AfD, ultradestra e liberal-democrazia. Intervista a Valerio Alfonso Bruno
- 24 Giugno 2025

AfD, ultradestra e liberal-democrazia. Intervista a Valerio Alfonso Bruno

Scritto da Nicolò Ferraris

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In seguito alle elezioni politiche in Germania del 2025, Alternative für Deutschland sembra aver consolidato la propria posizione tra i principali partiti della Repubblica Federale. Sebbene il partito guidato da Alice Weidel non sia riuscito a raggiungere il primo posto – ruolo invece conquistato dalla CDU, guidata da Friedrich Merz – con il 20,56% delle preferenze Alternative für Deutschland si è posizionata in seconda posizione tra i partiti più votati. Subito dopo AfD, troviamo l’SPD del cancelliere uscente, Olaf Scholz, che si posiziona in terza posizione con il 20,07% delle preferenze. 

Del successo elettorale di AfD, dei motivi per cui una grossa fetta dell’elettorato tedesco ha fatto riferimento a un partito di “estrema destra” e delle prospettive future dei sistemi democratici abbiamo parlato con Valerio Alfonso Bruno, assegnista di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fellow per FRAN – Far Right Analysis Network, esperto di populismo, di partiti di destra radicale e di estrema destra e coautore di: The Rise of the Radical Right in Italy. A New Balance of Power in the Right-wing Camp (Ibidem / Columbia University Press 2024). 


Quest’intervista giunge in un anno di successo particolare per i partiti di destra. Certamente AfD, ma anche, oltreoceano, il Partito Repubblicano di Donald Trump. Pensa che ci siano dei fattori comuni dietro al successo della destra, e in particolare dell’ultradestra?

Valerio Alfonso Bruno: Ormai viviamo una fase di consolidamento dell’ultradestra (far right). Per certi versi il vero successo di questi partiti non è quello, pur fondamentale, che passa per le urne, quanto la normalizzazione che sta avvenendo, all’interno di molti Paesi, di un clima culturale ricettivo e di legittimazione verso idee che un tempo erano considerate improponibili o marginali. Se dovessi scegliere alcuni fattori che continuano a supportare questo consolidamento direi la percezione accentuata, da parte di numerosi cittadini, di una perdita di status socioeconomico e un forte sentimento identitario che fa leva su nazionalismo e nativismo in funzione anti-immigrazione. Infine, non sottovaluterei il ruolo di una comunicazione semplice, spesso triviale, che però ha il pregio di fare facilmente presa sull’elettorato.

 

Utilizzando le categorie contemporanee della Scienza politica, come classificherebbe il partito Alternative für Deutschland? 

Valerio Alfonso Bruno: Utilizzando la categoria di “ultradestra” come traduzione dell’inglese “far-right”, farei rientrare Alternative für Deutschland in questa scatola concettuale. Credo che AfD non possa rientrare a pieno titolo nella categoria di “estrema destra” (nonostante la recente definizione dell’intelligence tedesca) per via della sua formale adesione al sistema politico tedesco, in cui è necessario rimanere per poter competere all’interno dell’arena politica. Tuttavia, Junge Alternative, l’ala giovanile di AfD, è stata bandita proprio per le tendenze antisistema e antidemocratiche. A mio parere, AfD si trova sull’estremo dello spettro politico, ma tende a procedere con cautela, e a rientrare in posizioni meno estreme, per convenienza politica e pragmaticità. Infatti, il vero pericolo risiede nella normalizzazione di questi partiti e di questi movimenti politici che può rivelarsi un gioco rischioso per le democrazie liberali contemporanee.

Alcuni studiosi sostengono che, quando si tratta di questo genere di partiti, sia necessario distinguere tra le narrazioni e la comunicazione, da una parte, e le loro politiche, dall’altra. Io sono sostanzialmente d’accordo, nel senso che credo che sia possibile “galvanizzare” determinate fasce di elettorato con un certo tipo di comunicazione e di messaggi estremi, mentre le politiche effettive non vanno sempre in quella direzione. Alla lunga, però, anche le narrazioni non devono essere sottovalutate. Questo, credo, è particolarmente vero nell’attuale contesto internazionale, soprattutto dopo il ritorno alla Presidenza di Donald Trump.

 

Il suo tema principale di ricerca riguarda il populismo, in particolar modo quello legato alla destra, nelle democrazie liberali contemporanee. Nota dei tratti comuni appartenenti a AfD e ad altri partiti nelle nostre democrazie? 

Valerio Alfonso Bruno: Sì, e credo sia opportuna una breve comparazione con il caso italiano di Fratelli d’Italia. AfD è, innanzitutto, un partito recente. Risale infatti al 2013. FdI è invece nato nel dicembre del 2012: hanno più o meno la stessa età. La differenza principale è che FdI è figlio di una storia e di una cultura politica provenienti da altri precedenti partiti politici (Movimento Sociale Italiano, Alleanza Nazionale) e di una tradizione politica da tempo affermata nel contesto italiano. Fratelli d’Italia, a mio parere, è categorizzabile come un partito di destra populista radicale (populist radical-right), mentre definirei AfD, come anticipato, un partito più in là nello spettro politico, classificabile come far-right (ultradestra), alla maniera di come Andrea L. P. Pirro giustifica l’utilizzo di questo concetto. AfD è anche caratterizzato da elementi che appartengono più alla categoria di estrema destra (dunque, ancora più all’estremo dello spettro politico), come ad esempio la retorica violenta ed estrema. Tuttavia, AfD non rientra a pieno titolo in quest’ultima categoria, in primis per un fattore di strategia politica.

Un elemento, a mio parere interessante, è l’ammirazione di AfD per le politiche adottate da Fratelli d’Italia, in particolar modo il “modello Albania” per la gestione delle dinamiche immigratorie. Tuttavia, esistono delle differenze sostanziali, tra i due partiti e tra i relativi leader: Giorgia Meloni ha fatto parte di molti governi, ed è avvezza alle dinamiche interne al Parlamento. Questo implica per FdI la necessità di eliminare alcuni elementi estremi della propria ideologia trainante, e della propria retorica, al fine di essere accettato dal contesto istituzionale. Perciò, anche in un caso futuro in cui AfD riuscisse a far parte di una coalizione di governo, sarebbe allo stesso modo necessario smussare alcuni toni, che al momento sono ancora presenti nella vita del partito di Alice Weidel.

Credo, comunque, che in un futuro (non troppo lontano), il peso di AfD nel contesto politico tedesco sarà sempre più rilevante. Se è vero che alle ultime elezioni federali AfD ha totalizzato un 20,56% delle preferenze, gli ultimi sondaggi mostrano un aumento del successo elettorale, tanto che nei primi giorni di aprile 2025, ha superato perfino la CDU nei sondaggi, primo partito con 25%. È possibile, perciò, che oltre a scavalcare il partito SPD (social democratico), nell’avvenire AfD possa riuscire a raggiungere un peso simile alla CDU. Ad oggi, in questo contesto, AfD potrebbe avere un gioco facile di opposizione, che potrebbe dare ulteriore vento in poppa alle proprie narrative, soprattutto in tema di immigrazione. Merz assumerà probabilmente una postura più dura in tema migratorio, rispetto al passato, ma potrà farlo fino a un certo punto, lasciando dunque campo libero al posizionamento estremo di AfD. E nonostante i partiti di destra, a livello europeo, siano comunque divisi (European Conservatives and Reformists Party – ECR di Meloni e Vox, Patrioti per l’Europa di Orbàn e Salvini, ed Europa delle Nazioni Sovrane di cui fa parte AfD), il vento europeo e globale (ora, anche con Donald Trump) sembra particolarmente favorevole a una virata a destra del discorso politico.

Mi permetto di allargare il discorso al contesto internazionale, giusto per inserire il caso tedesco all’interno delle dinamiche globali. Prendiamo il Partito Repubblicano di Donald Trump: nel gennaio 2021 Trump non concede la vittoria elettorale a Biden, invocando brogli e facendo pressioni. Dopo i fatti di Capitol Hill, qualcuno addirittura affermava si trattasse di “folklore”. Ora Trump è tornato al potere. Il vecchio Partito Repubblicano va dimenticato, oggi è qualcosa di diverso, ancora più radicale, e le prospettive future vanno in quella direzione, basti guardare il Vicepresidente JD Vance. Il salto degli Stati Uniti verso l’illiberalismo, con l’ingresso del GOP nella far-right – con la proposta del terzo mandato di Trump, la stretta sulla pubblica amministrazione, il ruolo di Elon Musk, il disimpegno con l’Unione Europea e le trattative con l’Ucraina – pone un rischio, reale, di creare nuovi equilibri ben più radicali, anche all’interno del contesto politico europeo. Prendiamo come esempio il caso dell’incontro tra Trump e Zelensky nello studio Ovale: il risultato è stato una divaricazione senza precedenti tra atlantismo ed europeismo, tra chi si poneva a favore di Zelensky e chi a favore di Trump. Le posizioni così radicali degli Stati Uniti però rappresentano un modello per diversi governi di destra nell’Unione Europea che, al momento, si trova in una situazione in cui i vecchi equilibri, a livello di Stati membri ma anche di istituzioni europee, vanno gradualmente nella direzione della destra radicale. 

 

Oltre al contesto internazionale, è rilevabile una motivazione domestica dell’ascesa dei partiti sulla destra dello spettro politico europeo? 

Valerio Alfonso Bruno: In molte democrazie liberali è rilevabile una crescente disuguaglianza economica e una percezione di perdita di status, con una classe media che si sta erodendo. Sebbene possa risultare semplicistico, la necessità di una valvola di sfogo è intercettabile dai partiti di estrema destra, che vanno a colpire la pancia dell’elettorato. Nel caso di AfD, è possibile che ci sia una grossa correlazione, inoltre, tra il voto per questo partito e l’eredità politica e sociale della ex Repubblica Democratica Tedesca (Germania dell’Est). A questo si possono dare molte interpretazioni, tra fattori culturali e fattori economici, alcune categorie di cittadini, quelle meno avvantaggiate, possono sentirsi escluse dal contesto politico e sociale in cui sono inserite. Le cause possono essere multifattoriali. La cosa particolare è che invece, in Italia, il voto per FdI è più trasversale. FdI è riuscita a intercettare i voti di tutte le regioni italiane. In Germania il voto è concentrato solo in alcuni contesti, anche se in futuro, come anticipavo, potrebbe non essere più così.

 

Ci sono alcune interpretazioni secondo le quali i partiti sulla destra dell’estremo politico hanno “preso il posto” dei vecchi partiti socialisti e comunisti, soprattutto per la loro attenzione nei confronti degli “ultimi” e delle classi meno avvantaggiate. Crede che sia vero anche in questo caso?

Valerio Alfonso Bruno: Nel caso italiano, ci sono studi che dimostrano che, soprattutto nel Nord-Est, la classe lavoratrice che un tempo votava a sinistra si è rivolta alla Lega di Salvini, ora un partito di destra populista radicale. Oggi, questa operazione è riuscita, ancora di più, a Fratelli d’Italia, mentre la Lega, negli ultimi tempi, è uscita molto ridimensionata. Si pensi che ora, Forza Italia e Lega hanno praticamente lo stesso peso elettorale. Nel complesso la galassia della destra radicale è riuscita a intercettare quelle istanze che una volta venivano raccolte in particolare dai partiti comunisti. Con ogni probabilità, questo sta avvenendo anche in Germania, con successo. La forza di AfD è infatti alimentata da rabbia e frustrazione: una forma di protesta contro le disuguaglianze economiche che viene spesso incanalata soprattutto sul tema dell’immigrazione.

 

Mentre parlava mi è venuto in mente il concetto di “postdemocrazia” di Colin Crouch. Cioè una democrazia svuotata del suo significato, in cui il voto dal basso è poco efficace, e il disinteresse verso la politica cresce. Crede che un voto verso partiti contro l’establishment politico, se non antisistema, possa essere letto in una chiave di risposta alla postdemocrazia?

Valerio Alfonso Bruno: Giorgia Meloni ha messo da subito in chiaro che il suo è un governo politico, con un preciso mandato politico, a differenza degli ultimi governi italiani (che siano tecnici o frutto di grandi manovre o alleanze). In questo senso, l’azione di FdI può essere letta come un modo per rispondere alla crisi di legittimità della politica: per protesta si vota un partito con “soluzioni radicali”. Tuttavia, le prospettive che questi partiti propongono indeboliscono gli stessi regimi politici democratici che li nutrono. È sicuramente un ritorno alle scelte politiche, ma che vanno nella direzione dell’illiberalismo. Se guardiamo a ciò che sta succedendo negli Stati Uniti, c’è da chiedersi se i meccanismi di equilibrio della democrazia (checks and balances) reggeranno, perché le tensioni ci sono, eccome.

 

Alcuni osservatori comparano il contesto politico contemporaneo con quello del periodo tra le due guerre mondiali, in cui partiti di destra nazionalista hanno assunto sempre più rilevanza. Crede che sia possibile tracciare un parallelo tra i due periodi?

Valerio Alfonso Bruno: Il contesto storico è però profondamente diverso. Ci separano infatti cento anni dal periodo tra le due guerre mondiali. Tuttavia, dinamiche che fino a qualche anno fa sembravano assodate, ora sembrano vacillare. La globalizzazione (pur con tutti i suoi limiti), le democrazie liberali, il progetto di integrazione dell’Unione Europea non sono più conquiste garantite, ma è ora chiaro che la loro esistenza e sopravvivenza implica dinamiche, impegno, istituzioni, strutture e classi dirigenti, e soprattutto una cultura politica e civica che devono essere rinnovate. Non voglio sembrare allarmista, non stiamo piombando in una crisi della democrazia irreversibile. Tuttavia, il numero delle democrazie veramente tali è in contrazione. Gli indicatori della salute della democrazia sono in discesa. Gli Stati Uniti, il faro per antonomasia dell’ordine internazionale liberale, non hanno prospettive rosee, e questo implicherà un esempio negativo su tutte le democrazie liberali. Come dicevo, le soluzioni proposte dai partiti di destra radicale, o ultradestra, portano ad un indebolimento delle democrazie liberali. Distanza della politica, astensionismo dilagante, con soluzioni proposte che implicano un accentramento del potere, meno Stato di diritto, meno stampa libera, elezioni manipolabili più facilmente, parlamenti sempre più marginali e partiti sempre più personalistici e verticistici.

 

Se dovesse pensare a un nome o un aggettivo per descrivere il clima politico che si respira in questi anni, a cosa penserebbe?

Valerio Alfonso Bruno: Sicuramente “frustrazione” e “rabbia”. L’incapacità di contare qualcosa, da parte dei cittadini delle democrazie, spesso sfocia nella rabbia, che poi viene intercettata da questi partiti. Ad esempio, è facile per la destra radicale riversare strumentalmente la rabbia, creando delle facili narrazioni, contro il politicamente corretto. Se è vero che una certa classe dirigente ha fatto un uso acritico di alcune conquiste, fornendo degli assist involontari alla destra radicale, quest’ultima, nel trivializzare questioni delicate e importanti dimostra superficialità e pochezza.

Mi permetto solo di aggiungere una cosa: le sacrosante prerogative della maggioranza, in democrazia, non devono diventare il presupposto per l’accentramento del potere e per politiche radicali. Sono fondamentali quei contropoteri che limitano la maggioranza. È giusto rispettare la volontà popolare, ma la ricerca esasperata di un rapporto, non mediato e senza filtri, tra leader forte e popolo non fa altro che indebolire i nostri sistemi politici. In questo contesto, esiste un rischio che l’insoddisfazione si trasformi in un’azione antisistema permanente, e che il sistema democratico possa virare a favore di una scelta di altri tipi di regime politico. Perciò, le prospettive mi paiono negative. Tuttavia, per concludere con una nota di speranza, le democrazie liberali potrebbero mostrarsi meno deboli di quanto temiamo, e in ultima istanza resilienti. Speriamo.

 

È notizia recente che AfD sia stato definito un “partito di estrema destra” da parte dell’Ufficio per la Protezione della Costituzione in Germania (l’intelligence interna tedesca). Che effetto pensa che possa avere sulla situazione politica tedesca, e quale potrebbe essere il futuro di AfD?

Valerio Alfonso Bruno: Individuare AfD come partito di “estrema destra” ha sicuramente una valenza politica: si pone ora infatti un riflettore su un problema esistenziale della democrazia contemporanea in Germania, cioè su cosa fare con un partito come AfD. Il neocancelliere Friedrich Merz si è dimostrato abbastanza cauto su questa vicenda, probabilmente frenato dal rischio di “crearne un caso”, di amplificare l’attenzione rivolta ad AfD e di creare una sorta di “effetto martire” dando così spazio a reazioni di vittimismo, che possono ulteriormente dare credito alle posizioni di AfD. Tuttavia, comprendo le paure e i timori che dinamiche del genere possono suscitare. Abbiamo visto ciò che è avvenuto negli Stati Uniti con la sconfitta di Trump alle elezioni del novembre 2020: dopo l’assalto a Capitol Hill, era sicuramente possibile impedire un ritorno di Trump alla Casa Bianca. Eppure, per eccessiva cautela e per evitare di polarizzare l’elettorato, a Trump è stato dato un “lasciapassare” che gli ha poi permesso, quattro anni dopo, un ritorno sulla scena pubblica e la vittoria alle elezioni. Mutatis mutandis, comprendo perfettamente i timori e la confusione in Germania in questo momento: c’è il rischio reale che AfD possa risultare vincitore alle prossime possibili elezioni. La democrazia è fatta anche di lacci e lacciuoli che ne limitano il potere e delimitano il campo di azione, definendo le regole del gioco.

Ritornando alla definizione di partito di “estrema destra” e al suo valore politico, tale mossa potrebbe rappresentare un volano politico favorevole alle narrazioni strategiche di AfD. Di conseguenza, se l’azione politica e giudiziaria non risulterà precisa, creerà le condizioni per un formidabile assist elettorale. Nel caso in cui AfD dovesse continuare le proprie attività, nel futuro credo che potrà assumere un ruolo abbastanza simile a quello di Fratelli d’Italia, nel senso di opposizione politica. FdI è stato molti anni all’opposizione: ricordo che è stato anche l’unico partito all’opposizione del governo Draghi, tra il 2021 e il 2022, capitalizzando su questo suo ruolo. Similmente, AfD, (che non è l’unico partito all’opposizione in Germania), potrà beneficiare del suo ruolo perché ha carta bianca nel criticare il governo senza proporre reali alternative costruttive. Sarà inoltre molto interessante vedere cosa succederà in Francia tra due anni, con le elezioni presidenziali, e se qualcuno del Rassemblement National potrà diventare presidente, e se Marine assurgerà al ruolo di martire, data la recente condanna per frode. Ma questo è un altro discorso…

In Europa, invece, la grande sfida, per il momento lontana dall’essere compiuta, potrebbe essere un nuovo equilibrio politico, con un baricentro molto a destra, tra forze sovraniste radicali e il centrodestra. Una situazione non troppo diversa da quella attualmente presente in Italia. Insomma, il futuro è ancora abbastanza incerto, ma il vento di destra continua a soffiare.

Scritto da
Nicolò Ferraris

Collaboratore accademico-didattico per l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e in particolare per ASERI - Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali della medesima università. Il suo focus di studio riguarda la democrazia, il radicalismo e la resilienza democratica.

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