociali della pandemia li hanno vissuti sulla propria pelle. La possibilità di un cambiamento in questa direzione non è così irrealistica. Come ha affermato Fabrizio Barca: «Il messaggio della ragione è in qualche misura passato. Ora dobbiamo moltiplicare i nostri occhi e la nostra pressione per sciogliere le ambiguità sui brevetti quando basati su ricerca e finanziamenti pubblici».